Agnelli, Montezemolo, il dream team... E l'assist dei ricordi

A suon di appallottolare sogni, a un certo punto si finisce per rovistare nelle carte ingiallite, stropicciate e consunte, alla ricerca di tracce e ispirazioni perdute andando a ritroso nel percorso dei bivi imboccati nel verso sbagliato in mezzo a certe notti di lunghi coltelli. Soprattutto quelle delle gambe tese, delle invidie e del- le teste tagliate. Alla Ferrari, alla fine, dopo tanti tentativi andati a vuoto, hanno preso la carta più ingiallita in fondo al cestino della memoria gioiosa e perduta negli anni trascorsi a inseguire il perfido pifferaio del percorso più semplice. O, peggio ancora, a star dietro al festival dei capri espiatori che poi sono finiti a regalar gioie vestendo divise di altri colori. E con il sorriso beffardo in cima al podio come per dire "hai visto che non ero io il problema?".

E così adesso sulla scrivania di John Elkann, a Maranello, c’è una carta spiegazzata appena riemer- sa da uno scatolone salvato dal macero dopo la chiusura dei vecchi uffici Fiat torinesi al Lingotto, quelli con la pista sul tetto e dove al piano nobile un tempo c’era il nonno Gianni Agnelli. E dopo di lui Sergio Marchionne, l’ultimo inquilino prima che Stellantis mettesse in vendita anche quel simbolo della Fiat che fu. Sono gli appunti di quando, nel lontano 1991, l’Avvocato decide che è ora di rimetter mano alla Scuderia Ferrari. Il Drake se n’è andato da due anni e mezzo e i risultati sono da team minore. La Rossa è nel guado di quella che passe- rà alla storia come la più lunga traversata nel deserto senza trionfi.

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