L’annunciato e futuro addio della Honda è solo il pretesto per ribadirlo, perché io lo scrivo da mo’. Il turboidrido in F.1 è il più grande, noioso, ingiusto e desolante insuccesso nella storia dell’umanità sportiva. Istituendolo, la Federazione ha creato la più grande disparità di valori in campo dalla nascita della F.1, settant’anni fa, al presente.
Non a caso a dimostrarlo c’è la striscia di trionfi più annichilente, matematicamente elefantiaca e priva di reale lotta in tutta l’epopea settantennale del mondiale: la Mercedes infatti si è aggiudicata tutti i titoli mondiali, Piloti e Costruttori dal 2014 a oggi, cogliendo primati privi di precedenti senza il benché minimo segnale di competizione da parte degli avversari. In realtà ogni volta il team tedesco arriva agli allori iridati con netto anticipo rispetto all’ultima gara - e anche stavolta finirà inesorabilmente tale e quale - con l’unico possibile, teorico e fuggevole contendente, la Ferrari - peraltro, purtroppo, non quella del 2021 -, che mai è riuscita a rappresentare un baluardo credibile e vagamente pericoloso dopo il Gp di Monza.
L'origine del "male"
Fin dal 2014 il turboibrido è il compito in classe che solo la Mercedes, per ragioni strutturali, di ricerca, investimenti pregressi e di know-how, era ed è in grado di svolgere idealmente, con anni luce di vantaggio su tutti gli avversari.
Già nel 2009, con l’estrattore magico, Ross Brawn della BrawnGp era nella comoda posizione di esaminato e legislatore, di professore e maturando, tanto da vincere e far vincere il mondiale a se stesso nel modo più furbo e opportunista.
Poi la BrawnGp diventa Mercedes, Brawn vende tutto ai tedeschi, resta nel team e, tempo qualche annetto moscio, arriva un altro miracolino regolamentare - appunto il turboibrido - che trasforma il team, fin lì sterile, un po’ pasticcione e controverso, improvvisamente in un club dei geni alla Leonardo da Vinci & Pico della Mirandola. E come no.
Con Brawn che passa finalmente in sala professori e la Mercedes nella Hall of Fame degli imbattibili. Tutto formalmente regolare, però, fatto sta che, guarda caso, fin dal 2014 il turboibrido ha dato e dà vita al periodo di più marcato isolazionismo motoristico mai visto in F.1, con solo tre Case presenti stabilmente, Mercedes, Ferrari e Renault, e la Honda coinvolta in un triste va e vieni, mentre tutto il mondo dell’automobilismo da corsa manifesta aperto disinteresse per una formula tecnica astrusa, costosissima e del tutto scollegata da eventuali ricadute sulla produzione di serie.
Club noioso
Così la massima formula da quasi dieci anni è una sorta d’esclusivo, scontatissimo e pallosissimo nonché conventicolare Dtm senza parafanghi, laddove fin dalla prima sessione di test post-invernali si sa benissimo dove s’andrà a parare per tutto l’anno, salvo poi ricominciare esattamente allo stesso modo, all’infinito, fine pena mai. Perché i due motori elettrici adottati dalle F.1 sono complicatissimi, estremi, onerosissimi e di nessun giovamento in termini di ricerca e ricaduta sul prodotto.
In altre parole, rappresentano delle gigantesche, sfiancanti e ammorbanti pippe mentali, capaci solo di creare come, effetto collaterale, il monopolio di un Costruttore e il disinteresse mondiale di tutti gli altri, oltre che il dominio garantito di un solo team, la Mercedes, con Hamilton che, per diventare il pilota più fecondo di tutti i tempi, dal 2014 a oggi il solo problema di superare a parità di macchina, a turno, Rosberg o Bottas. E manco sempre. Pensa te. In altre parole, la leggenda a buon mercato, con la garanzia della mutua.
La crisi della Ferrari
La stessa crisi nera della Ferrari in gran parte, se non totalmente, va ascritta all’avvento del turboibrido, perché la Casa di Maranello mai e poi mai avrebbe potuto regionevolmente prevedere di dover realizzare accanto a un motore turbocompresso a combustione interna anche due mini-propulsori elettrici. Come se a Miss Universo improvvisamente le chiedi di recitare a memoria la fisica quantistica e un’enciclica papale.
Stai pur sicuro che col tempo farà il meglio, recupererà terreno, ma non vincerà mai più il titolo di Miss Universo, che da lì in poi andrà comodamente a una prof brufolosa, solerte e con un forte senso del religioso.
Da tale punto di vista, considerata in questa prospettiva, la Rossa di Binotto qualche responsabilità ce l’ha eccome, ma sostanzialmente e storicamente di colpe non ha neanche troppe, pagando semplicemente il peccato originale di chi c’era prima, ossia la debolezza politica pregressa della Ferrari che fu quella di accettare pre 2014 un regolamento così penalizzante, punitivo e senza possibile remissione: geneticamente lontano anni luce dalla sua identità e dalla sue specialità auree.
