Imola 1994, Ratzenberger e Senna: 30 anni dopo, ma per sempre

Imola 1994, Ratzenberger e Senna: 30 anni dopo, ma per sempre© AFPS

Sono passati tre decenni dal terribile fine settimana di Imola che si portò via Roland Ratzenberger ed Ayrton Senna: giusto ricordarli insieme, così diversi e così distanti, ma uniti dallo stesso tragico destino sulla stessa pista

01.05.2024 ( Aggiornata il 01.05.2024 09:31 )

Trent'anni possono essere un'istante oppure un'eternità. Fa tutto parte della relatività del tempo, di come la vivi o di come l'hai vissuta. Per chi c'era, Roland Ratzenberger e Ayrton Senna è come se non se ne fossero mai andati, mentre per chi non ha fatto in tempo a vederli in pista è come se appartenessero ad un'altra epoca, lontanissima dalla loro. Questione di relatività, appunto.

La memoria è un dono da coltivare tutti i giorni, in qualunque ambito. Ma nelle ricorrenze tonde, quelle speciali, ricordare fa sempre un po' più male. E nel ricordo vanno entrambi, Roland e Ayrton: perché si tende a dimenticare il primo, ma di questo non ne sarebbe stato felice nemmeno il secondo, che non a caso si era portato nell'abitacolo di quel maledetto 1 maggio 1994 una bandiera austriaca da sventolare per Roland. Indipendentemente dal risultato finale di quella corsa, Ayrton nel giro d'onore avrebbe voluto sventolare quella bandiera austriaca in ricordo del collega scomparso circa 24 ore prima. Quella bandiera, purtroppo, è rimasta ammainata, ritrovata in un abitacolo senza più anima, volante e pilota. Un abitacolo senza più Ayrton, l'ultimo spazio vitale del brasiliano. 

Così diversi, così uguali

Tra il Tamburello e la curva Villeneuve ci sono poche decine di metri, nulla più. Tra Ayrton Senna e Roland Ratzenberger, invece, c'era un mondo: uno era la star, l'altro invece rappresentava il proletariato della F1, quello che lotta e combatte al solo fine di ottenere una qualificazione in griglia di partenza. Roland, disposto pure a metterci dei soldi, ad investire su se stesso per una parte finale di carriera più radiosa della prima. Erano coetanei, Ayrton e Roland, ma nulla li accomunava, se non la passione per le corse. Austriaco uno, brasiliano l'altro: eppure non avrebbero mai pensato di essere accomunati per sempre, dallo stesso destino incontrato sulla stessa pista

Gli ultimi ricordi di Ayrton e Roland

Ad Ayrton, come tutti, Roland si ispirava; per Roland, invece, Ayrton soffrì in quel 30 aprile 1994, un sabato maledetto come lo sarebbe stata la domenica successiva. Una corsa in ospedale per sapere prima di tutti il destino del collega, una sofferenza sincera, un ricordo da sventolare insieme a quella bandiera austriaca. Lontani in pista, vicini nel destino, Roland e Ayrton non fecero in tempo a scontrarsi in gara: mezzi tecnici e naturali troppo differenti. Ma sotto il casco, forse, erano più uguali di quanto si possa immaginare: passione, agonismo, duro lavoro come mezzo per arrivare al fine. Di Senna sappiamo tutti: il modo di intrattenersi con i tecnici, il lavoro fino a notte fonda con i motoristi della Honda nell'era McLaren, il suo modo di chiedere e pretendere una macchina al top. Di Ratzenberger si sa meno, ma preziose risultano le ultime testimonianze di chi gli stava attorno, come il compagno di squadra David Brabham oppure Nick Wirth, capo squadra della Simtek e progettista di quella S941: entrambi ricordano la sua volontà di migliorare in frenata e nella percorrenza delle curve lente, digerite peggio di quelle ad alta velocità. Dopo le esperienze tra prototipi e monoposto, tra Le Mans, F3 e Formula Nippon, Roland non riusciva a far ruotare come avrebbe voluto una F1 nelle curve da bassa percorrenza, "ma in termini di coraggio ed impegno - ricorda Wirth -, che solitamente si dimostrano nelle curve ad alta velocità, non gli è mancato nulla". Era un venerdì di lavoro anche quella volta, quando pur nell'osservare il povero Rubens Barrichello andare contro le barriere, lo show doveva andare avanti: e Roland cercava l'assetto giusto, tra freni ed altro, per centrare una qualificazione che tutti nel box sapevano sarebbe stata difficile. E sempre in quel venerdì, uno degli ultimi ricordi di Roland è quello dell'amico Johnny Herbert: "Parlammo dell'incidente di Rubens, lui mi disse che da piloti saremmo dovuti restare un po' più uniti sulla questione sicurezza".

Magari succedeva proprio negli istanti in cui Ayrton andava a trovare il suo connazionale in ospedale, mentre anche tra gli altri colleghi ci si domandava che cosa non andasse su quelle F1, pur se era impossibile immaginare che cosa sarebbe accaduto nei due giorni successivi. Verso un epilogo triste ed imprevedibile, per quei due che, a loro modo, stavano portando il tema della sicurezza al primo posto, così come altri colleghi.

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Milton e Rudolf

Poi però il botto alla Villeneuve, nel pomeriggio di sabato. Dopodiché l'incidente del Tamburello, alle ore 14.17 della domenica, fino al bollettino medico della 18.40: "Il cuore ha smesso di battere". Finiva l'era Senna, dopo che da un giorno era già finita pure l'epoca Ratzenberger. In Brasile ci furono i funerali di Stato, in Austria furono più umili quelli della famiglia Ratzenberger. Personaggi e carisma diversi, ma uguali nel dolore di un figlio scomparso: Milton da Silva, in Brasile, fu più freddo, Rudolf Ratzenberger invece non è mai riuscito ad odiare le corse nonostante gli abbiano portato via un figlio. In questo, nel tempo, ha ricordato un altro padre rimasto senza pargolo, un dramma così grande che l'uomo non ha mai sviluppato una parola che rappresenti quella condizione: perché un figlio che perde un genitore può definirsi orfano, ma non esiste termine che identifichi la condizione contraria. Quel padre, comunque, è Paolo Simoncelli, papà di Marco: come Rudolf, non è mai riuscito ad odiare le corse, moto o auto che siano. Rudolf Ratzenberger, comunque, parlò così: "Come c'è scritto sulla lapide di Roland, ha vissuto per il suo sogno. E io non sono mai riuscito ad odiare questo sport. Sarebbe stato facile farlo, ma poi ho capito che non sarebbe cambiato nulla".

Ayrton Senna e l'intervista dimenicata del 29 aprile 1994

Senna per sempre

Per quei padri o quelle madri sì, forse perdere un figlio è una dannazione eterna. Per gli altri, per il concetto della relatività del tempo, che sia un'istante oppure un'eternità probabilmente poco importa. Perché è in casi come questi, quelli delle ricorrenze tonde e proprio per questo più dolorose delle altre, che prendiamo per buono un postulato, indimostrabile per definizione e semplice concetto deduttivo assunto per buono: ricordare è giusto ricordare ogni giorno, soprattutto quando ti rendi conto che, a suon di scriverne e parlarne, Ayrton e Roland sono sì un ricordo, ma sono per sempre.

Da martedì 30 aprile è in edicola un numero speciale dedicato ad Ayrton, con un doppio poster dedicato al Campione brasiliano a 30 anni dalla sua tragica scomparsa.


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