Il rivale più cattivo di Norris è la parte buona di Lando

Il rivale più cattivo di Norris è la parte buona di Lando

Se Piastri è un baby sensazionale, freddo e spietato, il suo team mate sembra tutto l'opposto e deve uscire dal tunnel

22.07.2024 ( Aggiornata il 22.07.2024 12:00 )

Solita storia. Lando Norris riesce a perdere anche il Gp dell’Hungaroring, dopo che in qualifica ancora una volta aveva dimostrato d’essere, seppur di poco, il più veloce sul giro secco.

Tipico problema: il via. L’ormai accertato starting inferiority complex di Lando colpisce ancora. Come in Spagna, come in Gran Bretagna. Dalla fine del giro di ricognizione fino alla terza curva c’è qualcosa che gli scatta in testa e il gioioso meccanismo da guerra che l’aveva messo davanti a tutti in Q3 improvvisamente va in confusione, la razionalità s’appanna, il livello d’efficacia s’abbassa e quello di vulnerabilità s’impenna. Destabilizzandolo e facendogli perdere tempo e posizioni in quello che strutturalmente è il momento più critico, delicato e determinante di un Gp moderno.

Poche storie, se dalla prima violenta accelerata e fino alla terza curva hai tempi di azione e reazione non all’altezza dei tuoi più spietati competitor, da lì in poi dovrai risolvere problemi che in tutto il weekend non avevi mai considerato d’avere. E la vittoria, in quei sette, otto, dieci secondi cruciali, di fatto è già sfumata.

Questo è il punto. Questo è il problema. Più psicologico che altro. Perché per il resto Lando sa partire. Non è mai stato moscio o nel mirino, quando aveva per le mani una McLaren non competitiva. È finito nell’occhio del ciclone e poi nella bufera bella e buona solo quando l’orange da baracca si trasforma in razzo missile con circuiti di mille valvole. Diciamo pure da Miami in poi.

UL VERO DIFFICILE

E da lì comincia il difficile, il brutto. Ha inizio ufficialmente per Lando la sfida più crudele della vita, perché il vero competitor interno non è mica Oscar Piastri, proprio no. Il rivale naturale adesso è il doppelganger, il suo doppio, il Lando Norris buono, dolce e remissivo, quella parte di se stesso che psicanaliticamente rifiuta l’insopportabile pressione del leader, quasi a provare latentemente a rifiutare, a sfuggire allo spaventoso ruolo di lepre, di battistrada immediato, di nuovo prescelto per la gloria, di ammazzasette e castigamatti del mondiale e di Max.

IL CASO TAMBAY

Nel 1983 Patrick Tambay in due-tre di Gran Premi, con epicentro Detroit, ebbe questo problema e fu Enzo Ferrari a parlare di “complesso di partenza”. Mauro Forghieri mi confessò che il Drake non sopportava questo tipo di debolezza perché troppo difficile da risolvere in un pilota di 34 anni e proprio dopo Detroit decise di non puntare più su Patrick e di scegliere il ragazzo che proprio lì aveva vinto alla stragrande, Michele Alboreto, all’ultimo successo della Tyrrell.

L'ALTRO CASO, HILL

Nel 1995 si cominciò a parlare apertamente di inferiority complex nei confronti di Damon Hill, che aveva una Williams favolosa, ma ogni volta perdeva da Schumi, commettendo spesso errori irrazionali, marchiani, frutto di nervosismo maldestro e dell’immensa sofferenza che provava nello sfidare il più freddo e dotato campione tedesco.Il quale non lesinava, per dirla in stile boxe, pollici nell’occhio e testate all’arcata, ad eccitare la parte autodistruttiva del più fragile avversario.

La cosa si risolse col team Williams che curò meravigliosamente Damon, standogli vicino come fosse un bambino da coccolare. Damon stesso, proprio come Lando, faceva una fatica immensa a vincere per la prima volta in F.1 e dopo ogni gara buttata via - vedi Imola 1993 - Frank diceva in conferenza stampa: «non importa, noi siamo molto orgogliosi di lui. E lo resteremo». Dopo la vergognosa tramvata di Schumi ad Adelaide 1994 la squadra si strinse attorno al suo pilota, che però nel 1995 dette il peggio, cadendo tutte le volte possibili negli spregiudicati tranelli tattico-agonistici di Michael.

