Legends 13 AS 37 - La Lancia LC2 e Piercarlo Ghinzani

20.03.2013 ( Aggiornata il 20.03.2013 14:16 )



Signore e signori , ecco a voi la Lepre più bella e veloce del mondo. Laddove la L maiuscola sta per Lancia, al secolo Lc2. Ultimo prototipo italiano schierato in forma ufficiale ad aver provato a vincere la 24 Ore di Le Mans. Se l’Endurance è resistenza, passo, strategia, ripetizione salmodiante di un tempo target, la Lc2 costituisce il tentativo romantico e adrenalinico di rompere gli schemi, attaccando al cuore la gioiosa macchina da guerra della Porsche nell’era della formula consumo, all’inizio 60 litri per 100 chilometri, cominciata col regolamento Gruppo C a partire dal 1982. La Lc2 arriva l’anno dopo, a sostituire la Lc1 barchetta Gruppo 6 a cielo aperto, in un mondiale che s’annuncia al fulmicotone. L’italianissima ricetta di Cesare Fiorio, come al solito, è di quelle che trasformerebbero un concerto di violoncello nel carnevale di Rio. Telaio Dallara, motore Ferrari V8 biturbo, assemblaggio Lancia, gomme Pirelli, una meravigliosa livrea Martini e piloti di F.1 quali Ghinzani, Alboreto, Patrese, Nannini, De Cesaris, Martini, Gabbiani, Fabi e Barilla a sfidare i cetacei Porsche 956, lo squadrone ufficiale Rothmans coi veterani ultra 40enni Ickx, Mass e Bell nonché il giovin virgulto Bellof, più un nugolo di preparatissimi team privati, stile Joest, Kremer, Fitzpatrick e Obermaier. Ed è così che la Lc2 fin dal debutto, alla 1000 Km di Monza, fa faville. Il “Ghinza” la piazza in pole manco fosse a Indy e parte sparato come se nella vita non avesse niente da perdere. Stupendo. Le 956 farebbero la figura di tram contro un aerotaxi, se non fosse che la battistrada deve fare i conti col battistrada. Per farla breve, c’è stato un frainteso tra Lancia a Pirelli e le gomme non sono adatte alle sollecitazioni fornite dalla vettura, tanto che l’esplosione di uno pneumatico segna la fine della prima grande fuga della Lc2. Ci vogliono cinque gare per vederla conquistare affidabilità. Le due Lc2 ufficiali più quella della Mirabella portano a compimento la 1000 Km di Spa, anche se staccatissime dalla 956 vincitrice di Ickx-Mass. Il primo bel traguardo è a Brands Hatch, con un 4° posto di Patrese e Alboreto e già a Imola, nella serie Endurance europea, arriva la prima vittoria, con Teo Fabi e Hans Heyer. Nel frattempo la Lancia è passata alle gomme Dunlop, anche se le sospensioni restano quelle studiate per le Pirelli. Si parte agguerriti l’anno dopo, con sospensioni modificate per le Dunlop. Si comincia con un 3° posto a Monza e un 4° a Silverstone, accompagnato dalla pole. A Le Mans le Lc2 fanno sognare, partendo in prima fila e andando in fuga fino a metà corsa, quando guai al cambio rallentano le vetture, altrimenti lanciatissime. Wollek porta la miglior Lancia all’8° posto finale, col buon Nannini. L’unica grande e concreta soddisfazione stagionale arriverà il 4 novembre a Kyalami, quando, in assenza dell’armada ufficiale delle 962, il prototipo italiano coglie la prima vittoria iridata con Patrese e Nannini, spezzando la striscia d’imbattibilità Porsche, che durava dalla 1000 Km di Monza del 1982. Siamo allo zenith dell’attacco che la Lancia porta alla Casa tedesca. Per il 1985, infatti, oltre a una versione “evo” della vettura, arrivano anche gli pneumatici radiali Michelin e al Mugello, nella gara d’apertura del mondiale, la Lc2 rifila in qualifica 1”7 al giro alla Porsche ufficiale più veloce, mentre a Monza i secondi a tornata diventano addirittura 4, col V8 Ferrari che fa ruggire spaventosamente i suoi 1000 cavalli incitati dal biturbo. In corsa, però, è un’altra faccenda. Le briglie della formula consumo, l’affidabilità mai assoluta e la consistenza della Porsche relegano puntualmente le Lancia a piazzamenti onorevoli ma non coincidenti con l’agognata vittoria. A Silverstone, mentre Nannini è in testa, ci si mette un cuscinetto ruota a cedere, facendo svanire il bel sogno. Quanto a Le Mans, le Lc2 sarebbero state di nuovo protagoniste, se i soliti guai di tenuta non le avessero relegate al 6° e al 7° posto. L’acuto salva-stagione arriva in una giornata triste, a Spa, nella 1000 Km che viene interrotta anzitempo a seguito dell’incidente a Eau Rouge che causa la morte di Stefan Bellof. In quel momento è in testa la Lancia ufficiale di Wollek, Baldi e Patrese che sono proclamati vincitori. A fine anno la Casa italiana per la terza stagione consecutiva conquista il 2° posto nel mondiale endurance, stavolta però con lo scarto minore rispetto alla Porsche: solo 27 punti. Con un pizzico di affidabilità e di fortuna in più il regno della 962, che nel frattempo ha preso il posto della 956, poteva essere messo in discussione. Il 1986 è l’ultimo anno del team ufficiale, con un 2° posto nella gara sprint di Monza e per il resto poco da salvare. Ormai Lancia e Martini riguardano verso il mondiale rally. La Lc2 continua coi privati Mussato, Dollop e Veneto Equipe fino al 1991 e chiude la sua storia con 51 corse iridate disputate, 13 pole, 11 giri più veloci e 3 vittorie complessive. Numeri che esaltano, una volta di più, le sue qualità di nobilissima Lepre.



