Sic & Gilles, campioni per sempre

11.11.2011 ( Aggiornata il 11.11.2011 15:29 )

Sic e Gil, monosillabici del rombo che si fa leggenda. E poi 58 e 27, suffissi simboli del coraggio. Chi parla d’auto e moto come mondi a parte, sbaglia. Chi vede assi del volante e centauri come ministri di culti diversi e disomogenei, non ha capito niente delle corse. Chi non riesce a contemplare e godere della stessa aura mistica che promana da entrambi, si perde tanto, tutto, l’essenza bella delle competizioni motoristiche. Il tema in fondo è lo stesso. Un casco, una tuta, un tracciato, degli avversari e, per andare più forte di tutti, un mezzo, quello che alcuni cineasti francesi nel lontano 1974 definirono, con un’immaginifica metafora, “le cheval de fer”,il cavallo di ferro. A due, tre, quattro, sei ruote, poco importa. E sparsi tutt’attorno due concetti alchemici, esaltanti: limite e rischio. E lo stesso metodo: superare il Limite attingendo al Rischio, rispettando e amando quest’ultimo fingendo d’ignorarlo, come si fa con una femmina che vuoi corteggiare e conquistare facendole capire subliminalmente che potresti essere importante ma anche sparire da un momento all’altro. «Datemi un qualsiasi mezzo semovente e io ve lo porterò al limite» - amava ripetere Gilles Villeneuve. «Sì, rischiamo la pelle - spiegava Simoncelli a Chiambretti -, ma ne vale la pena» o ancora, sempre il Sic: «Vivo più io cinque minuti in moto che certa gente in una vita intera». Okay, verissimo, perché Sic e Gil, stile Steve McQueen, come e più di altri hanno saputo in tempi e con modi diversi svegliare l’Africa in ciascuno di noi, il senso innato e vitalissimo della sfida a se stessi e all’altro da sé incarnando giocosamente, poeticamente, forse anche inconsciamente e inconsapevolmente, l’idea nobile del pilota totale, dell’uomo ovunque e del Rischio comunque. Senza paura, eternamente giovani, estremi come navigatori con timoni sostituiti da volanti e manubri, alpinisti con cinture di sicurezza al posto delle funi o tute ignifughe e monopezzo in pelle indossate in luogo del traje de luces, l’abito di luce, paramento sacro del torero.

GIL alla McQUEEN
McQueen che beffa i nazi e impenna la Triumph e salta il filo spinato verso la libertà nel film “La Grande Fuga”, piuttosto che in gara su una Husqvarna nei raid desertici in pieno Nevada, l’uomo che si gioca la vittoria nella serata che mai nessuno dimenticherà a Sebring 1970,sfidando la Ferrari di Andretti, il re del Cool che colleziona moto Indian, che va a fare il race fan al Tourist Trophy scroccando sigarette a un pilota appena ritiratosi, che buca la notte infinita di Le Mans al volante di una Porsche 917 color cielo e arancio e che, minato dal male, assaggia il cielo cui è destinato solcandolo alla cloche di antichi biplani. Villeneuve, che rampa in motoslitta a inizio Anni ’70 sulle nevi del Quebec, che sgomita in Formula Atlantic, che stupisce Chris Amon al suo primo approccio con la Wolf-Dallara a ruote coperte nella Can-Am, che infiamma i cuori in Formula 1 ridando anima alla Ferrari e adrenaline dimenticate a Ferrari Enzo, ragazzo del ’98, che tira alla grande in motoscafo e poi già che c’è pure in elicottero, completando la sua sfida agli elementi costitutivi dei presocratici sospeso tra cielo, terra, aria, acqua e fuoco delle fiammate di rilascio del turbo.


SIC L’ECLETTICO
Marco Simoncelli viene svezzato da papà Paolo al mito dell’Aviatore Canadese, portatore sano di una Febbre contratta a fine Anni ’70 sulle pagine dell’Autosprint diretto da Marcello Sabbatini. In età prescolare è già alle prese con una minimoto. Sic che adora la velocità e mentre artiglia l’europeo 125 e anche un mondiale 250 non disdegna le corse coi carrioli nelle domeniche pomeriggio alla viva il parroco, un liscio e ciao Romagna. Poi, certo, quando lo conoscono in tanti, pure le auto. Simonrally comincia nel 2007 a Monza al volante di una Grande Punto TDI, quindi nel 2008, da fresco iridato su Gilera, rieccolo nella miniclassica brianzola con una Abarth Super2000 e nel 2009 su una Ford Focus Wrc, settimo con i consigli del naviga Guido D’Amore. Nello stesso anno è anche 5° al Ronde di Cesena, su Abarth S2000. Quindi nel 2010 ancora al Rally di Monza su Focus. Una sua uscita sul bagnato, custodita su youtube, ben ne sintetizza opere e omissioni. Quest’anno finita l’estate, artefice la Castrol, il test del Sic sulla Ford Fiesta Wrc di Hirvonen in un ex aeroporto RAF. E il suo commento più spontaneo: «Ora mi piacerebbe disputare un rally vero». E intanto doveva correre a Monza, dal 25 al 27 novembre.

