Due occhi timidi che cercavano protezione dietro un paio d’occhiali oltremodo seri, che davano di Anthoine Hubert più l’apparenza di uno studente modello che di un pilota di talento. La riservatezza che traspariva alla prima impressione era certamente un tratto distintivo del pilota di Lione, che quando si metteva al volante sembrava realmente trasformarsi.
La timidezza si tramutava in grinta e gli bastavano pochi chilometri per mostrare di che pasta era fatto. Al volante Anthoine ci sapeva davvero fare, andava dannatamente forte e trovava immediatamente il modo di farsi valere. In barba all’immagine da primo della classe dietro i banchi di scuola, Anthoine si è sempre fatto rispettare in ogni categoria che ha frequentato. Dalla quarta serie francese, della quale si è fregiato del titolo al debutto nel 2013, alla Formula Renault, che ha frequentato nelle due stagioni successive, cogliendo due vittorie e collezionando svariati podi, pole position e giri veloci.
Nel 2016 è avvento al debutto nella terza serie europea, che l’ha visto cogliere un successo e l’ottava posizione in campionato con i colori del Van Amersfoort Racing, che ha tenuto a battesimo anche Max Verstappen e Leclerc, prima di passare alla GP3 Series con la pluri-decorata Art Grand Prix, con la quale dopo due stagioni ha colto il titolo precedendo il portacolori della Ferrari Driver Academy Callum Ilott. Arrivato nella compagine transalpina, Hubert ha recitato il ruolo di quarto pilota il primo anno alle spalle di Russell, Aitken e Fukuzumi, ma ha saputo reagire l’anno successivo mettendosi alle spalle i team mate Ilott, Mazepin e Hughes, che a inizio stagione vantavano credenziali probabilmente superiori alle sue.
Ma Hubert ha saputo fare meglio è aggiudicato il suo secondo titolo in monoposto, riuscendo anche ad entrare nel vivaio della Renault nel mese di maggio del 2018. Quest’anno è avvenuto il passaggio nella seconda serie, che l’ha visto aggiudicarsi al debutto la corsa di Monte Carlo e quella del Paul Ricard, davanti al pubblico di casa che gli ha riservato dei festeggiamenti davvero speciali. Abbiamo ancora tutti negli occhi la sua gioia in quei momenti e la sua incredulità mista all’orgoglio per aver scalato così velocemente le gerarchie della seconda serie.
Sceso dal podio, ecco che tornava a proporre la sua versione riservata e un po’ timida in sala stampa davanti ai giornalisti, dietro a quegli occhiali che sembravano spesso dargli coraggio e fargli da scudo nei momenti nei quali si sentiva forse più a disagio. Una protezione che non ha trovato nel terribile incidente di questo fine settimana sulla pista belga, dove una serie di circostanze l’hanno portato a trovarsi nel momento sbagliato nel punto sbagliato in conseguenza di una concatenazione di eventi imponderabili che non gli ha lasciato scampo.
Nell’urto con la monoposto di Correa la cellula della sua Dallara ha resistito, ma la violenza dell’impatto si è rivelata letale per il fisico del francese, che non ha retto alla forza impressa da una monoposto della seconda categoria, dal peso di 720 kg, piombata su di lui a una velocità stimata attorno ai 240 km/h. Una curva terribile e affascinante come l’Eau Rouge se l’è portato via nel momento in cui la sua stella stava prendendo quota, visto che il lionese aveva tutte le carte in regola per essere uno dei pretendenti al titolo nella prossima stagione del FIA Formula 2 Championship.
Ed è davvero difficile accettare che la curva più bella e rischiosa del mondiale, quella che probabilmente anche lui amava di più, sia stata anche la sua ultima.