No, ma, dico, avete visto che monumentale figura di nauseante melma ha fatto, in occasione del mancato Gran Premio d’Australia, l’intero mondo della F.1? Va bene la percezione differita, la sensazione del problema Covid-19 che non doveva né poteva essere in diretta quella di un pronto soccorso di Codogno, però arrivare alla vigilia immediata della gara senza ancora una pronuncia, una decisione e una presa di posizione, resta una cosa scandalosa, deprimente e quasi immorale.
Il perché della lettera aperta
Tanto che a un giorno dall’accensione dei motori per la prima sessione di prove libere, anche noi di Autosprint ci eravamo fatti sentire, con un appello diretto e accorato al mondo della F.1. Perché? Be’ semplice. Non se ne poteva più del silenzio totale inframezzato da argomenti del tipo “ormai abbiam portato tutta la roba a Melbourne e tanto vale correre, sennò era meglio non farci partire...”.
Così ne parlo col direttore Andrea Cordovani, il quale concorda sull’opportunità di muoverci in prima persona, mettendoci la faccia, perché così proprio non si può andare avanti. Ed ecco che nasce una sorta di lettera aperta, che più che volentieri firmo e che qui, a futura memoria e per correttezza di cronaca, riporto integralmente:
Cari amici della F.1, fermatevi. E’ giunto il momento di prendere posizione, di non nascondersi più, di schierarsi e dare segnali forti e responsabili. Covid-19 non è più un problema particolare, circoscritto e circoscrivibile, ma ufficialmente è stato riconosciuto causa di pandemia. E’ un guaio grosso, una tragedia del mondo, non di questo o di quello, ma di tutti. La Formula Uno non può ne deve ignorare tutto ciò. Deve dare un segnale responsabile, forte e consapevole e non può che essere quello di fermarsi. Dove, come e per quanto? Presto, prima possibile e senza esitazioni. In modo netto, chiaro e per quanto serve. Al di là dei rischi specifici e della situazione di salute dei singoli membri del Circus. Quand’anche fossero tutti immuni per decreto divino, devono dare un esempio, prendere un aposizione, diffondere un modello.
E, dal punto di vista comportamentale, morale e allo stesso tempo sportivo, non può che essere quello dell’astensione dall’attività. In una situazione come questa, il vero sportivo è colui che non fa sport. Che sa rinunciare, perché esistono interessi ed ideali ancor più alti. Fermati, Formula Uno. Non te lo abbiamo mai detto, né chiesto, in oltre mezzo secolo. Come testata abbiamo sempre difeso le corse sui circuiti e nelle condizioni più estreme, in favore del coraggio, della sfida al limite e del rispetto al concetto di sport per duri e puri.
Ma stavolta è diverso. Il nemico è subdolo, invisibile e mortale e va sconfitto con un comportamento adeguato, dal quale la Formula Uno stessa non deve né può essere dispensata o esimersi. In inverno s’è stoppata per ben tre mesi solo per risparmiare soldi. Giusto, magari. Ma ora è tempo di fermarsi al fine di dare un segnale etico e comportamentale, al alta eco mediatica e forte incidenza sociale, per risparmiare vite umane.
Le prese di posizione
Col senno di prima, del durante e di poi, siamo molto orgogliosi di queste righe, che, a quanto pare, hanno avuto accoglimento concreto e sono state ascoltate pur solo con molte ore di ritardo, ma se non altro non sono cadute nel nulla. Eppure, l’impressione generale resta.
Ovvero quella del Circus iridato che appare sempre più una conventicola di milionari mediamente fuori dal mondo. Gente che tendenzialmente si fa i cavoli suoi, entusiasta d’essere entrata in un gochino che rende ricchi in poco tempo mentre tutti gli altri, quelli del mondo esterno, vadano pure a quel paese. Anzi, paghino e zitti, come sempre.
Dai, per fortuna, appena passata la metà di questa settimana di passione, sono arrivate le prese di posizione dei due piloti più amati e maturi, a quanto pare non soltanto dal punto di vista puramente anagrafico, vale a dire Lewis Hamilton e Kimi Raikkonen, i quali hanno lasciato chiaramente intendere di avere un cervello per pensare e una personalità per scegliere, tali e quali a Ogier, che s’è detto ben poco felice perfino d’aver corso e vinto nel Rally del Messico.
E che non sempre il dio denare deve muovere destini e realtà senza mai inchinarsi a valori e situazioni decisamente più all’insegna di empatia, solidarietà ed adesione a modi di fare ed essere finalizzati al rispetto dell’uomo e non solo al guadagno, alla competizione fine a se stessa o alla desolante sfida a chi è più furbo.
