A questo punto nel mercato della Formula Uno in chiave futura c&rsquo;&egrave; rimasta&nbsp;una sola cosa in prospettiva disponibile. Non &egrave; un posto nell&rsquo;abitacolo,&nbsp;non &egrave; un incarico al simulatore, n&eacute; un precontratto per entrare a far&nbsp;parte di una Driver Academy o che. No, in pratica &egrave; un semplicissimo bene&nbsp;immateriale, facciamo pure un contrassegno o, tutt&rsquo;al pi&ugrave;, un modesto&nbsp;adesivo, ma per chi ci crede da inizio Anni&nbsp;80 rappresenta una vera e&nbsp;propria fede.  Signore e signori, benvenuta nell&rsquo;unica notizia tonitruante&nbsp;dell&rsquo;interstagione 2019-2020, che sarebbe poi questa. Con l&rsquo;uscita di Nico&nbsp;Hulkenberg dalla F.1, per ora ma non necessariamente per sempre, questo si&nbsp;vedr&agrave; - anche se uscire senza troppa gloria a 32 anni non &egrave; un viatico&nbsp;entusiasmante per il futuro, al di l&agrave; di meriti e sfortune varie - la&nbsp;sconvolgente verit&agrave; &egrave; che il numero 27 torner&agrave; a tutti gli effetti&nbsp;disponibile per chiunque voglia utilizzarlo, anche se, di regola,&nbsp;occorrono due anni prima di poter effettivamente &ldquo;scongelare&rdquo; e&nbsp;catturare the magic number.  L&#39;editoriale del Direttore: Pronti alla nostra notte degli Oscar  Dal 2014 i numeri vanno ai piloti, nominalmente, e non pi&ugrave; alla squadre&nbsp;come si faceva prima che i contrassegni numerici diventassero potentissimi&nbsp;strumenti di merchandising allo stato puro. Per&ograve; poter avere un 27 libero e spedito per chi ha cultura, cuore e anima&nbsp;da corsa &egrave; un dato di fatto che esercita un torrido richiamo istintuale in&nbsp;direzione Ferrari.  In altre parole, proviamo a pensare a un Charles Leclerc o a un Sebastian&nbsp;Vettel, uno dei due, ecco, che d&rsquo;improvviso, cos&igrave;, senza sapere n&eacute; leggere n&eacute; scrivere, improvvisamente rinuncia al suo numero preferito per assumere&nbsp;proprio il magico 27.&nbsp; Be&rsquo;, in una Formula Uno sempre pi&ugrave; seguita da quelli di una certa e sempre&nbsp;meno popolarissima tra i giovanissimi, che invece preferiscono il rap, il&nbsp;trap o la Play, be&rsquo;, dicevo, una mossa del genere in ambito di tifo ferrarista ma non solo, farebbe letteralmente venir gi&ugrave; il teatro e&nbsp;lancerebbe un fantastico segnale d&rsquo;identificazione etnico-agonistica, in&nbsp;un automobilismo sempre pi&ugrave; povero di radici vere e simboli forti.  Caschi d&#39;Oro e Volanti ACI 2019: a Milano il 13 dicembre  E comunque gi&agrave; che ci sono lo ridico e lo riscrivo, perch&eacute; &egrave; il momento&nbsp;buono per farlo: il Presidente John Elkann, il team boss Mattia Binotto e&nbsp;la Ferrari tutta dovrebbero muoversi politicamente per chiedere&nbsp;un&rsquo;eccezione per far attribuire per sempre al Cavallino Rampante il numero&nbsp;27 medesimo quale parte integrante, ormai, del dna di famiglia.&nbsp;Perch&eacute;? Perch&eacute; sarebbe dolcemente, romanticamente e terribilmente giusto&nbsp;cos&igrave;. E qui recito devoto una antica litania, perch&eacute; da quasi quarant&rsquo;anni&nbsp;nella sempre pi&ugrave; stratificata memoria collettiva dei sempre pi&ugrave; attempati&nbsp;superstiti appassionati giovani della Formula Uno, il numero 27 &egrave; quello&nbsp;che eredit&ograve; la Ferrari dalla Williams all&rsquo;inizio del 1981, prima stagione&nbsp;del turbo maranelliano, col magico contrassegno attribuito a Gilles Villeneuve.    