Piaccia o no, questo è uno Sport, e che Sport. Per cui, al di là dei proclami altrui belli, usati e a volte abusati da cittadini del mondo, acculturati cosmopoliti ed europeisti convinti, qui siamo su di un piano diverso e ci muoviamo con coordinate alternative. Perché l’universo delle sfide a motore è fatto ancora di colori e calori caratterizzanti, che hanno nell’identità nazionale e nello spirito e nel culto di marchio degli elementi entusiasticamente fondanti. Quindi, con la nazionale di calcio esclusa due volte dai mondiali di calcio in tempi ravvicinati, le olimpiadi poco polarizzanti perché così distanti, a ben quattro anni l’una dall’altra, e la F.1 da tanti, troppi lustri, quasi per nulla premiante verso una Ferrari peraltro non troppo bianca, rossa e verde nel line-up e nella dirigenza - sospendendo il giudizio sui risultati -, a ben guardare la Rossa 499P di Antonello Coletta al via nel Wec può essere vista, letta e goduta anche come una formazione italianissima e in clamorosa controtendenza.
1000 Miglia di Sebring, Toyota è il riferimento nel Prologo
Sì, del tutto rivoluzionaria rispetto ai collettivi dei momenti più epici e indimenticabili, negli stessi trionfi endurance del Cavallino. Per esempio, alla 24 Ore di Daytona 1967, il giorno della stordente parata, solo due piloti su sei erano italiani, ossia Scarfiotti e Bandini, i re di Le Mans 1963. E perfino nella stagione più perfetta, ossia il 1972, tra i titolari di italiani sicuri e frequenti ce ne era addirittura uno solo, Arturo Merzario. Laddove l’unica e l’ultima vittoria endurance di un equipaggio tutto tricolore resta quella di Merzario medesimo e Munari, alla Targa Florio del 1972. Per cui tifare Alessandro Pier Guidi, Antonio Giovinazzi e Antonio Fuoco, ben amalgamati e mescolati con Nicklas Nielsen, Miguel Molina e James Calado, è un piacere per certi versi sospirato, unico e particolare. Tanto quanto vedere e rimarcare che l’organigramma lineare del programma, dal responsabile supremo Antonio Coletta stesso, al braccio agonistico Amato Ferrari di AF Corse, fino al Direttore tecnico Ferdinando Cannizzo incarna un trionfo di italianità in ciascun posto e ruolo d’ogni ordine e grado. Dirò di più. È dal 1985, dalla fuga meravigliosa e sfortunata di Michele Alboreto nel mondiale di F.1 1985 con la Rossa (by Harvey Postlethwaite) che aveva Marco Piccinini e Ildo Renzetti ai comandi rispettivamente politico-sportivi e motoristici, che a Maranello non si vedeva un gruppo di italiani così compatto, folto e valido puntare al successo pieno. E prima di questo, in quota iride, c’è da tornare ai tempi di Ascari per trovare più coppe e blasone all’insegna dell’italianità, anche se Scarfiotti a Monza 1966 resta l’ultimo grido rosso-tricolore F.1 nel Tempio della Velocità, ma non divaghiamo, sennò tiro fuori Bandini e Giunti, poi altri ancora e non si finisce più, tra nostalgia e nodo in gola.
Quindi, ecco un consiglio che è anche un’esortazione. Gustiamoci bene la Ferrari di Coletta, perché rappresenta qualcosa di cui andare profondamente orgogliosi, anche a prescindere dai risultati iniziali e dagli inevitabili dazi che pagano i debuttanti. Perché il coraggio, la classe e la qualità della sfida accettata sono di livello tale da meritare esultanza, a oggi addirittura a prescindere dai riscontri immediati, con una fila d’avversari capitanata da una Toyota che nell’Hypercar parte con due stagioni piene di esperienza in più. E poi una Casa Italia così orgogliosamente nostra resta una realtà che va sottolineata e centellinata come un bicchiere di cent’erbe, liquore aromatico in grado d’aggiustare l’assunzione di qualsiasi pasto di livello. Andando oltre, c’è una cosa che è dolce aggiungere e riguarda l’ultima Ferrari prototipo ufficiale al top di una gara iridata, anzi addirittura quella che dà la certezza del titolo mondiale 1972, con un equipaggio tutto italiano, quel Merzario-Munari di Targa, entrato nella leggenda. Ebbene, quello fu anche il primo giorno del 33enne Cesare Fiorio eccezionalmente una tantum a capo del programma Rosso in terra di Sicilia, quando venne sperimentato perfino un pioneristico ma efficace sistema di team radio.
Fatto sta che, parlando di questo e altro con l’amico Emanuele Pirro, il cinque volte vincitore di Le Mans mi fa notare una cosa molto, molto interessante: "La Ferrari di Coletta, intesa come entità anche al di là della vettura, ha fascino e appeal molto forti anche perché, con così tanti italiani, ricorda la Lancia endurance nel Mondiale marche degli Anni ’80. Ossia la squadra che racchiudeva e dava chance bellissime a tutta la generazione dei piloti tricolori di F.1 di quegli anni, tra i quali Riccardo Patrese, Michele Alboreto, Alessandro Nannini, Teo Fabi, Pierluigi Martini, Beppe Gabbiani, Mauro Baldi, Paolo Barilla e Piercarlo Ghinzani. Vedendo il line-up prescelto per la 499P sento proprio il profumo di ciò e questo è già molto bello, ancor prima del via di Sebring".
Da lì in poi sarà quel che è giusto che sarà. Anche se Pirro, pur non sporgendosi in pronostici spericolati, pone in essere una ragionevolissima quanto credibile analisi: "Antonello Coletta & Amato Ferrari, insieme a tutto il team, stanno affrontando il ruolo degli esordienti di categoria nel miglior modo possibile. È vero che Sebring è una pista molto impegnativa per debuttare, ma è anche innegabile che questo esordio viene fatto dal miglior organico possibile, preparato nel modo ideale e con un prototipo di top quality. Per cui, sinceramente, pur richiamando alla prudenza nelle previsioni, dico che non sarei sorpreso di trovarmi di fronte a una prestazione molto importante in gara, viste le bellissime premesse. Non dico altro, per correttezza e scaramanzia". E quindi poniamo la massima attenzione e magari ritagliamoci già un po’ di spazio emotivo e affettivo, pensando alla 1000 Miglia di Sebring del prossimo weekend. Perché lo merita, questa Ferrari, con tutto ciò che di stupendamente nostro incarna e porterà in giro per il mondo. In sette gare, tre continenti, di notte e di giorno, tornando finalmente a regalarci un sogno stupendamente italiano.