Dalla pista alla strada? Anche no
Vado oltre. Quale bisogno c’è e quando mai è esistita una F.1 che diventa buonista banco prova di tendenze tecnologiche alternative, futuribili e in auge? Ma stiamo scherzando? Se così fosse stato, nel poverissimo dopoguerra si sarebbe dovuto correre coi frugali monocilindrici Norton da 500 cc della F.3 d’allora oppure nel 1974, anno della crisi petrolifera mondiale, i Gp avrebbero dovuto virare decisi verso la barbabietola, col motore movido a alcool, a metanolo, ovvero, chissà, poco più tardi, al sempre più imperante turbodiesel.
E invece no, mai, neanche per niente. Su, che la F.1 debba essere laboratorio per l’ecologia è concetto folle, astorico, devastante per lo sport e totalmente irrispettoso del concetto di competizione tra Case e tra Piloti.
È come se Usain Bolt a metà dei cento metri piani alle Olimpiadi, dovesse fermarsi a metà strada, piantare simbolicamente un fiore, inaffiarlo ben bene, tirargli un bacino e poi riprendere la gara.
La F.1 è terreno di sfida estrema, punto.
Progresso, politica e geotecnologia imperante non c’entrano nulla. Se in tempi di austerity si fosse messo mano alla Formula dei 3000 cc aspirati - giacché sulle strade al tempo un 3000 aspirato era bestemmia e sacrilegio visto il caro benzina, no? - a quest’ora avremmo rovinato per niente, ovvero per bigottismo politico-tecnologico, gli anni più belli della F.1 neo-adulta, quelli dei boxeroni e del mitico Dfv, di Lauda, Hunt e Andretti. Questa colossale panzana che la F.1 stessa debba essere e diventare sempre più un esemplare paradiso bonificato per il progresso gentile, verdino, castrato e castrante è una gigantesca stortura, una drammatica cavolata che sta dando vita al periodo meno amato, amabile, frequentato e condiviso dagli appassionati tutti che ormai - cifre alla mano - disertano sempre più i Gp in Tv e polarizzano sempre meno interesse sulla F.1 e i suoi derivati.
Problema di tutti
Ho anche altro da dire. Questo della F.1 che dà segnali salutisti, morbidi, green, puliti, dolci, carini e simpaticamente bonaccioni, mi fa ridere. Anche perché la F.1 stessa è stata l’unica e l’ultima disciplina sportiva che è campata e prosperata strombazzando marchi di alcool e sigarette e tuttora, sebbene in forma latente, è bene non dimenticarlo, qualche grosso e immenso sponsor tabacchifero è ben presente a livello di Motorsport, tra quattro e due ruote. Quindi mettiamoci d’accordo: moralisti sempre o moralisti mai.
Puliti ovunque o puliti per niente, sennò è tutta una colossale, beffarda e mastodontica presa per il culo. Piuttosto, c’è chi dice che in realtà la battaglia contro il turboidrido - tipo quella che sto sostenendo in queste righe - altro non sarebbe che un ipocrita e peloso tentativo estremo di dare una mano alla Ferrari, porella. E che se invece, al contrario, in chiave 2020 e 2021 la Rossa fosse vincente coi tre motori due dei quali elettrici, nessuno si sognerebbe mai al mondo di dire una sola parola contro questa formula tecnologica. È un’altra colossale panzana. Perché il turboibrido non è solo un problema della Ferrari, ma di tutti. Di chiunque. Di tutti gli altri concorrenti che perdono, ma ormai anche della stessa Mercedes che trionfa a nastro, perché vincere così, a tripudi assicurati e fatalisticamente prestabiliti, alla lunga, oltre che controproducente, risulta perfettamente sterile e inutile. Quindi, a lungo andare, lo stato dei fatti dice esattamente il contrario: la schiacciante, indiscussa, avvilente dominanza Mercedes in proiezione è un danno soprattutto per la Mercedes.
Anche perché perfino team improbabili - come la Williams della prima ora turboibrida e la Racing Point della ultima -, basta attingano a piene mani alla tecnologia tedesca per trasformarsi in astronavi, alla barba di qualasiasi altra Casa mondialmente diffusa e ipertecnologica.
Turboibrido concetto sbagliato
Quanto alla Ferrari, ha resistito al delicatissimo passaggio dall’era del Drake a quella di Monzezemolo, da Scheckter a Schumi, con un ultraventennale digiuno, quindi, alla peggio, può benissimo fare altrettanto senza problemi. No, no, il problema alligna altrove, proprio nell’immenso regalo sportivo e di regolamento fatto quasi dieci stagioni fa alle Frecce d’Argento, ormai nerovestite. Non a caso, la Mercedes stessa in tutti questi anni sta cambiando tecnici, progettisti e motoristi quasi fossero biancheria intima e malgrado questo continua a vincere senza problemi, perché il vantaggio è tanto e tale che un ingegnere momentaneamente perdente nelle corti altrui diventa senz’altro trionfatore garantito a Brackley o Brixworth, con tutto il rispetto per un genio come Aldo Costa il quale, bravo com’è, vincerebbe pure anche a briscola cieca e a scacchi subacquei.
