Ford GT40: l'arma totale di Ford nella guerra contro Maranello

Ford GT40: l'arma totale di Ford nella guerra contro Maranello

Dal 1964, con le sue evoluzioni, la Ford sfidò la Casa di Maranello aggiudicandosi per 4 volte la classicissima 24 Ore di Le Mans 

04.05.2021 13:53

C’era una volta in America. Sì, perché la Gt40 rassomiglia al catalizzatore d’una saga cinematografica di famiglia e a una storia corale fatta di uomini e sogni. Il primo, quello di Henry Ford II, di comperarsi la Ferrari per renderla propaggine agonistica del suo impero, facendo meglio splendere l’immagine di tutte le sue creature. Così comincia il corteggiamento col Drake, quasi si trasforma in flirt e quindi la secca rottura. Okay, pazienza, su stimolo del manager Iacocca si decide d’andare avanti da soli, perché vale la pena correre e vincere per avere pubblicità gratis ogni maledetta domenica sui media di tutto un mondo che McLuhan dipinge come Villaggio Globale.

Inizia (male) la grande offensiva

L’Inghilterra sarà la testa di ponte dell’offensiva. Il comandante in capo è John Wyer, già geniale stratega dell’Aston Martin, che prende le stellette finendo preferito a Carroll Shelby, artefice del miracolo Ac Cobra. I prototipi dell’Arma Totale li realizzerà la Lola di Eric Broadley, con Len Bailey in aiuto, dando vita alla Ford Gt. La cifra “40” deriva dall’altezza in pollici della vettura misurata al parabrezza (1,02 m), il motore iniziale è un V8 4,2 litri derivato dalla serie. Si comincia alla 1000 Km del Nurburgring e alla 24 Ore di Le Mans 1964, ma la vettura è un disastro. Col cambio fragile e la spaventosa tendenza a diventare portante, la nuova Ford fa paura solo a chi la guida. Il management statunitense è furibondo, impaziente e interventista. Si decide per il cambio d’allenatore. Il nuovo trainer diventa Carroll Shelby, che cambia filosofia d’approccio e modulo di gioco: vettura riprogettata e motore potenziato intanto a 4,7 litri, in attesa di una cavalleria ancor più terrificante, più un nugolo di piloti Usa. I migliori disponibili. Per tester Bruce McLaren e, soprattutto, il quasi sconosciuto ma fantastico Ken Miles, britannico trapiantato negli Stati Uniti. Sarà lui, in centinaia di ore di test, la mente e il cuore in pista della grande rivincita.

La riscossa di Ford con Miles e Ruby e la GT40 MkII

La Gt40 “stars and stripes” trionfa a Daytona 1965 con Miles e Ruby e si prepara a un 1966 da antologia. Stavolta l’attacco lo sferra la Gt40 MkII, con motore portato a 7 litri, telaio e aerodinamica riprogettati, cambio ridisegnato e i freni nuovi: il tutto, finalmente affidabile. Miles, classe 1918, ha 48 anni e in coppia col 42enne Ruby, specialista di Indy, fa l’en-plein alla 24 Ore di Daytona e alla 12 Ore di Sebring. Sembra lui il grande favorito a Le Mans ’66, anche se in Ford guardano con fastidio quel vecchietto che vincendo a raffica si sta facendo più pubblicità della Gt40. Fatto sta che alla Sarthe per la prima volta la Ferrari è perdente e a giocarsi la corsa sono due Gt40 MkII, quella di Miles-Hulme e di McLaren-Amon, in uno stranissimo finale di gara che viene misteriosamente neutralizzato fino alla bandiera a scacchi da ordini interni in casa Ford. Morale, il sicuro trionfo Ford deflagra a livello mondiale ma il possibile successo sognato da Miles, in cerca della tripletta nelle classiche, viene per certi versi derubato: la vettura vincente sarà quella partita più indietro in griglia, perché di fatto in 24 ore ha percorso maggior distanza. Così la prima grande vittoria Ford a Le Mans tocca a McLaren e Amon, mentre Miles sussurra a mezza bocca: «Mi hanno fottuto». Poco dopo morirà in un crash durante un test privato. Intanto, preso dall’entusiasmo per aver finalmente battuto la Ferrari nella classicissima - e pure in campionato -, Henry Ford II si è lasciato scappare un minaccioso «Torneremo». E per vincere anche nel 1967 la Casa americana è costretta a uno sforzo economico immenso, sviluppando l’avveniristico prototipo J-Car, che della Gt40 non ha più nulla, e che si trasformerà nella MkIV sempre col V8 7 litri. L’anno dopo l’armada Ford, già al top a Sebring, fa il bis alla Sarthe con Gurney-Foyt.

La seconda giovinezza della GT40

La vita della Gt40 sembra finita ma è all’inizio di una nuova alba. Nel 1968 un cambio di regolamento limita le Sport a 5,0 litri di cilindrata con almeno 50 esemplari esemplari costruiti. Tornano buone le vecchie Mk I portate a 4942 cm³, con 415 cavalli di potenza. Per John Wyer, “allenatore” silurato nel 1965, è l’occasione della rivincita personale. Sempre contrario alla grandeur americana e ai motoroni stile Nascar di Shelby, si mette in società con John Willment acquista la factory di Slough e ottiene la licenza per costruire e fornire la manutenzione alle Gt40. La sua J.W. Automotive schiera le Gt40 nel Mondiale marche e così la più genuina, minimalista e inaffondabile delle Ford vince il titolo 1968 nonché, stupefacentemente, con lo stesso telaio, il leggendario n.1075, si aggiudica due edizioni consecutive della 24 Ore di Le Mans. Lo stesso Wyer ricorda nella sua autobiografia: «Se quelli della Ford nel 1965 mi avessero ascoltato e lasciato lavorare, avremmo ottenuto le vittorie che volevano spendendo molto meno, perché il progetto di base della Gt40 era buono e vincente».

Gt40, una dinastia vincente

Alla fine, risultati alla mano, hanno ragione tutti. E la Gt40 diviene feticcio dell’endurance anni ruggenti. A Le Mans '69 Ickx, nel caratteristico via a piedi, parte ultimo per allacciarsi le cinture con calma e 24 ore dopo vince l'esaltante e drammatico volatone con la Porsche 908 di Herrmann. La Gt40 resta l'indistruttibile sovrana dell'endurance. L’ultimo esemplare continua a correre col privato portoghese Emilio Marta in Angola fino al 1979. La prima diva rombante del pianeta Terra inteso come Villaggio Globale termina così una gloriosa carriera paradossalmente in chiave terzomondista e sottotraccia


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