Lotta ai box

Lotta ai box
I pit-stop sono la chiave del successo nella F1 di oggi. L’obiettivo è fare il cambio gomme in meno di 2 secondi. Ecco come

Alberto Antonini

09.04.2013 ( Aggiornata il 09.04.2013 12:49 )

Ci sono foto che raccontano un’epoca. Una in particolare, datata 1935, raffigura la Mercedes di Rudolf Caracciola ai box - se vogliamo chiamarli così - del Gran Premio di Spagna. Cartelloni pubblicitari, un signore in borghese che osserva stando in mezzo alla corsia, una bandiera nazista sullo sfondo. Accorre un meccanico in tuta bianca mentre il pilota, casco di pelle e occhialoni, si gira a osservarne un altro affaccendato sul retrotreno. I tempi in cui i bulloni delle gomme si svitavano a martellate. Tempi in cui i pit-stop avevano i tempi di un tagliando. Quasi ottant’anni dopo, la Red Bull “scopre” di aver infranto, in Malesia, un nuovo record per il cambio pneumatici. Mark Webber giro 19, seconda sosta, tempo 2”05. Al limite della soglia psicologica dei due secondi, quella che rappresenta per tutti il nuovo obiettivo. Quanto conta risparmiare un decimo, mezzo decimo di secondo, per il risultato finale? A volte serve a poco, il più delle volte può essere decisivo. È chiaro che più aumenta il numero dei pit-stop, maggiore sarà anche il vantaggio. A condizione di essere costanti, perché un exploit occasionale non serve a niente. Facciamo un esempio pratico: proprio l’ultimo Gp disputato. Quattro soste quasi per tutti, compresa quella per passare dalle intermedie alle gomme da asciutto. Sommando il tempo totale in pit-lane, viene fuori che Mark Webber “trascorre” in tutto 1’23”396 in corsia box. Un secondo e tre decimi meglio di Vettel (1’24”713), tre secondi meno di Massa (1’26”569), mentre Perez salva l’onore McLaren arrivando a punti con un tempo di sosta complessivo di 1’25”181. _E1M3808 Soffermiamoci sulla Red Bull: visto quello che è successo poi in gara, non è azzardato dire che Mark la sua gara l’avrebbe vinta ai box, visto che dall’ultima sosta è uscito davanti al compagno di squadra. Ma quel distacco totale di 1”317, che diviso per quattro ci dà 0”329 in meno a ciascuna sosta, dove è stato guadagnato? Anche in tempo di tv interattiva, purtroppo, non è sempre facile orientarsi. Perché i tempi riportati sullo schermo sono presi dal “transponder”, la centralina installata sulle vetture che trasmette i dati relativi ai sensori installati in corsia box. I tempi di arresto rilevati dalle squadre, invece, sono quasi sempre diversi - e quasi sempre più bassi... - e calcolati con altri parametri. Esempio: prima di Webber, il record ufficioso apparteneva alla McLaren di Button, Gp Germania 2012: 2”31 il tempo comunicato dalla squadra, 2”4 quello rilevato dalla Fia. C’è una bella differenza. Il cronometraggio, oggi, per i top team è automatico, collegato alle pistole e ai cavalletti di sollevamento che controllano anche il semaforo. Naturalmente non c’è solo il tempo “fisico” dell’arresto, quello in cui la vettura è ferma mentre i meccanici cambiano le gomme. Bisogna tenere conto anche dell’entrata in corsia, della frenata - che ogni pilota prova a lungo al venerdì - davanti alla linea bianca che segna l’inizio della zona a velocità controllata (per la Malesia, 60 Kmh in prova e 100 in gara). In più c’è la fase di ripartenza. Oggi non sono più consentiti i dispositivi automatici di qualche anno fa, il pilota deve fare tutto da solo giocando di frizione. Un piccolo errore ci può scappare sempre. A volte anche uno macroscopico, come quello - dovuto a un errore del personale ai box - che ha fatto perdere una vita a Button all’ultimo Gran Premio. Il semaforo era verde, peccato che una delle ruote non fosse ancora stata fissata. A tanti sarà venuto in mente Singapore 2008, quando