Un’ora e trentacinque minuti di spiegazioni. La Fia ha aperto il libro sul caso-Bianchi, mostrando a Sochi il video delle telecamere a circuito chiuso (niente riprese Fom, almeno ufficialmente, e niente camera-car). Si vede la Marussia di Jules che scarta improvvisamente - dove c’è il rivolo d’acqua - con il pilota che tenta una correzione e poi punta dritto verso il trattore che stava recuperando la Sauber di Sutil.
Perché in quel momento la gara non era stata neutralizzata con la safety-car? “Abbiamo rispettato la procedura”, spiega il delegato Charlie Whiting. “Una volta che la Sauber era stata agganciata alla gru, liberando la barriera di protezione, non si ritiene necessario fare intervenire la safety car”.
Secondo Whiting, se Jules non avesse impattato contro il trattore, “l’urto sarebbe stato probabilmente paragonabile a quello di Kovalainen a Barcellona” (2008, ndr) “per la velocità implicata”. In quell’occasione, Heikki se la cavò con qualche contusione.
Escluso anche che la Marussia abbia subito un guasto ai freni: “Non risulta niente del genere”, spiega l’uomo Fia. La mancata decelerazione si spiegherebbe, quindi, col fatto che la monoposto è andata in aquaplaning, scivolando poi sulla ghiaia. “Non si può generalizzare, e le vie di fuga di Suzuka erano da ritenere sicure, ma quasi sempre la via di uscita in asfalto è più efficace”.
Alla conferenza, presenti anche il capo dell’equipe medica Jean-Charles Piette e il coordinatore dei soccorsi Ian Roberts, Whiting ha sottolineato più volte il fatto che prima del punto di impatto la bandiera fosse passata da giallo a doppio giallo sventolato. “Alcuni piloti hanno rallentato, altri meno”. Giusto o sbagliato che sia, la Fia intende, come previsto, far pesare il fatto che Bianchi fosse tra quelli che non avevano ridotto la velocità in modo significativo.
Il presidente Fia Jean Todt era seduto con Whiting e gli altri. “Io ho piena fiducia nei miei uomini - ha detto - ma non è un segreto che sia molto vicino a Bianchi e alla sua famiglia, dai tempi in cui correvo e conoscevo suo prozio Lucien”.
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Alberto Antonini