Il caso Mercedes F.1 è la vera rivoluzione

Il caso Mercedes F.1 è la vera rivoluzione

Una vettura salvata, la W15, con due occasioni e due vittorie

15.07.2024 10:23

Che la Mercedes F.1 sia una squadra simpaticissima, dico forse sì e forse no. Di certo, coi suoi otto mondiali Costruttori Consecutivi e i sette Piloti conquistati dal 2014 al 2021, è quella con la striscia più vincente, ma queste son cose ormai vecchie rispetto al presente, che ci dice altre robe molto interessanti, dal Gp del Canada. Ovvero dalla pole a sorpresa di George Russell che da lì in poi insieme ad Hamilton ha fatto miracoli, al volante della rinata W15.

Tanto per cominciare, bisogna smettere di decantare e magnificare l’incredibile, esplosiva e commovente rimonta della McLaren dello scorso anno, perché se è vero che fu capace di rivoltare come un calzino la MCL60 all’inizio disastrosa fino al salto di qualità di Silverstone 2023, a oggi, un anno dopo, la squadra orange-papaya è riuscita a conquistare un invisibile Granpremietto in Qatar 2023 con Piastri e solo una gara vera con Norris, a Miami. Punto, niente altro. Peraltro trovando, dalla gara statunitense in poi, ogni volta una buona ragione per non aggiudicarsi mezza corsa, tra imprecisioni tattiche e mosciume del pilota di punta. Quindi, con tutto il rispetto per chi mette in pista la favolosa MCL38, dal momento in cui l’accendono, il venerdì, a quando la spengono, la domenica sera, di cose perfette ne capitano pochine.

La Mercedes no. Tutt’altra pasta. È vero, è partita col piede sbagliato in tre progetti consecutivi e dopo il finale disgraziato del mondiale 2021 aveva smarrito la retta via, travolta da scelte tecniche e soprattutto aerodinamico-strutturali originali, pretenziose quanto, alla resa della pista, sbagliate, nonché diabolicamente perseverate e mai abbastanza in tempo abbandonate.

Detto questo, dopo le due sciagurate consorelle, la W15 pareva messa anche peggio, benché la strada battuta fosse meno stravagante ed estrema. Eppure quasi mezzo mondiale se n’è andato remando in posizioni ingenerose e dando l’idea di avere a che fare col solito, tragico vascone del malinconico triennio in corso.

Invece no. Con uno dei colpi d’ala più clamorosi nella storia recente della F.1 - e non solo recente, perché mettere a posto una monoposto nata male, malissimo, nel Circus resta evento molto raro un po’ in tutte le epoche -, dal Canada le W15 vanno come missili.

Sul perché ci possiamo ragionare. Allison, quasi giocando con le parole, dice d’esser stato stupido perché poteva pensarci prima: è bastata un’inezia a cambiare le cose e, soprattutto, la sospensione anteriore, la vera responsabile del mutamento dei destini per Hamilton e Russell. Scherza, claro que sì. Più verosimilmente, anche se l’evoluzione ha appunto un suo preciso epicentro e una fenomenologia tecnica tipica, perché la W15 da dopo Monaco non balla né oscilla, gira più bassa e di conseguenza fila come un aeroplano.

Questo dimostra anche un’altra realtà, che dovrebbe far ragionare e provocare profonde riflessioni in casa Ferrari. Perché la McLaren è riuscita a sollevarsi dalla prestazioni risibili dell’inizio dello scorso anno, la Red Bull è ancora in grado di dire la sua soprattutto grazie ai miracoli umanistici di guida di Verstappen e c’è anche una Mercedes a dimostrare chiaramente che imboccando la strada giusta è possibile non solo salvare una monoposto che sembrava recalcitrante, ma anche renderla vincente. Con più o meno fortuna una volta, in Austria, e con pieno merito poi, in Gran Bretagna, solo perché si è realizzato un capolavoro di evoluzione e sintonia fine.

Sì, penso sia giusto sottolineare dieci, cento volte, le vittorie di Hamilton e Russell poiché dimostrano che la più grande delle resurrezioni è avvenuta senza epurazioni, senza teste cadute, senza purghe, umiliazioni o intrighi di palazzo, ma semplicemente lavorando a testa bassa, pensando, riflettendo e sudando, alla ricerca di illuminazioni ingegneristiche che sono prontamente arrivate, ironia della sorte dal solito tecnico ex Ferrari che va a fare belle figure altrove, stavolta rispondente al nome di James Allison. E anche dal punto di vista della gestione e della stabilità interna, pieno merito alla Mercedes.

In McLaren il repulisti c’era già stato, in Red Bull c’è più guerra civile che in Jugoslavia negli Anni ’90, mentre storicamente l’ambientino della Ferrari, quanto a serenità, spinte centrifughe e trabocchetti, fa sembrare innocua la corte di Lucrezia Borgia.

Per cui va benissimo celebrare Hamilton, okay esaltarsi per il crowd surfing e le nove vittorie a casa, ma, guardando alla realtà delle cose, prendiamo atto anche che, al di là del gran cinema della McLaren, delle strane faccende relative alla crisi Ferrari e dei mesi e mesi di tentato suicidio politico-strutturale e sportivo della Red Bull, alla fine è prevalsa e tornata prepotentemente alla ribalta la stabilità, l’intelligenza e la capacità d’essere spietatamente vincente della squadra più vincente di tutti i tempi. La Mercedes di Toto Wolff. Magari non mette troppo entusiasmo a scriverlo e a riconoscerlo, ma le cose giuste e sacrosante, solo a sottolinearle, sarebbero utilissime, specie se stimolassero l’autocritica altrui.


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