Grazie, Lewis, e grazie anche a Kimi. Avete svettato su tutti e il grande merito è quello di esserci riusciti senza neanche calzare casco e tuta o spingendo un acceleratore, ma a viso scoperto, dicendo cose importanti e nobili, oltretutto in netta controtendenza con l’atteggiamento furbino, da struzzi ovvero da fischiettanti cerchiobottisti di gran parte degli uomini famosi e forti del vostro ambiente. E questo, ahimé, va detto e pure anche strillato.
Addio safety first
Ma come, cara Formula Uno tutta, e cari tuoi padri, padrini e padroni... per anni e anni ci fate due palle così al grido di safety first, la sicurezza innanzitutto, guai se qualcuno si fa un po’ di bua, piuttosto facciamo i Gran Premi mezzi finti e corriamo con le Polystil, e poi ti scoppia la pandemia ed ecco che provate a voltarvi tutti dall’altra parte?
Ma come, sei da anni ci date lezioncine e fate le anime belle dicendo che non si può non prendere atto dell’esigenza di contenere le emissioni per avere un mondo migliore, predicando una strana e astrusa formula tecnica semielettrificata, siete diventati paladini ecologisti, salutisti e integralisti e poi, mentre l’Italia conta il millesimo caduto, fate finta di niente ed aspettate ore e ore addirittura solo a ufficializzare che non si correrà in Australia, né, per ora e fino a che la situazione non tornerà vivibile, presumibilmente neppure altrove?
Ma dove vivete? Altro che a Montecarlo o in Svizzera per beffare l’ufficio tasse, voi la residenza l’avete sulla Luna, ma non nel mare della Tranquillità, no, ma nell’Oceano del Paraculismo che mediamente di contraddistingue. Con piacevoli ed importanti eccezioni ma anche con un conformismo appecoronato non sporadico e certamente tutt’altro che accettabile. Perché in realtà mezzo Circus voleva correre eccome, massì, chissenefrega, invocando l’articolo 1 comma 1 della legge del menga.
Sapete cosa c’è? Di fronte a quanto è successo e non è successo in occasione del mancato Gp di Melbourne, viene tanto da pensare che tutto quel passato squittire per sicurezza, rispetto per l’ambiente, impatto zero e quant’altro, fosse un ammasso di peloso buonismo d’accatto, che ben poco ha a che vedere con i valori veri più nobili e fondanti dello sport.
A oggi, dopo la pessima immagine che la F.1 ha dato di se stessa in Australia, la sensazione è quella di un mondo, di un ambiente, che ha bisogno di un’immensa bonifica morale, a partire da una corposa e concreta lezione d’educazione e rieducazione al vivere cortese e civile.
Anche perché, a forza di barricarsi dietro barriere magnetiche, dopo decenni di sfoggi goduriosi di pass esclusivi, di paddock club, di vip class e d’invocata distanza dalle masse e dagli sportivi di tutti i giorni, ecco, dai e dai, sarà bene riatterrare a misura d’uomo, parcheggiare il disco volante - possibilmente non in divieto di sosta o sul posto per i disabili -, chiedere scusa e riabbracciare lo spirito con cui le corse, tanti, troppi anni fa, erano nate.
Racing Fraternity
Quel senso di comunanza viva e vera che permetteva al nostro modo di autodefinirsi con orgoglio “racing fraternity” e che adesso sembra sempre più tutt’altro. Forse la vera sfida per la Formula Uno al tempo del Covid-19 è quella di provare a smettere di sentirsi un coacervo di fenomeni, il massimo, l’estremo, il diverso da tutto. Tentando di recuperare una dimensione più umana, inclusiva e collegata col mondo fatto di persone reali e vulnerabili.
Anche perché, non dimentichiamolo, il Circus non è mica una miniera di diamanti che campa estraendo meraviglie a 24 carati. No, è pur sempre grazie all’interesse, all’audience e alle strisciate di carta di credito che le assicuriamo, che campa, pasce e si bea. Quindi, attenzione, signori miei. Da anni e anni vado dicendo e scrivendo che la misura appare sempre più moralmente colma. Gli eventi più recenti, che vedono il Circus fermato a pochi minuti dal via di FP1 da un tardivissimo comunicato ufficiale preceduto da voci di tutti i tipi, suggeriscono che è tempo di riflettere, fare autocritica e cambiare.
Nel Circus della F.1 che tornerà a rombare, sarebbe bello amirare sempre più belve e domatori sopraffini, con una netta diminuzione del numero di sgraditi prestigiatori e squallidi pagliacci.