E anche questo è un altro argomento su cui fare riflessioni grandi come montagne.
D’altronde, il concetto stesso dell’ibrido di sfracelli nel motorsport già ne ha fatti a dismisura. Inseguendo queste complicatissime e cervellotiche quanto sterili pazzie ideali, l’endurance ha vissuto un momenti di apparente sfida breve, fugace e caduca peggio della primavera, salvo ritrovarsi con la gloriosa categoria Lmp1 progressivamente e completamente disertata da tutti i concorrenti, fuggiti via disperatamente, nauseati e sfiancati, lasciando alla sola Toyota malinconicamente campo lbero, tanto da ridurre Le Mans (e il Wec) un recente pseudomomarca quasi peggio della F.1.
E anche adesso la nascente LMdh è una categoria sotto la foglia di fico della quale si nasconde il fatto che i prototipi americani hanno salvato il sederino all’Europa, leggi Aco e Wec, accettando di far montare, giusto per non far perdere la faccia a chi comanda, un ibridino purchessia.
E sulle Hypercar, tanti discorsi, un bel po’ di confusione e a oggi poca concretezza. Però, che tristezza... Quanto ai rally mondiali e alla F.Indy, i campionati sono talmente messi male a quantità e varietà di partecipanti e Costruttori (e/o motoristi) coinvolti, che l’arrivo dell’ibrido non potrà provocare più danni di quelli che ci sono già, così come non si fa male nessuno se metti una bomba al tritolo di notte nel cimitero di New York.
MotoGP esempio da seguire
Piuttosto, il vero modello intelligente, scomodo e lungimirante a livello globale, è la MotoGp: un esempio di intelligenza, lungimiranza e buon senso, laddove di ibrido non si sente né si sentirà neanche la puzza.
Perché nella classe regina del motomondiale il concetto è chiaro: l’ibrido medesimo non serve e giammai avrà la benché minima e simbolica applicazione: semmai un bel giorno, al limite, si passerà radicalmente all’elettrico, attingendo alle esperienze della MotoE, ma fino ad allora la classe regina del motociclismo non si tocca né si toccherà con cambiamenti parziali, ambigui e stravolgenti.
Questo è ragionare, questo significa avere idee ragionevoli e non scollegate con la realtà. Applicando la stessa filosofia alle quattro ruote, per il green, l’ecologico, il pulito e le emissioni zero, c’è già da anni e anni la Formula E.
Quella è la vera alternativa, dignitosa, telescopica e con gli occhi e i piedi saldamente piantati nell’avvenire. Poi può piacere o meno, ma il concetto è bello comprensibile e comodo.
Le sperimentazioni vanno fatte là, mica altrove. La verità è che le autorità sportive, per quanto riguarda la F.1, dietro al grido di indietro non si torna nascondono solo la totale inettitudine politica a riconsiderare posizioni e statuizioni alla luce della realtà. Realtà la quale dice ampiamente che l’ibrido e in F.1 il turboibrido, hanno fatto e creato danni, squilibri e mortifera estinzione di concorrenti e competizioni in tutti i settori dell’automobilismo da corsa finora toccati. E anche le annunciate rivoluzioni post 2021 sono delle totali cavolate. Poiché togliere la parte più costosa e impegnativa dell’ibrido in F.1 poco cambierà la sostanza delle cose.
Diciamo pure che niente cambierà. È l’ibrido che non ha alcun senso, non una parte di esso. C’è bisogno di un’inversione a U, di una conversione sulla via di Damasco, di un provvedimento normativo di rottura e di una netta e coraggiosa soluzione di continuità, capace di cambiare mazzo e ben rimescolare le carte nuove, per il bene di tutto e tutti. Non capisco perché non si torni a correre in F.1 coi motori V12 a benzina o 8 o 10, ma basta ibridi. In fondo anche i cavalli non sono usati più per la locomozione, non ne rappresentano mica il futuro, eppure si corre ancora coi cavalli, no? Un purosangue vale in quanto tale, anche se non va in autostrada.
E una ventina di V12 in F.1 inquinano meno delle macchine nel parcheggio di un congresso di ambientalisti. Basta turboibridi, nei Gp: basta, basta. Il politically correct applicato al Motorsport (e non solo al Motorsport), oltre a fare solo casini e a inquinare la competizione, creando avvilente monopolio, ha gloriosamente e sontuosamente rotto i coglioni.