Massa partì dai box portandosi dietro il tubo di rifornimento della benzina. Ma i quel caso il semaforo era a controllo umano. Oggi i tecnici stimano che fra i riflessi di un caposquadra e i chip di un semaforo ci sia un vantaggio (a favore del semaforo) di tre decimi a sosta. Ma non sempre tutto va liscio. Anche perché il lavoro dei meccanici è maledettamente difficile. Bisogna operare in spazi stretti, con indosso l’ignifuga - che teoricamente non sarebbe più obbligatoria! - e il casco. Con il cuore che pulsa a 180 battiti al minuto e la consapevolezza della responsabilità. Il grande pubblico ammira i piloti, ma spesso fra un primo e un secondo posto la differenza la fa il lavoro di tanti uomini. Che non vengono neppure nominati. Formula One World Championship, Rd2, Malaysian Grand Prix, Race, Sepang, Malaysia, Sunday 24 March 2013. 1,5 secondi in meno in 3 anni Da quando sono stati aboliti i rifornimenti la media dei tempi di arresto ai box è scesa da 4” a 2”5 Da quando sono stati aboliti i rifornimenti di benzina in F.1, dopo il 2009, i pit stop si sono fatti velocissimi. Ma di quanto? Cifre alla mano, in tre anni il tempo di puro arresto ai box è sceso di quasi un secondo e mezzo sui quattro complessivi di una volta. Un’enormità perché significa circa il 40% in meno. Nel 2010, primo anno senza rifornimenti, la media dei tempi di sosta variava fra i 3,5 e i 4,1 secondi e lo stop migliore in assoluto fu della Ferrari in 3”3. Nel 2011 i tempi medi sono scesi sotto i 4” e variavano fra 3,2 e 3,8 secondi; in quella stagione fu la Mercedes la prima a infrangere il “muro” dei tre secondi stabilendo in un Gp il pit stop più rapido in 2”9 grazie soprattutto grazie all’uso del cerchio con dado fisso pre-montato, un “trucco” mutuato dal Dtm che permise di sveltire enormemente il cambio gomme perché il meccanico non doveva più perdere istanti preziosi per infilare il dado nella filettatura del mozzo. Appresa da tutti tale tecnica, l’anno scorso i pit stop si sono velocizzati ulteriormente ed è stato guadagnato un altro mezzo secondo di media: i pit stop dei top team sono scesi fra i 2,8 e i 3,4 secondi e la McLaren stabilì il record stagionale in 2”4. Record già battuto quest’anno dalla Ferrari (2”3 in Australia) e dalla Red Bull (2”05 in Malesia). Tutto lascia immaginare che nel 2013 qualcuno infrangerà il “muro” dei due secondi netti per cambiare le gomme. Formula One World Championship, Rd2, Malaysian Grand Prix, Race, Sepang, Malaysia, Sunday 24 March 2013. Ma quel che alla fine conta di più non è solo il tempo di arresto, ma anche il tempo di percorrenza della pit lane, lunga quasi mezzo chilometro. È vero che la velocità di percorrenza della corsia box è fissa per regolamento, ma la bravura del pilota nelle tre altre fasi-chiave può fare una gran differenza nel conto totale del tempo: deve saper frenare al momento giusto nell’inserire il limitatore di velocità, fermarsi nel punto esatto nella piazzola di sosta e ripartire senza sprecare tempo in patinamenti dopo la sosta. Nelle tabelle a fianco trovate i migliori nel 2012 e di quest’anno. Guarda caso, sempre Red Bull e Ferrari. DAL GP SPAGNA MENO SOSTE AI BOX? Gomme per cambiare Dipende tutto dalle squadre. Da quelle, in particolare, che nelle prime due gare si erano lamentate di più. Le gomme per il prosieguo della stagione potrebber cambiare, fermo restando che la costruzione resterà quella del 2013. Su richiesta dei team, la Pirelli potrebbe fornire un prodotto più costante, meno soggetto alle variazioni di temperatura e al degrado. E di conseguenza si potrebbero avere meno pit-stop, riducendo in parte l’impatto che la guerra al decimo di secondo sta avendo sulle strategie di gara. Pirelli non ha “chiuso” del tutto alla possibilità che alcune