Quella cilindratatutta in crescita
Dai 2599 cm³ dell'83 si passò ai 3014 cm³ di Monza '84, ma non bastò per sfondare

 



Il motore V8, con angolo tra le bancate di 90°, di origine Ferrari e preparato in casa Lancia, aveva testate a 4 valvole per cilindro azionate da doppi alberi a camme. Quanto alla cilindrata, inizialmente di 2.599 cm³, ossia nel 1983, in chiave 1984 venne incrementata a 3.014 cm³ nell'evoluzione schierata in occasione della 1000 Km di Monza 1984. Circa le prestazioni del propulsore, va sottolineato che il V8 era sovralimentato da due turbocompressori Kkk e che in gara la potenza non andava oltre 680 Cv per rientrare nei limiti di consumo imposti dal regolamento. In prova, con l'overboost, si sfiorava il tetto dei 1000 Cv.

LA SCHEDA TECNICA
Telaio
: Dallara monoscocca in alluminio con struttura a nido d’ape, con una carrozzeria in kevlar.
Sospensioni: di tipo indipendente, con schema a doppi triangoli sovrapposti.
Cambio: meccanico a cinque marce
Peso: circa 850 kg.
Lunghezza: 4.800 mm
Larghezza: 1.800 mm
Altezza: 1.065 mm
Passo: 2.665 mm
Motore: V8 di 90°, testate a 4 valvole
Cilindrata: 2.599 cm³ poi 3.014 cm³
Potenza: in gara 650 cavalli, in qualifica fino a 1000 cavalli.



 


La casa italiana produsse uno sforzo significativ o e generoso
La squadra ufficiale si avvalse in tutto di sette telai in quattro anni di programma. Le ultime 2 vetture furono completate per i privati



Nel suo impegno all’interno del mondiale Gruppo C la Lancia ha costruito 9 telai, non tutti destinati a essere schierati ufficialmente. Nel 1993, primo anno del programma Lc2 Lancia-Martini, sono state quattro le scocche completate. La 001, 002 e 003 sono state utilizzate dalla squadra ufficiale, mentre la 004 è stata schierata nei colori della Scuderia Mirabella per Francia e Barilla. La 003 è stata poi fatta correre anche privatamente ed è al volante di questa vettura che Bruno Giacomelli è stato protagonista di un grave incidente nelle prove di una gara Interserie a Zeltweg. Il telaio successivamente è stato ricostruito ex novo, con la denominazione di 003B. Nel 1984 sono stati realizzati due nuovissimi esemplari, la 005 e la 006, quest'ultima schierata anche nei colori del Jolly Club e utilizzata nel 1986 come muletto dalla squadra ufficiale. Nel 1985 viene invece costruito l’ultimo esemplare utilizzato dal team Lancia, perché i telai 008 e 009 saranno poi assemblati rispettivamente nel 1989 e nel 1991 per il team di Gianni Mussato. Quest’ultima Lc2 è quindi ceduta alla Veneto Equipe nel 1991, in un programma che, a 8 anni dalla prima apparizione, segna il canto del cigno per la vettura. Il modello si è rivisto nelle gare storiche dedicate al Gruppo C, segnatamente a partire dal 2004, quando la gloriosa Lancia è ricomparsa con i telai 003 e 007 fatti correre rispettivamente nei colori Benton e dal team di Richard Bryan.





Il motore ferrari V8 biturbo da 1000 cv dava emozioni uniche
Piercarlo Ghinzani è stato il pilota che ha svezzato Beta Montecarlo, Lc1 e Lc2. Qui rivela come e perché il vero mostro era quest'ultima



