Intrighi di potere, l'assalto invisibile che passa dalla F.1: l'inchiesta

Intrighi di potere, l'assalto invisibile che passa dalla F.1: l'inchiesta© Getty Images

Un piano perfetto per accentrare nel Golfo persico sempre più ricchezza, motorsport e grande calcio ideali per lavare le coscienze sporche dei Paesi canaglia: la nostra inchiesta

Stefano Tamburini

16.08.2023 12:29

Il gioco sporco a un certo punto comincia ad avere il cattivo odore di un’esplosione a meno di tredici chilometri in linea d’aria dal circuito di Jeddah. È il 25 marzo 2022, si corre per la seconda volta il Gran Premio dell’Arabia Saudita di Formula Uno in un luogo contestato dai piloti – e, certo, non solo da loro – per via del mancato rispetto dei diritti umani in quel Paese dove l’arretratezza della civiltà è la base dell’oppressione. Ma è un teatro che piace tanto ai padroni del vapore, perché porta tanti, tantissimi soldi.

Quel giorno c’è il serio rischio che possa saltare o essere comunque minato alla radice quello che è molto più di un intrigo internazionale, perché i piloti hanno paura e minacciano di non correre. Hanno saputo che quello è un attentato, che dei ribelli yemeniti stanchi dell’oppressione del regime saudita hanno puntato i missili – peraltro forniti dall’Iran – sui depositi dell’Aramco, società petrolifera di Stato e sponsor della Formula Uno, proprio nel primo giorno del Gran Premio e che magari il prossimo ordigno avrebbe potuto finire sul circuito.

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La F.1, i missili yemeniti e la Guantanamo araba

Così minacciano di non correre. E sembrano piuttosto compatti. Alla guida della “rivolta” c’è il più coinvolto fra i piloti nella tutela dei diritti civili, Lewis Hamilton. E peccato che non ci sia Sebastian Vettel, bloccato a casa dal Covid, perché è l’altro uomo forte dell’impegno civile. Ma il rischio del “tutti a casa” per qualche ora è più che concreto. E chissà cosa avrebbero fatto se avessero saputo che, volgendo lo sguardo sul fronte opposto a quello delle colonne di fumo nero, c’era (e purtroppo c’è ancora) qualcosa di ancora più maleodorante di quei depositi inquinanti. È una delle Guantanamo arabe, la Dhahban Central Prison, un carcere speciale dove vengono rinchiusi detenuti politici, luogo di torture e anche di morte, gestito al di fuori dell’apparato carcerario di Stato. Lì entrano persone che spesso non escono più se non distese con i piedi avanti, lì entrano persone senza che nessuno lo sappia che sono state portate lì.

La Guantanamo araba è a 24 chilometri da dove si corre per la gloria. E nessuno, o quasi, ne è a conoscenza. E certamente non lo sapevano i piloti che minacciavano di andarsene, memori anche di quanto era accaduto in Formula E, il 27 febbraio dell’anno precedente, sul circuito di Diriyadh, in prossimità della capitale Ryad. Quattro missili, lanciati dai ribelli Houthi dello Yemen, erano stati abbattuti dalle contraeree e i frammenti erano finiti a ridosso del circuito.

I lavoratori senza diritti di Jeddah

Ma ci sono altre cose che si conoscono o, quantomeno, si sospettano. Quell’autodromo, dove si è corso per la prima volta appena pochi mesi prima, il 5 dicembre 2021, è stato tirato su in una zona lagunare bonificata per l’occasione, in appena otto mesi. A nessuno viene da chiedersi se il metodo usato sia lo stesso che ha portato alla morte 6.500 operai-schiavi utilizzati per la realizzazione degli stadi del Mondiale in Qatar? Eppure i rapporti di Amnesty International parlano chiaro. A Jeddah sono stati utilizzati lavoratori stranieri in stato di semi schiavitù, pagati due euro l’ora, per turni anche di 12 ore. Se ne sa poco di più, perché nessuna organizzazione umanitaria può accedere ai cantieri. Ma in quell’occasione salta l’ultimo punto di non ritorno, anche se ormai è tardi per invertire una tendenza scattata con la discesa in campo come grande finanziatore del Circus di Aramco, azienda petrolifera di Stato saudita. La più inquinante al mondo.

Sì, è tardi perché ormai non è più solo sport, il grande calcio e la Formula Uno sono un ciclopico affare, uno scacchiere dove si gioca una grande partita di potere e di soldi, tanti soldi. Quelli che per gli arabi sono spiccioli, rispetto a fatturati gonfi come miriadi di milioni di depositi di Zio Paperone messi in fila, per la Formula Uno e per il Sistema Calcio sono vagonate di milioni, miliardi vitali per la sopravvivenza…

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