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Con Max Verstappen ritorna l'Uomo

Con Max Verstappen ritorna l’Uomo. Perché ormai in pista la sfida più bella non è tra piloti, ma tra l’Uomo e la macchina. Ovvero Max Verstappen, al volante di una Red Bull rinfrancata e comunque vulnerabile, e la McLaren costantemente superiore ma zavorrata dai fantasmi psicologici di Lando Norris e dalle paturnie bioritmiche di Oscar Piastri, uno che se la mattina si alza dal materasso col piede sbagliato sembra il cugino semisveglio di Perez e se invece tocca lo scendiletto con quello giusto diventa per tutto il giorno il gemello di Flash.

Poche storie, Austin racconta una storia semplice e grande. In Formula Uno, in questa Formula Uno, c’è un pilota, lui, Max, una spanna più su degli altri per classe, combattività e soprattutto personalità e carattere. Ossia per luminosità e consistenza del suo essere.

UNO TOSTISSIMO

Dai, poche volte nella storia ci si è trovati davanti a uno dalla spina dorsale simile, ciascuno immagini quali e quante, ma questa è certamente una di quelle.

E così nel Circus ipertecnologico, standardizzato, bonificato e deumanizzato, piaccia o meno, a dare il contributo di umanità più pura selvaggia, tosta, talentuosa e ignorante è proprio Max Verstappen.

Certo, parlarne in toni troppo trionfalistici e risoluti sarebbe sbagliato, visto che il mondiale Piloti appare tutt’altro che aritmeticamente deciso, ma se le tendenze, i segnali e gli orientamenti contano, contro l’olandese Lando Norris non può avere scampo, giacché, oltre a doverlo sfidare, deve ogni volta fare i conti con il suo nemico peggiore e più spietato: se stesso.

LA TEMPRA DI MAX

Detto questo, dal Texas - ben al di là del trionfo di tappa di Leclerc e della Ferrari, col figurone doppio dell’irriducibile e commovente Sainz - a giganteggiare, ben più di curva 1 alta quanto un palazzo di dieci piani e assai meglio della Cota Tower che stazza 77 metri, è la tempra di SuperMax, che dà segnali favolosi di vitalità e forza, come da tanto, tantissimo tempo non capitava.

Dai, facciamo due conti. Dal 2014 al 2020 i mondiali li ha vinti di cavalleria tutti la Mercedes, quindi poca gloria per Hamilton pur bravissimo e per lo stesso Rosberg, ché se Lewis non tira fuori una biella, di pura sfiga, in Malesia 2016, il titolo non lo vince mai nella vita.

Poi ci sono le tre feste iridate di Max. La prima, anno 2021, quella del finalone malvissuto da Michael Masi ad Abu Dhabi, si basa su un errore arbitrale nell’assegnazione del gol determinante, quindi non consideriamola neanche. Le altre due, targate 2022 e 2023, son tutte ingegneristicamente attratte dal genio di Newey che dota i suoi di una monoposto così superiore che per vincere basta portarla al traguardo senza esagerare coi Campari.

Poi di mondiale arriva questo e accade una cosa sorprendente, che poco c’entra con i colori sociali, il tifo, gli schieramenti e i nazionalismi o i campanilismi vari.

UOMO SOLO AL COMANDO

Perché a un terzo di stagione un uomo solo è al comando, Max, il suo vantaggio si assottiglia sempre più e i suoi avversari aumentano spietatamente, dentro e fuori dalla pista.

Al box suo padre e Marko fanno il cinema contro il team principal Christian Horner che squisitamente contraccambia, mentre il genio Newey, a palle silenziosamente rotte, da Miami in poi si cava le cuffie salutando la poco allegra e chiassosa brigata. Lasciandole in mano la monoposto Red Bull che in fondo capisce, conosce, sa gestire e far crescere solo lui al mondo, quindi pensa te che casino succede.

E questo è niente, perché nel frattempo Max si ritrova contro a ogni pie’ sospinto anche la Federazione, in quanto lui appare sempre più uno ben dotato e sfrontato anche dialetticamente, un parlachiaro diverso dai signorsì o dai felpati giovani democristiani che costituiscono gran parte dei Circus di oggi.

Max, insomma, è un Maradona perennemente sobrio e senza vizi, ma dotato della stessa impudenza imprudente del Pibe, quando ci si mette, e per Ben Sulayem è un attimo trasformarsi nel ritornante istituzionale di Joao Havelange, con scintille e tensioni che esplodono per un nonnulla.

E c’è tant’altro, perché nel frattempo la McLaren navigata meravigliosamente da Andrea Stella svernicia tutti e a turno Ferrari e Mercedes vivono, a corrente alternata, giornate in cui diventano astronavi contro le quali c’è poco da fare.

Max, insomma, a tre quinti di stagione è all’angolo ovunque. In pista, in politica e al box. Sulle prime sbrocca e in Austria con Norris si rimette a fare sterilmente il figlio di buona donna, come spesso prima gli capitava.

LA RIFLESSIONE

Poi no. Riflette. Respira. Conta fino a venti e cambia modulazione, trasformandosi da brasiliano del volante, tutto racing bailado, in sontuoso catenacciaro dell’iride. Dando vita ad Austin alla difesa attiva più bella e spettacolare nella storia della Formula Uno recente, fino a tirar scemo il povero Lando Norris che ormai è in quello stato mentale e agonisticamente affettivo in cui si diventa autorizzati a cantare “Ci vorrebbe un amico” di Antonello Venditti.

Insomma, il Texas parla chiaro. Nella Formula Uno il mondiale non se lo stanno giocando due piloti, ma uno solo, contro tutti. Il più bravo, il più tetragono, il più sfacciato, il più spregiudicato, contrapposto al mondo intero.

E così improvvisamente scopriamo che per simpatico o antipatico che sia in questa Formolaunaccia tutta quattrini, giocacci, lustrini, lusso e finto glamour, in mezzo a un oceano oleoso e maleodorante di cose mica tanto carine, si staglia il comignolo della presa d’aria della Red Bull di Max che difendendo strenuamente se stesso, la sua leadership e la voglia di far suo il quarto mondiale, sta compiendo passo dopo passo, gara dopo gara, la sua impresa più bella.

IL TARGET

Quella del primo titolo iridato turboibrido finalmente conquistato dall’Uomo, da un ragazzo non alieno da difetti a tratti scostanti ma immensamente ricco di qualità lucenti e anche di attributi, diciamolo, dal diametro, dalla preziosità e dalla consistenza dei diamanti più puri incrociati con le noci tignose di nonna.

Cari appassionati della saga di Terminator, egregi studiosi del neo Umanesimo, esimii denunzianti la disumanizzazione delle corse, sappiate che questo mondiale e le gare che ci restano rappresenteranno la sfida e l’esaltazione finale di un semplice Uomo contrapposto alle macchine, ai poteri e al Sistema.

Così, gira gira, il quarto titolo di Max potrebbe essere il più vero per lui e quello più disintossicante per tutti noi.