delle caratteristiche delle sue gomme possano cambiare. Anzi, è già stato fissato un piano di massima. Prima si va in Cina e Bahrain (dove debutterà la nuova mescola “soft” a banda gialla, che finora quest’anno non è stata usata). Poi si analizzano i risultati. Infine, si vedrà quante e quali squadre chiedono questi cambiamenti. Se si tratta dell’unanimità, o di una consistente maggioranza, allora già dal Gp di Spagna potrebbero esserci mescole più stabili e meno cambi di pneumatici. Ma se sono solo Red Bull e Mercedes a volerle, allora il discorso è diverso. E i pit-stop restano la chiave delle gare. Formula One World Championship, Rd2, Malaysian Grand Prix, Race, Sepang, Malaysia, Sunday 24 March 2013. Che tempo fa? i tre modi per calcolare le soste tempo “al verde” E' il tempo fra arresto e luce verde del semaforino del team. Ovviamente dà i riscontri più bassi, mediamente quattro-cinque decimi in meno  rispetto al tempo di sosta totale. La differenza sta nel fatto che, in questo caso, il cronometro si fa scattare quando la vettura si arresta, fermandolo quando scatta il semaforo verde. Poiché le luci di stop e start sono collegate a pistole e carrelli, il tempo è sempre più basso di quello in tv. tempo totale Differisce dal tempo “al verde” perché tiene conto anche di quel piccolo periodo - qualche decimo di secondo - che resta l’ultimo legato al fattore umano. Cioè ai riflessi del pilota che quando vede la luce verde deve rilasciare la frizione per ripartire. Anche questo, però, di solito è inferiore a quello visto sugli schermi tv, che vengono calcolati quando la vettura passa sui sensori della pit-lane. tempo in pit lane E' il dato veramente utile per la definizione delle strategie. Indica il periodo in cui la vettura si trova fra le due linee di demarcazione del limite di velocità in corsia box. Quindi varia molto in funzione della velocità (in Malesia sono 25”5 a 60 orari, cioè in prova, e 15”3 a 100 kmh in gara). A questo va sommato il tempo di arresto. Si può guadagnare qualche decimo solo nelle frenate in ingresso e davanti al box. Formula One World Championship, Rd2, Malaysian Grand Prix, Race, Sepang, Malaysia, Sunday 24 March 2013. Ferrari che ritmo! Minimizzare gli errori, non i tempi. è la logica di ioverno, che dirige il lavoro al box rosso. e ne rivela i segreti Sapevate che la Ferrari detiene, nelle prove di pit-stop, un tempo che “può essere considerato record”, anche se non lo divulga? Ogni squadra fa le sue prove, e generalmente quelle svolte in fabbrica, in condizioni meno estreme, danno risultati migliori al cronometro. Di questo e di altri segreti della sosta ai box abbiamo parlato con Diego Ioverno (Piero-Diego per la precisione), il coordinatore dei meccanici ai box. È lui che, a Maranello e sui campi di gara, controlla, cronometro alla mano, il lavoro dei meccanici. Con un principio: mai mettere pressione psicologica, si rischia solo di far danni. Quello di Ioverno è un lavoro complicato anche, di recente, dalle norme che limitano il personale ai box. Un tempo ogni meccanico aveva il suo “ricambio”, pronto a rilevarne le funzioni al cambio pneumatici. Oggi ci sono al massimo un paio di persone a disposizione e, se qualcuno dovesse farsi male, occorre organizzare complesse rotazioni tra i “pistoleri” (gergo ferrarista per gli addetti alle pistole pneumatiche) e chi monta e smonta le gomme. - Quali sono le principali novità introdotte quest’anno (tecniche e “umane”) nel vostro pit-stop? «Abbiamo lavorato soprattutto sulle attrezzature (carrelli e pistole) e sulla logica del semaforo». - La Red Bull ha dichiarato un tempo di sosta di 2”05 al Gp Malesia. È un dato ‘impressionante’ o ci si può arrivare? «È un valore raggiungibile. Red Bull ha mostrato anche lo scorso