da Monza: Alberto Antonini
Come fa la
Red Bull - o meglio, come fa
Vettel - a stracciare la concorrenza sulla pista teoricamente meno adatta? Come fa a dominare sia in configurazione da giro singolo che sulle prove di distanza? La spiegazione è nel corpo vettura. La
RB9, come tutte le altre monoposto, ha portato
ali minime al Gp Italia. Ma non è vero, come si è sentito dire, che
Adrian Newey ha trovato la formula magica per andare forte anche in rettilineo. La soluzione
Red Bull è la stessa di sempre: la “fusoliera” della RB9, soprattutto nella zona del
diffusore, genera molto carico. Questo carico, inevitabilmente, si paga. Se la
Red Bull “tirasse” una settima marcia molto lunga, non riuscirebbe a sfruttare tutti i giri, perché la resistenza aerodinamica in rettilineo la plafona. Quindi usa un
rapporto finale relativamente corto, guadagnando in aderenza e trazione.
Vettel era il più veloce sul traguardo (314 km/h) non perché la sua vettura avesse buona penetrazione aerodinamica, ma perché la sua
percorrenza della Parabolica e la velocità di uscita erano imbattibili. Poi, naturalmente, la
Red Bull si “pianta” in rettilineo e al rilevamento della prima Variante non è affatto la più veloce, anzi. Ma ormai la frittata è fatta.
Per la
qualifica gli avversari hanno poche speranze. Per la
gara, l’importante sarebbe che le vettura più veloci sul dritto (oggi
Toro Rosso, Force India e Ferrari, con 337 km/h) riuscissero a tenere il passo fino al terzo giro, quando si può aprire il
Drs. Allora sì, un sorpasso sarebbe possibile. Ma Vettel, veloce con entrambe le mescole di pneumatici, poi saprebbe reagire...