Predator 3, il più grande 26enne di tutti i tempi

Predator 3, il più grande 26enne di tutti i tempi

La grandezza del Verstappen tricampione

09.10.2023 10:36

Analizzando il fresco tricampione del mondo Max Verstappen, non colpisce quanto vince, ma come e quando. Come, perché l’Olandese Volante post 2021, dopo il duello magico di Abu Dhabi, mal disciplinato e stravinto contro Lewis Hamilton, di fatto col numero uno sul musetto della RBR, è diventato un altro. Freddo, affamato, chirurgico, devastante e pressoché infallibile. Una sorta di Niki Lauda bulimico.

Se l’austriaco nell’era sua sapeva accontentarsi cercando ogni volta di portare a casa il minimo del massimo in ottica campionato, Max si fa bastare solo vittorie, fa dieta a base di trionfi e, come nessuno prima, sia in corsa che nella vita, a parole e fatti, cerca ossessivamente sempre e soltanto il successo. Preferendo quello con distacco al colpo di reni in volata, perché a lui il rivale piace vederlo sparire dagli specchietti, dopo pochi giri. Psicologicamente annientato, pestato, lacero e triste.

È vero, è capitato con la gente giusta, sta con la squadra più forte e col progettista più geniale. Però è anche vero che dal 2016 al 2020, e cinque stagioni son belle lunghe, quando la Red Bull era forte ma non in grado di battere sistematicamente la Mercedes in ottica iride, lui da teenager non ha fatto un frizzo. Restando avvinghiato sul pezzo e pungendo quando poteva, fino a che l’occasione per dare l’unghiata alla Mercedes e ad Hamilton è capitata e lui non s’è tirato indietro. Prendendosi trono e corona - in modo magari discutibile quanto ad applicazione di regolamento da parte di Michael Masi -, da lì in poi per tenerseli ben stretti. Fin qui il come. Poi c’è il quando. Be’, qui viene il bello.

A 26 anni nessuno ha mai vinto quanto lui. Neppure Bellopampino Seb Vettel, nei suoi anni d’oro alla corte di Adrian Newey, perché a parità di titoli, tre ciascuno, Max vanta quasi il doppio di vittorie e di podii in più. Anche se l’olandese per tenere il passo del tedesco dovrà far suo pure il mondiale dell’anno prossimo, per andare sul 4-4 di allori consecutivi. E la cosa, inutile dirlo, pare estremamente probabile, ma non si sa mai. La verità è che sul trono della F.1 non c’era mai stato un pluricampione così cattivo e determinato. Uno sostanzialmente imbattuto, psicologicamente integro e del tutto privo di segni, ferite, sfregi e rovesci. Mai sgarrato da nessuno nei confronti diretti, mai e poi mai insidiato da chicchessia. Più bullo che bello, pronto a mettersi a litigare nel dopogara di Baku per una ruotatina presa da Russell come uno scalmanato a una rotonda.

Inferocito con Perez sol perché Checo aveva provato a dire prima di Miami che un pensierino al mondiale ce lo stava facendo, hai visto mai. Apriti cielo. Max non vuole noie, nel suo locale. È finita che l’ha mandato dallo psicologo, al messicano. E anche Hamilton, il piangina mannaro, quello che aveva spedito dai matti quasi tutti i rivali, alla fine son tre anni che mangia polvere. Da due per colpa dei suoi che sbaglian macchina, certo, ma una bella pezza a grattargli l’autostima ce l’ha messa pure Max, il predatore, a forza di ruotate in testa a Monza 2021 e attacchi intimidatori a go-go, in pista come se fosse fuori e fuori come se stesse in pista. Ecco, il fatto che Max sia arrivato più avanti di tutti dandole e basta, a un’età ancor verde e tenera, indica anche che non ne ha prese. Che è integro. Vero pugile dal naso all’insù. Poi c’è il resto.

Il piano ben preciso. L’altra cosa che, rispetto agli altri pluricampioni, lo contraddistingue e gli ritarglia un posto a parte, nella galleria dei Mister Legend. Fangio si piccava d’esser grande perché ogni anno sapeva saltare sulla monoposto giusta, fregandosene di tutti. Schumi fu immenso perché seppe far fiorire la Benetton e far risorgere la Ferrari. Hammer poiché dette l’ultimo mondiale alla McLaren salvo fornirne una mitragliata alla Mercedes. Senna e Prost, dopo la McLaren cercarono altro. Max no. Sembra Clark con la Lotus.

È metallicamente monogamo. Non tratta, mai ammicca, non si guarda attorno, non si lamenta, non vuole aumenti, buoni mensa, scatti o superminimi. Punta solo avanti, lui, e sta bene dove sta. Murato & felice. Riga. Se tutti i più grandi delle corse dell’era turbocapitalista, con rispetto parlando, stanno alla fedeltà di marca come le casalingue inquiete alla storia del cinema a luci rosse, Max è vergine al titanio, suorina laica della partnership, terziario francescano del trionfo e astinente dalle carni dollarose dell’Opus Dei a 350 all’ora. Non a caso resterà legato alla Red Bull fino al 2028, con una striscia di dedizione al gruppo che potrebbe marchiare - compresa la prima stagione e mezzo con Toro Rosso -, non meno di quattordici anni ininterrotti di militanza sotto la stessa bandiera. Robe che neanche Jacques Laffite con la Ligier o Piero Martini con la Minardi. E attenzione, in questa F.1 il titolo lo vince il pilota tra i più bravi al volante della vettura più competitiva. E lui, fino a che il 65enne Adrian Newey ne avrà voglia, è certo che almeno per un po’ la monoposto top sarà nelle sue mani, salvo complicazioni. Tutti questi motivi messi insieme lasciano pensare che Max di titoli ne dovrebbe vincere ben più di tre, presumibilmente diversi altri, mica uno solo, apparendo anche psicologicamente ed emotivamente assai più tetragono dell’altro bambino prodigio Sebastian Vettel. Già, chissà dove arriverà, Max. Una cosa è certa: ci sono tante caratteristiche che lo rendono un animale da corsa strano, dal DNA puro dei supercampioni, ma anche di fatto diverso da tutti gli altri e protagonista di una storia unica e di una parabola a oggi anagraficamente ma anche agonisticamente ineguagliata. Quindi attenti. L’unico limite è ben oltre il cielo di Lusail. Poi, certo, un brutto giorno anche il suo ciclo finirà, perché tutto termina, a questo mondo. Perfino il ciclo Verstappen-Red Bull, che in questo momento sembra avere i secoli contati.


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