anno, come noi, McLaren e Mercedes, di poter realizzare degli ottimi tempi. Quello che conta però è cercare di minimizzare gli errori nel corso della stagione. I tempi record vengono da una buona base tecnica, un discreta dose di rischio e da condizioni a contorno favorevoli. Loro chiaramente sono ad ottimi livelli, ma hanno anche buone condizioni a contorno. Prima tra tutte il fatto di essere nel primo box della pit lane. In casi come la Malesia, questo dà un vantaggio enorme: soprattutto come precisione di arresto del pilota». - È vero che è allo studio un sistema per velocizzare il cambio di senso di rotazione delle pistole? «Non si esclude nessuna possibile miglioria..» - Molti team lavorano al pit-stop ‘automatizzato’, anche in fase di rilascio. Ma visti alcuni episodi, come quello di Button a Sepang, è sicuro o è meglio avere una componente umana? «Tutti i team hanno ormai il rilascio automatizzato. Ridurre i tempi di reazione è uno dei modi per calare i tempi, accettando di rischiare di più». pit toro caterham - Quanto tempo viene dedicato all’allenamento, dentro e fuori da un week end di gara? «Tre allenamenti settimanali, sia quando la squadra è in azienda che in pista». - Il dado ruota è una componente fondamentale del cambio gomme. Eppure a volte si può inceppare, come è successo di recente alla Force India. Quali sono le “nuove frontiere” su cui lavorare? «Non esistono nuove frontiere. Il dado ha un filetto. Con la velocità di rotazione delle pistole, statisticamente è impossibile eliminare il rischio di “inceppamento”. Bisogna cercare soluzioni tecniche che lo minimizzino». - C’è già chi usa sistemi laser per il perfetto posizionamento della vettura. Sarebbe possibile (anche in vista dei regolamenti) utilizzare una traccia-guida per il pilota, tipo quella che aiuta gli aerei ad atterrare per intenderci? «Tutto è possibile, ma non sempre è facile o immediato capire quanto alcune soluzioni altamente tecnologiche e coreografiche diano effettivamente un beneficio. Chi usa il laser oggi lo impiega per il perfetto posizionamento delle mani di chi indica al pilota dove fermarsi….». - Hai sempre detto che l’importante è la reiterazione, più del tempo assoluto di un singolo stop “record”. Al momento qual è il vostro delta di errore? «Non è possibile definire un delta errore; ci sono troppe variabili, prima tra tutte la posizione e la modalità di arresto della macchina. Diciamo che un buon obiettivo è stare su un tempo medio sotto i 3 secondi e con una variazione di più o meno tre decimi». - A parte il cambio gomme, qual è (anche in caso di emergenza) l’operazione che richiede più tempo, esempio, cambio musetto o pulizia dei radiatori? «La sostituzione del musetto; la pulizia radiatori ormai non si fa più». - Abbiamo visto che la domenica mattina non fai allenare i ragazzi al pit stop, a differenza di altre squadre. Come mai? «Statisticamente abbiamo appurato che il primo pit stop che facciamo in gara è in media sugli stessi valori degli altri (depurando l’effetto posizione di arresto). Quindi, a nostro avviso, l’allenamento della domenica mattina è più un rischio che un beneficio. Se avessimo una terza macchina probabilmente lo faremmo e non escludo che in futuro in qualche occasione possa comunque capitare».  