Ed &egrave; proprio col 27 che il canadese volante realizza due tra le pi&ugrave;&nbsp;indimenticabili imprese, vale a dire la mission impossible di far vincere&nbsp;un turbo prima generazione a Montecarlo e quindi, a stretto giro di posta,&nbsp;farlo trionfare anche nel &ldquo;micky mouse&rdquo; di Jarama, dopo aver tenuto a bada&nbsp;per quasi un paio d&rsquo;ore una muta scatenata di avversari, al volante di&nbsp;monoposto ben pi&ugrave; agili e guizzanti.&nbsp;Sissignori, il 27 resta ahim&eacute; anche il numero in carrozzeria di Gilles&nbsp;nell&rsquo;ultima stagione di corse e il giorno del volo fatale a Zolder, alle&nbsp;13.52 dell&rsquo;8 maggio 1982.  L&rsquo;anno dopo, diventa l&rsquo;urlo di guerra di Patrick Tambay che al volante&nbsp;della Rossa onora l&rsquo;amico canadese a Imola, andando a vincere sospinto da&nbsp;un oceano di folla commossa. Nel 1984 si apre un altro arco narrativo&nbsp;meraviglioso e finalmente un italiano torna a correre con la Rossa. Ed &egrave;&nbsp;uno di quegli italiani di cui andare orgogliosi, dentro e fuori&nbsp;dall&rsquo;abitacolo, perch&eacute; Michele Alboreto &egrave; pilota stupendo e signore&nbsp;immenso. Reca il 27 in carrozzeria e comincia a vincere a Zolder, l&agrave; dove&nbsp;se n&rsquo;era andato Gilles.  L&rsquo;anno dopo sfiora il mondiale e lo perde per colpe non sue.&nbsp;Michele piace a chiunque, &egrave; adorato perfino dalle mamme e dalle zie e con&nbsp;Ezio Zermiani &egrave; protagonista in Rai di un&rsquo;interessante trasmissione di&nbsp;retrospettiva sul mondiale di F.1, la sola battezzata con un numero di&nbsp;gara accompagnato a un colore: si chiama non a caso &ldquo;Rosso 27&rdquo;.  La Ferrari &amp; il 27. &Egrave; il numero col quale si chiude l&rsquo;esperienza terrena&nbsp;di Enzo Ferrari, anche se viene omaggiato, subito dopo la scomparsa, a Monza 1988 da Berger che vince col 28, ma il 27 portato dal solito&nbsp;Alboreto, all&rsquo;ultima stagione rossa, &egrave; l&igrave; in scia, a carezzare un mito,&nbsp;un&rsquo;idea dolce, una magia nell&rsquo;aria che mai svanir&agrave;. Si apre l&rsquo;era della Ferrari Papera e di Barnard, l&rsquo;ultimo sogno del Drake da vivo e, quindi, di Nigel Mansell, il quale vanta il merito d&rsquo;essere allo stesso tempo la scelta finale sia nell&rsquo;esistenza di Colin Chapman che&nbsp;in quella di Enzo Ferrari. Ebbene, il &ldquo;Leone&rdquo; al debutto porta in gara il numero 27 e trionfa nel Gp del Brasile, mandando in visibilio mezzo mondo&nbsp;e il neoarrivato gran timoniere Cesare Fiorio.    Stessa trama per Nigel in Ungheria, nella rimonta pi&ugrave; bella, sofferta e&nbsp;entuasiasmante nella storia della F.1 moderna.&nbsp;Quindi, nel 1990, il 27 va a Senna su McLaren, che infilza la Ferrari del&nbsp;numero 1 Prost a Suzuka, ma ecco che il contrassegno torna alla Rossa nel&nbsp;1991 proprio con lo stesso Prost, ormai in parabola discendente a&nbsp;Maranello, tanto da essere utilizzato anche di passata dal sostituto&nbsp;Morbidelli.  