Piercarlo Ghinzani
è stato il “papà” in pista della Lancia Lc2, oltre ad aver svolto un importante ruolo di tester anche per i due modelli endurance precedenti della Casa, la Beta Montecarlo Gr.5 e la Lc1 Gruppo 6. «La Lc2 in confronto era un trionfo di potenza. La Montecarlo era una vettura dalla filosofia diversa, mentre già la Lc1 barchetta era una vera macchina da corsa, con un monoturbo da 450 cavalli. leggerissima, 2 quintali e mezzo meno pesante della Porsche 956 e ad effetto suolo. Con essa al Ricard prendevo Signes in pieno, tanto che i tecnici Porsche nei test vennero da noi ai box per capire quale diavolerie avessimo sotto al cofano. Ebbene, la Lc2 in confronto era una vera belva». I primi vagiti? «Nell’inverno 1982, a Fiorano. C’era anche l’ingegnere Enzo Ferrari che mi disse subito: “Con il mio motore V8 ti leverai delle grandi soddisfazioni, vincerai delle gare”. In effetti, capii subito che la potenza era semplicemente spaventosa. Fino a 4000 giri il motore era morto, poi col biturbo in azione passava improvvisamente da 200 cavalli di potenza a 750, fino a 8000 giri. Si avvertiva una spinta fantastica, uno schiaffo che dava adrenalina e l’orgoglio d’esserne il pilota». Chi era coinvolto e quale erano i ruoli? «Al tempo si usava solo il nome Lancia, ma in realtà il telaio era frutto della bravura della Dallara, il motore era Ferrari e l’assemblaggio del tutto spettava alla Lancia, col tecnico Gianni Tonti al timone. In più ci fu un fondamentale ruolo di sviluppo da parte della Pirelli grazie a Mezzanotte e Turchetti. In pista a gestirci, con la bravura di sempre, c’era Cesare Fiorio». Cosa puoi dire dello sviluppo della vettura? «Era nata bene, specie come motore. Per il resto la crescita fu volta all’ottimizzazione dell’effetto suolo, visto che la Lc2 era a tutti gli effetti una wing car priva di minigonne. Davanti aveva il fondo piatto, mentre il profilo alare iniziava all’altezza della schiena del pilota. Molti test furono dedicati a sigillare la vettura da perturbazioni esterne e il salto di qualità si ebbe quando furono introdotte due mezzelune scavate sui fianchi, che aumentavano la depressione e attaccavano la Lc2 all’asfalto, specie in curva. Tanto che al debutto a Monza 1983 mi presentai subito con una stupefacente pole position. L’avremmo vinta, quella gara, battendo tutte le Porsche, se non ci fosse stata un’incomprensione tra Dallara e la Pirelli, che realizzò gomme basandosi su dati di carico minori a quelli reali. In poche parole, le coperture non reggevano le sollecitazioni e dechappavano. Proprio l’esplosione di uno pneumatico mi impedì la vittoria, per il conseguente danneggiamento del cofano. Peccato». Una storia lunga, fatta fin dall’inizio soprattutto di occasioni perdute... «Pensa che ero in testa alla 1000 Km del Nurburgring 1983, sulla Nordschleife e a fermarmi nel finale fu un problema di differenziale. A Spa, poi, si poteva trionfare con Alboreto, ma il compianto Michele si fermò nel finale perché si dimenticò di azionare il manettino della riserva. Cose che capitano... Con Michele, però condivido una gran bella vittoria nella 1000 Km del Mugello '82, che rappresenta il mio miglior risultato con l'altra lancia, la Lc1». Eppure la sfida alla Porsche si concretizzò, ma non fu complessivamente vinta. Perché? «Per due motivi fondamentali. Anzitutto i tedeschi nell’endurance si muovevano con una squadra ufficiale che vantava un quarto di secolo di esperienza, mentre noi con un prototipo chiuso eravamo praticamente al debutto, proprio perché la Beta Gr.5 e la Lc1 erano vetture filosoficamente del tutto diverse. Noi avevamo utilizzato tre motori tra loro differenti, mentre i tedeschi continuavano a correre di fatto da decenni col solito 6 cilindri piatto. Un vero trattore, affidabilissimo, parco nei consumi, rispetto al nostro. La Lancia avrebbe avuto bisogno di uno sforzo maggiore e di più tempo a disposizione per mettere sull’asfalto tutto il suo vero potenziale. E poi c’è un altro aspetto che non va trascurato: la formula consumo. Il Gruppo C si distingueva da tutte le formule in vigore nell’endurance fino a inizio Anni ’80 per privilegiare proprio l’aspetto del consumo di benzina, con quantità limitate di carburante a disposizione a imbrigliare la potenza. Il nostro motore Ferrari V8, invece, non era nato per consumare poco, ma per urlare e spingere. Sai è come se esci la sera con una ragazza bellissima, però i regolamenti gli impediscono di togliersi l’impermeabile. È chiaro che ad averla tra le mani senti di star bene, ma per certi versi avverti pure un po’ di sofferenza... E, infine - conclude Ghinzani -, voglio aggiungere che alla Lancia sono mancati anche i mezzi e l’esperienza della Porsche per rendere la Lc2 una vettura del tutto affidabile. Per il resto era concettualmente più avanti della 956 e della 962, le sue rivali tedesche. Io con le Porsche ci ho poi vinto al Fuji e a Kyalami, ma continuo a preferire di gran lunga le sensazioni e le soddisfazioni che mi ha regalato quella stupenda macchina un po’ inespressa che è stata la Lancia Lc2 e il suo fantastico biturbo sfornato dalla Ferrari».

 

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