No problem. Head & Williams tennero duro, perché per loro vincere un mondiale con Damon Hill ormai era diventato un partito preso, una sfida nella sfida. E la cosa accadde nel 1996, col figlio di Graham irrefrenabile, mentre Schumi remava con quel vascone ex Barnard, ossia la prima Ferrari che gli rifilarono. Tutto questo pippone l’ho fatto per dire che Lando ha un problema curabile, a patto che la McLaren, Stella, Brown e chi altri, provino a dargli una gran mano, confortandolo, fortificando e ricostruendo pezzo dopo pezzo la sua autostima, per evitare il punto di rottura, il tracollo psico-agonistico definitivo, che di lui farebbe un top driver mancato proprio sul più bello.

LA McLAREN DEVE AIUTARLO

Così, dopo aver ricostruito una Casa e una monoposto, scaravoltando, correggendo, vivificando e rievolvendo la MCL60 lo scorso anno da un punto di vista aerodinamico e strutturale, la squadra si ritrova quest’anno a dover fare lo stesso lavoro, ma incentrato su Lando, sull’uomo, sul suo golden boy, quel meraviglioso ragazzo di riferimento che è da anni il testimonial più bello e affezionato della rinascita arancione.

Le possibilità di riuscirci ci sono, l’impresa vale la spesa, considerando che c’è ancora un mondiale Piloti in ballo, ma il compito diventa arduo e delicatissimo, perché operare all’interno della personalità, degli equilibri intimi e interiori, dell’aggressività e della razionalità di un ragazzo di 24 anni è un compito titanico, considerando anche che accanto ha una macina devastante, un rullo compressore dal nome di Oscar Piastri, che non è lì per fare regali o gesti da libro cuore.

Anzi, diciamo pure che, se potrà, a ciò che resta dell’amor proprio di Lando Norris, l’australiano vorrebbe infliggere in pista prima possibile un terminale colpo di grazia.

In altre parole, è un gran casino. Perché a undici Gp dalla fine il top team Red Bull ha la monoposto in crisi prestazionale netta e il suo pilota nel ruolo di trafelato supplente di una supremazia che non c’è più. Mentre la rivale McLaren è astronave magnificente, condotta da un gelido e pratico baby Oscar e da un ragazzo, Lando, che soffre il ruolo dell’improvviso giustiziere, tendendosi a giustiziare da solo, salvo poi riprendersi strada facendo, diciamo da metà gara in poi, mettendosi a girare a ritmi favolosi, recuperando puntualmente il passo e se stesso strada facendo, quando è tardi, però.

UN SEGUITO ALLO SPASIMO

Insomma ci attendono undici weekend di Gp incandescenti, tra telai allo spasimo, cervelli in ebollizione e personalità messe altro stremo, con Norris posto di fronte all’esame più importante della sua vita.

Cosa farai, Lando? Crescerai alfine, salutando la tua parte più fragile e sbozzolabile, così come un bruco diventa farfalla, o imboccherai tuo malgrado la traiettoria discendente e centrifuga? Chi c’è dentro di te, un dolce, meraviglioso e signorile Partrick Tambay pronto a dire ciao alla sua chance più bella o un Damon Hill graffiato, lacero-contuso ma ben deciso a chiudere la faccenda aggredendo il destino e andando a segno, all’ultimo tuffo?

Tu, Lando, all’Hungaroring vivi il tuo momento più difficile e doloroso. Damon all’Hungaroring vinse per la prima volta una gara di F.1 nel 1993 e nel 1997 fu protagonista della sua fuga più bella e sfortunata, con la Arrows, quando, pur non vincendo, orgoglioso di quel numero 1 sul muso, spiegò comunque al mondo d’essere un grande.

Ecco, scegli chi vuoi essere, Lando. Niente è ancora definitivo. Tutto è in ballo.

Ma prima degli altri - e perfino prima di Oscar Piastri -, devi sconfiggere la parte più insidiosa di te stesso. Quell’anti-Lando Norris che hai in te e che t’incasina le gare e la vita, appena si spengono i semafori di un Gp. Mettilo all’angolo e devastalo, please. E, comunque vada, sappi che continueremo a volerti bene.


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