LE ORIGINI
Gilles nasce il 18 gennaio, Marco il 20. Quasi contigui pure nel giorno di partenza. Vengono dal nulla, Sic e Gil. Nessuna fortuna economica alle spalle o tradizioni dinastiche. Ce l’hanno scritto solo nel dna ciò che faranno e soprattutto come. Agli inizi Gil vive da zingaro in roulotte, più border line che astro nascente, mentre il Sic ha bisogno dell’aiuto del papà che vende gelati e per avere liquidità mica gli basta spegnere frigoriferi, quindi ricorre a ipoteche di beni immobili. Okay, dai, ne valeva la pena. 

I NUMERI
La mistica di Gil e Sic ha un che di cabalistico, con nomi corti e secchi avvinghiati a doppie cifre, il Rosso 27 e il 58 Rosso. Gli vengono affibbiati per caso. Nel 1981 la Ferrari, reduce da un’annata sciagurata, si scambia le insegne con la ex sfigata Williams, che ha vinto il mondiale con Jones. Così alla Casa inglese vanno l’1 e il 2, mentre alla Ferrari il 27 e il 28, insolitamente alti, col primo che tocca a Gilles. Quanto al 58 di Simoncelli, l’origine è più complessa: la sua passione per il 5 è risaputa fin dalla scuola dell’obbligo. Gli piace graficamente, perché più che un numero sembra un disegno armonico. E quando a 15 anni si getta l’avventura dell’Europeo, i federali della FIM gli assegnano il 58 e a lui la cosa piace, anche se avrebbe preferito il 55. Fatto sta che col 58 Marco vince il titolo continentale, ci si affeziona e quando può se lo tiene. Insomma, a quei due là i loro numeri restano stampigliati in fiancata e in carena mentre fanno faville e diventano marchi indelebili, tatuaggi alfanumerici, codici fiscali della cittadinanza in zona mito, laddove la tassa da pagare un giorno potrebbe rivelarsi salatissima ma entrambi se ne guardano bene dall’evadere i versamenti, anzi, si dicono disposti se occorre a investire l’anima con disponibilità illimitata.

IL CARATTERE
Gilles arriva in Ferrari agli sgoccioli della stagione 1977, quando Lauda e la Rossa si separano e la 312T2 resta libera per un paio di corse. Il canadese comincia col Cavallino a due passi da casa e scivola sull’olio, poi va a correre in Giappone e al Fuji si prende del brutto con quello che in pista viene considerato l’osso più duro che c’è: Ronnie Peterson. Una carambola agghiacciante, con la Ferrari che vola e semina terrore a bordo pista. Il messaggio, la sciabolata di fari con cui Gil abbaglia tutti, significa questo: «Attenzione, io il piede dal gas non lo alzerò prima di nessuno. Mai nella vita». Nei cinque anni seguenti non farà altro che confermarlo. Un altro contatto in pista, 31 anni dopo, in questo caso con lo spagnolo Barbera, nella classe 250 al Gp d’Italia 2008 al Mugello, rivela il Sic in Eurovisione. Lui in pieno rettilineo cambia traiettoria facendo sì che, colpevole o meno, l’avversario finisca brutalmente a gambe all’aria. Il giornalista d’Italia 1 Franco Bobbiese gli butta là in diretta nel dopo Gp un bel: «Guarda, Marco, che Barbera ha detto a caldo che avevi aperto una gamba». E Simoncelli: «Sì, sua sorella ha aperto le gambe…». Un missile esilarante, la classica risposta con cui ti fai amici tutti i baristi del mondo, tanto che va diretta su Blob, Striscia, youtube. Su, lì’ in quel motto di spirito c’è tutto il Sic: non fine ma fino, mediatico, spontaneo, orgoglioso, franco e spavaldo. E giù un altra bordata, sempre rivolto ai compassati Bobbiese e Cereghini che l’ascoltano un po’ sbigottiti ma neanche tanto: «ma dai, dai, che Barbera ha rotto le palle a tutti da quando corre». Se quello è Gil, questo è Sic. 