Infine, dal 1992 tocca a Jean Alesi ereditare il magico simbolo - col&nbsp;quale a cachet gareggia pure Larini, 2&deg; nel tragico San Marino 1994 -, e&nbsp;comunque l&rsquo;amatissimo siculo-avignonese si toglie la soddisfazione di&nbsp;portare alla vittoria il 27 in Canada 1995, guarda caso sul tracciato&nbsp;intitolato a Gilles.&nbsp;E un&rsquo;altra volta, in quell&rsquo;anno, suo figlio Jacques col 27 avuto a&nbsp;sorteggio - la magi&agrave; del caso certe volte pu&ograve;&nbsp;pi&ugrave; di quella della realt&agrave; -, va a vincere la Indy 500 e pure la serie IndyCar, perch&eacute; Dio forse esiste e forse no, chiss&agrave;, ma un dio delle corse&nbsp;c&rsquo;&egrave; di sicuro e quando vuole sa essere creativo e carezzevole.  Ecco, quando parliamo di questo, ed &egrave; una fetta sofferta, intensa e&nbsp;comunque bellissima della storia Ferrari, in tutti questi nomi e fatti&nbsp;evocativi, sacrificali ed esaltanti, gira e rigira fa sempre capolino i&nbsp;27.&nbsp; &Egrave; una specie di marchio cabalistico impresso e vulcanizzato nelle carni ferrariste, tatuaggio orgogliosamente indelebile, rimpianto e&nbsp;indimenticabile, che tutti percepiamo - per certi versi esattamente come&nbsp;Gilles e come Michele - solo momentaneamente assente, ma filosoficamente e invisibilmente presente sulle carrozzerie di qualsiasi Rossa ipervincente, perfino da Schumacher a Raikkonen fino ad arrivare - auspicabilmente - su&nbsp;quelle future.&nbsp;  Poche storie, in una F.1 in cui la comunicativa, l&rsquo;immagine, i segnali forti, l&rsquo;appartenenza rappresentano tanto se non quasi tutto, rivedere il 27 in quota Rossa e magari per sempre assurgerebbe a rituale propiziatorio fondamentale e allo stesso tempo al riconoscimento togato di un&rsquo;identit&agrave;&nbsp;romantica condivisa, struggente e commovente.    Si muova qualcuno, per favore, a Maranello e da Maranello. Un pilota, un&nbsp;dirigente di quelli tosti, se non addirittura il capo supremo. Fate&nbsp;qualcosa, adesso o mai pi&ugrave;, perch&eacute;, oltre che di vittorie, alla Ferrari in&nbsp;questo automobilismo c&rsquo;&egrave; bisogno di veder tornare i simboli pi&ugrave; importanti&nbsp;vissuti e amati esattamente e giustamente a casa loro. Per questo, cara&nbsp;Ferrari, carissimi piloti Ferraristi, Charles o Seb - se non in&nbsp;proiezione, chiss&agrave;, l&rsquo;allievo Mick, fa lo stesso -, ma forse il monegasco&nbsp;farebbe meglio ancora a pensarci su, perch&eacute; con una mossa del genere, beccandosi il 27 in pancia farebbe innamorare di s&eacute; anche i pali della luce di via Abetone Inferiore, vista fabbrica.  Su, forza: c&rsquo;&egrave; qualcosina&nbsp;che brilla in questo mercato gi&agrave; chiuso da un pezzo. &Egrave; in vetrina il contrassegno pi&ugrave; ghiotto ed esclusivo, per chi mostrer&agrave; il cuore di desiderarlo. &nbsp; 

<p>Con Hulkenberg fuori dalla F.1, il n. 27 si &ldquo;scongeler&agrave;&rdquo; entro due anni. E&nbsp;la storia e la cultura del Cavallino indicano che deve spettare a un&nbsp;pilota della Rossa!</p> 

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Ferraristi, riprenotate il numero 27!