Ferrari, la Rossa e casa Imola

Ferrari, la Rossa e casa Imola

Da Piero, figlio di Enzo, arriva un racconto bello, caldo e profondo sull’importanza di Imola, sull’evoluzione della F1 e sull’attuale momento che sta attraversando il Cavallino

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Pino Allievi

19.05.2023 11:21

Imola e la Ferrari: non è solo un atto d’amore che parte da lontano e che si è tramutato – anche – in un autodromo che porta il nome di Enzo e Dino, ma è qualcosa di più. Un sentimento che non si affievolisce con gli anni, un circuito che unisce passato e presente in una serie di vicende liete e anche tristi, di trionfi e mugugni, di liti e rappacificazioni, come l’abbraccio tra Lauda e il Grande Vecchio che nell’aprile 1982, durante un test, sciolse un gelo che durava da troppo tempo.

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Imola e Ferrari sono una storia dentro la storia. E Piero Ferrari ne è il pieno testimone ma anche attore, col suo stile defilato, l’eleganza dell’apparire il meno possibile, la cortesia e la competenza che ne fanno l’indiscusso punto di riferimento della fabbrica-miracolo di Maranello. Perché Piero è Ferrari.

Ingegnere, se le dico Imola che cosa le viene in mente?
"Mi evoca prima di tutto un ricordo bellissimo. Ero un ragazzino, appassionatissimo di moto e, accompagnato da un amico di mio papà, andai a Imola ad assistere a una gara internazionale, credo fosse il 1957 o ’58, nella quale correva John Surtees, che vidi vincere con la MV Agusta. Parliamo di poco prima che John cominciasse a pensare di gareggiare solo con le auto. Un pilota affascinante su due e quattro ruote e fui ovviamente felice quando conquistò il titolo mondiale di Formula 1 con la Ferrari. Mio papà aveva un debole per i piloti che provenivano dalla moto".

Suo papà è stato uno degli ispiratori dell’Autodromo di Imola, concependolo subito come un impianto a livello internazionale: "È un piccolo Nuerburgring", lo definì. Addirittura, ancora prima che l’impianto fosse ufficialmente inaugurato, avviò una trattativa per allestirvi una mini struttura Ferrari all’interno...

"Sì, voleva farci una base, se non proprio una fabbrica, con un certo numero di tecnici trasferiti da Maranello, per costruire auto da corsa. A quei tempi, non appena una macchina era pronta si era tutti pervasi dalla frenesia di mettere le quattro ruote a terra e provarla. La Ferrari lo faceva, prima di avere Fiorano, all’Aerautodromo di Modena, ma io ricordo quando, ancora prima, il nostro capo meccanico Borsari provava le Formula 1 nei vialetti all’interno della fabbrica, per vedere se tutto stava insieme, se entravano le marce. Mio papà adorava vedere una sua auto uscire dal portone dell’officina ed entrare in pista. Ma il progetto imolese si arenò".

Dopo quella gara di moto, quando tornò a Imola per le auto?
"Un sacco di volte, perché Imola è a due passi da casa e ho assistitto da vicino alla maggior parte delle corse. Direi che la prima volta che vidi le auto al Santerno fu in occasione delle gare degli Sport Prototipi, le famose 500 Chilometri, corse bellissime, con tanto pubblico".

Dalle moto alla F1

Poi arrivò la Formula 1 ed il merito fu, ancora una volta, di suo papà e dei suoi rapporti stretti con Bernie Ecclestone.

"Sì, mio padre si adoperò in prima persona e venne inventato il Gran Premio di San Marino. Una cosa non banale".

La prima volta della Formula 1 moderna a Imola fu la gara del 1979, quando Villeneuve con la Ferrari venne superato da Lauda con la Brabham-Alfa Romeo e poco dopo lo tamponò.

"Gilles non mollava mai, Lauda era Lauda...".

Da Villeneuve al sogno Senna

Villeneuve disputò a Imola l’ultima gara della sua carriera, in quel fatidico 25 aprile 1982 in cui venne superato da Pironi e scoppiò la polemica per gli ordini di squadra non osservati da Didier.

"Io c’ero, mi trovavo al muretto e devo confessare che noi non capimmo che cosa fosse successo, perché a quel tempo non c’erano i maxischermi e neppure le mini-tv ai box. Avevamo solo i tempi sul giro Non capivamo bene se i due tiravano o meno e che cosa succedeva nelle curve. Noi davamo i segnali, come quel famoso cartello “slow”, per invitarli a non prendere rischi. Fu un episodio che analizzammo a lungo, con filmati e dati, senza venirne mai davvero a capo. Ho anche rivisto tutto nel recente docufilm su Didier e Gilles".

….

Ayrton in gran segreto venne a Maranello a parlare con suo padre: non se ne fece nulla ed il suo passaggio alla Ferrari, auspicato da tutti, non si concretizzò mai. Perché i rapporti tra Senna e suo papà non sfociarono in un accordo?

"Quando parlarono c’ero anch’io. Ci furono delle questioni non chiarite sino in fondo. Ayrton voleva garanzie di competitività della macchina e di qualità dei tecnici che mio padre non era solito dare. E la cosa finì lì. Però il contatto con lui è sempre rimasto. Non c’era anno che Ayrton non mi mandasse gli auguri di Natale. Magari un giorno sarebbe venuto da noi, chi lo sa...".

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