NO, VINCERE NON CONTA
Entusiasmano, Gil & Sic. Catturano l’immaginazione. Mettono voglia d’ascoltarli, ogni volta che appaiono, fanno sorridere tanto è timido il canadese quanto è guascone l’italiano, e soprattutto regalano magnetici desideri di vederli in azione in pista. Perché per loro non esiste il compromesso, nulla è negoziabile: sono vaccinati contro la malattia professionale del braccino corto e del calcolo moscio. Gli avversari, semplicemente, no pasaran mentre loro, invece, pasaran a qualunque costo, provvisoriamente invulnerabili e momentaneamente immortali. Con questa mentalità si fa più fatica a vincere ma nessuna per entrare nei cuori di tutti. Altroché, è il modo giusto e infallibile per essere più amati che premiati. Gilles in F.1 disputa 67 Gp e ne vince 6, Marco nel Motomondiale corre 151 prove iridate e ne fa sue 14. Stupefacentemente i due registrano la stessa identica media di vittorie per gara: una ogni undici. Una coincidenza che non può non far sobbalzare sulla strada dell’analogia che sfocia nella stessa filosofia. Vincere non serve per essere ricordati per sempre. Diventi mito non per ciò che ottieni ma per quello che sei disposto a dare per farcela. Cioè tutto te stesso.

LE DIFFERENZE
Eppure assaporare, amare capire e rispettare i due piloti destinati a dare il nome ad altrettanti circuiti, Montreal e Misano, significa anche coglierne le differenze. Parco di parole, introverso, a volte più duro di quel che già era Gilles, quanto fluviale, tracimante, allegro e comunicativo il Sic. Il primo aveva bisogno dello cheval de fer per esprimersi, che volasse o meno, mentre il secondo correva a modo suo anche standosene in poltrona a far lo showman alla radio o in Tv. Mentre Gilles, ormai maturo, era un individualista, Marco restava ben attaccato al ruolo del family man. E la sensibilità aveva regalato a entrambi sofferenze. A Gilles, che si lamentava del tradimento di Pironi a Imola 1982 e al Sic a metà 2011 con gli strali lanciati da Pedrosa e Lorenzo, per la sua guida giudicata troppo aggressiva.

L’EPILOGO
Chiude tutto un doppio filmato che pare scorrere parallelo, in split screen, a 29 anni di distanza. Una curva anonima, che non ha mai creato problemi a nessuno. L’emergenza poi la decisione istantanea, frutto di una filosofia di vita. Non mollare. Mai. Costi quel che costi. Gilles Villeneuve a Zolder 1982 non alza il piede quando intravede la sagoma lenta della March di Jochen Mass: ha già in testa la corsia immaginaria nella quale lo passerà. Marco Simoncelli a Sepang 2011 non lascia la sua Honda che sta partendo per la tangente in una piega destrorsa, perché è alto un metro e 82 per 74 chili, fisicamente è una bestia in confronto agli altri piloti del motomondiale, e lui la moto può riprenderla eccome. Il fato, l’intersezione, l’incomprensione con chi sta in pista e va per la sua strada scrive, su pagine diverse, lo stesso finale. Urti tremendi, apocalittici. Corpi sull’asfalto. Arresi, senza più caschi né vita. I tentativi di rianimazione, immediati ma un po’ disperati e ingenui per Gilles - addirittura massaggio cardiaco a bordo pista -, quanto sono scientifici, perfetti, secondo il protocollo CPR della Cardiopulmonary Resuscitation, per Marco. Niente da fare. È finita. Anzi no, forse non finirà mai.

L’ORGOGLIO
È una sensazione strana, che fa struggentemente coabitare concetti opposti. Gilles e Sic sono morti subito ma sono anche un po’ vivi e non moriranno mai più. Sì, se ne sono andati facendo ciò che amavano, ma soprattutto perché, forse più esplicitamente di altri, erano disposti a morire pur di amare la vita a modo loro, senza compromessi, frenate salvifiche e manubri lasciati. Perché hanno riscoperto il Rischio in un’epoca che, a volte ipocritamente, lo rifugge. Se vivranno - e vivranno a lungo in tutti noi - è anche perché l’appassionato che concepisce l’esistenza stessa come fosse una gara, sta bene, vive meglio se pensa al fatto due così sono esistiti davvero.

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