Se i pistoleri giocano ai dadi Quasi una sfida da far-west,  ma con tecnologie in continua evoluzione. la più importante è il dado integrato nel cerchio Anche nei film western il duello lo vince chi è il più veloce con la pistola. Ma i semplici attrezzi usati negli anni eroici hanno subìto uno sviluppo enorme, anche nei materiali di costruzione. Ecco la “storia” dei principali componenti. Pistole prodotte a Reggio Emilia Durante gli ultimi test invernali, dopo ogni prova di pit-stop, i meccanici Red Bull coprivano ogni volta le loro pistole pneumatiche dopo l’impiego. La tecnologia di questi utensili - che a prima vista somigliano a semplici trapani -  si è evoluta moltissimo negli anni, specialmente da quando, con l’abolizione dei rifornimenti, i cambi gomme si giocano sul filo del decimo di secondo. Una pistola può pesare poco più di tre chili e mezzo, operare con una pressione di 20 bar e raggiungere - libera - i 13500 giri/minuto, con una coppia di 3500 Nm. Alla fine del 2011 è stato proibito l’uso dell’elio che, essendo meno denso dell’aria, permetteva prestazioni maggiori, ma non è considerato un gas “ecologico” in quanto raro. Quindi l’unico gas consentito, a parte l’aria, è l’azoto. Ferrari usa - come molti altri team - le pistole prodotte dalla Paoli di Reggio Emilia, azienda leader del settore, in F.1 dal ‘75. Korean GP Thursday 11/10/12 Dadi ruota stile Dtm La vera svolta nella tecnologia si è avuta quando la Mercedes ha introdotto i dadi montati direttamente nel cerchio ruota. È una soluzione derivata dal campionato Dtm che ha risvolti pratici importantissimi. Il dado non si può sfilare, rimane sempre “in posizione” e ha consentito un enorme risparmio di tempo. Ma anche così, la filettatura non è esente da rischi, perché si può “spanare” sotto l’effetto di rotazione dato dalla pistola pneumatica. La ricerca qui è sempre un compromesso fra rigidità ed elasticità dei materiali, con una filettatura che consenta un avvitamento e svitamento rapido ma al tempo stesso riduca le probabiilità di inceppamento. Semaforo fa guadagnare 3 decimi Tutti ricordano il disgraziato Gp Singapore del 2008, quando Massa partì dal box Ferrari con il tubo della benzina ancora incastrato. Ma basta andare indietro solo fino all’ultimo Gp per ritrovare un episodio simile con Button in Malesia. Però, per le squadre, i circa tre decimi di secondo guadagnati sostituendo i chip elettronici ai riflessi umani sono irrinunciabili. (Per dare un’idea del progresso sui pit stop: la Lotus oggi arriva a soste di 2”4 sotto il record 2012 della McLaren: eppure per loro «è imperativo migliorare»). Oggi le squadre hanno ormai sostituito del tutto il “lollipop” o leccalecca, con la luce rossa e verde. Che è collegata alle pistole e ai cavalletti, in modo da scattare quando la vettura è pronta. Al box Red Bull, dall’alto, si vedono punti luminosi sull’asfalto, proprio sotto il castelletto in carbonio che regge anche il semaforo. Si tratta di “puntatori” laser che Newey ha introdotto da qualche anno, per indicare ai meccanici il punto esatto in cui tenere le mani, in modo da “economizzare” anche i movimenti. Sempre che il pilota si fermi con precisione millimetrica. Cavalletti e storici voli I meccanici che sollevano il muso della vettura fanno uno dei mestieri più pericolosi in F.1. Va bene che i piloti sono bravissimi a calcolare le distanze e la velocità in pit-lane adesso è limitata, ma basta poco a essere investiti. Nel 2000, il povero Massimo Trebbi volò letteralmente - per fortuna senza un graffio - sulla Ferrari di Schumacher durante il warm-up di Imola. Per ovviare a questo rischio, e anche per velocizzare i tempi, il vecchio cavalletto metallico oggi è sostituito da una struttura snodabile parzialmente in carbonio. Vista di fronte ricorda uno scooter, con lo scudo protettivo e un “manubrio” dotato di due leve che servono a bloccare e sbloccare le ruotine. Il sollevatore posteriore è un po’ più semplice, ma - avendolo provato - vi garantiamo che non è affatto facile incastrarlo nel punto esatto, sotto il cambio. Anche i cavalletti sono collegati via cavo al semaforo per il rilascio. di Alberto Antonini Da Autosprint n.14 del 9 aprile 2013

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