GP Australia: i 5 temi del fine settimana

GP Australia: i 5 temi del fine settimana© Getty Images

Una domenica grottesca, quella che la F1 ha vissuto a Melbourne: le decisioni della direzione gara hanno oscurato il successo in solitaria di Verstappen, le vicende di casa Ferrari ed i primi punti in carriera per Oscar Piastri

03.04.2023 ( Aggiornata il 03.04.2023 10:11 )

Albert Park? No, Luna Park

Per un attimo si è pensato che in direzione gara fossero diventati tutti comunisti, con quella mitragliata di bandiere rosse. E invece era sola la deriva filo-spettacolare che ha preso una F1 che a Melbourne ha rinnegato sé stessa. Per cui c'è poco da ridere e poco da scherzare, perché quello andato in scena all'Albert Park, da oggi ribattezzato Luna Park, è una pagina che può segnare un prima e un dopo.

Se l'ingegneria sovrasta lo sport, si perde l'elemento umano e non è più sport. Se lo sport uccide lo spettacolo, si può pensare negli anni ad un regolamento diverso per riequilibrare un po' le forze in campo. Ma quando è lo show che prende il posto dello sport, quando l'ingegneria e la tecnologia sono viste come un intralcio (come sul discorso delle prove libere) alla spettacolarizzazione, allora sì che si è varcato un punto di non ritorno.

Inutile girarci intorno, a Melbourne 2023 Federazione Internazionale e Liberty Media ci hanno perso la faccia e la credibilità. L'abuso di bandiere rosse è un insulto alla funzione primaria della bandiera rossa, introdotta per casi estremi e non come artificio per provare a riscrivere classifiche di arrivo di fatto già scritte. Perché ormai la bandiera rossa, più che per grandi pericoli, viene vista come un'opportunità per dare l'ultimo sussulto ad un GP. Ed è un paradosso: la bandiera rossa, nata per fermare le vetture in caso di grosso pericolo, è diventata uno strumento che il pericolo invece lo crea. Perché se imponi una partenza da fermo a due giri dalla fine, non può essere altrimenti: saltano i concetti di pazienza e lungimiranza, saltano i concetti di gestione gara, diventa tutto un “o la va o la spacca”, proprio perché un pilota sa benissimo che, con appena due giri di gara (e senza Drs), non avrà mai un'opportunità ghiotta come quella della prima curva. Poi è vero, sono professionisti e se succede un incidente multiplo qualcuno che sbaglia c'è per forza: ma in questo mondo, di gente infallibile, pare non esserne ancora nata.

La gestione gara del GP d'Australia è stata semplicemente il teatro dell'assurdo. Già la prima bandiera rossa per l'uscita di pista di Albon è parsa forzata, ma su quella si può essere d'accordo: con una piccola gru per ripulire la pista dalla ghiaia, e dopo tutte le polemiche delle due Suzuka (2014 e 2022), fermare la corsa è stato forse eccessivo, ma da un certo punto di vista comprensibile per evitare le polemiche sui mezzi di rimorchio sul tracciato. Però un conto è fermare la corsa, un conto intravedere la possibilità di rimescolare le carte: e quindi si è deciso per la seconda partenza da fermo di giornata. Quello che fa orrore, è che non ci sia un regolamento: si decide per “standing start” (partenza da fermo) o “rolling start” (partenza lanciata) di volta in volta, con i piloti che nella storia recente si sono avviati per il giro di riscaldamento senza nemmeno sapere se ci sarebbe stata una o l'altra. Tutto, dunque, è ad interpretazione dei commissari di gara: ed in una domenica senza mordente, è chiaro che vadano sempre nella direzione dello show.

Quella che per tanti anni è stata una regola, cioè la ripartenza dietro la safety car, pare essere diventato un optional non più richiesto. Eppure, fino a pochi anni fa, era tanto semplice: se si perde qualche giro in più dietro la safety car (come nel caso di Albon), pazienza. E se il GP è costretto a finire dietro la safety car, pazienza pure in quel caso. Qui però una buona fetta di tifosi deve fare ammenda: se un GP di tanto in tanto termina dietro alla vettura di sicurezza, si deve accettare punto e basta. E' lo sport, che prevede un finale del genere. Certamente non elettrizzante, ma logico dopo una corsa lunga più di 50 giri. Più che logico, di buon senso: un incidente a pochi passaggi dal termine toglie lo spettacolo degli ultimi giri, ma non può diventare occasione di rimettere in discussione tutto quello che si è visto fin lì.

E qui rispunta Abu Dhabi 2021, anche in quel caso con una storia diversa. Safety car e partenza lanciata. Rispunta pure Baku 2021, bandiera rossa e ripartenza da fermo a tre tornate dalla bandiera a scacchi. E rispunta l'inizio di tutto, Mugello 2020: allora, in un mondiale ormai privo di verve, si azzardò la tripla partenza da fermo. Quello sì, che è stato un punto di non ritorno. E gli stessi tifosi che nella domenica australiana sugli spalti ululavano in attesa dell'ultimo via, sono gli stessi che dopo il disastro hanno fischiato (per fortuna, qualche “buuu” c'è stato). Incoerenti, o forse semplicemente pentiti: perché i nuovi tifosi, quelli per i quali si sta giustificando la qualunque, sono nuovi appunto e forse acerbi, ma non stupidi. E prima o poi, capiranno che non ha senso seguire una corsa se poi un evento collaterale riscriverà completamente la classifica finale.

L'invettiva collettiva che si è scatenata dopo l'Australia deve lasciare un segno. Liberty Media e Fia, anziché decidere il format del fine settimana di Baku a quattro settimane dalla disputa dell'evento (!), dovrebbero almeno discutere di una gestione a dir poco deficitaria. Ed è inevitabile, qualche anno dopo, sentire l'eco di quelle parole di un Bernie Ecclestone che tuonava così: Io avevo costruito un ristorante stellato, loro lo vogliono trasformare in un McDonald's. Era il 2017. Non una vita fa.

Rivivi la domenica di Melbourne


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