Un grazie al Dottor Antonello Tripletta

Un grazie al Dottor Antonello Tripletta

Dopo la parata vincente delle Ferrari Hypercar in Qatar, è ora di riconoscere i meriti del timoniere delle 499P

03.03.2025 ( Aggiornata il 03.03.2025 11:21 )

Sono passati cinquantatré anni dalla stagione iridata 1972 della Ferrari 312 PB di Forghieri e del Drake, quella che in giugno già ballava per la festa iridata con Merzario e Munari, in Targa Florio. La coppia regina fu rappresentata con ben quattro vittorie da Jacky Ickx e Mario Andretti, col quale ero al telefono a ora di cena nella serata magica di venerdì, per fargli gli auguri, mentre lui tifava e godeva del dominio della 499P in Qatar.

Supremazia globale che poi, un paio d’ore dopo, è divenuta trionfo, con una tripletta che entra di diritto nella storia più gloriosa del Cavallino - e direi anche dello Sport italiano -, andandosi a porre in una specie di dipinto mitologico che ospita anche la parata di Daytona 1967, il poker di Zeltweg 1972 e pure le due vittorie consecutive alla 24 Ore di Le Mans 2023-2024.

Certo, la Ferrari di queste cose ne fa, nei suoi magic moments. Come dimenticare la quaterna di Spa F.1 1961, quando il Commendatore continuava a chiedere al telefono all’interlocutore, che gli aveva detto “abbiamo vinto”, una mitragliata inesausta di “e poi?” “e poi?” “e poi” alla quale veniva risposto “pure secondi” “pure terzi” e “pure quarti”, con Phil Hill, von Trips, Ginther e Gendebien.

Stavolta nell’iperconnessione chi ha voluto vedere ha visto che la Ferrari Hypercar ha fatto strame delle avversarie, ottenendo un risultato sorprendente per una categoria che fa del livellamento delle prestazioni da sempre la sua bandiera.

In fondo la stessa Rossa by Ferdinando Cannizzo qualche segnale di strapotere da oleografia bellica lo aveva dato anche nelle qualifiche di Imola 2024, quando aveva fatto la tripletta pure lì, citando la stessa prodezza di Spa 1972, ma poi in gara sul più bello le cose erano andate diversamente.

A CACCIA DEL MONDIALE

Stavolta no. Tutto è filato meritatamente liscio per le due rosse inframezzate dalla gialla, a lanciare la Ferrari, oggi e mai come prima, a caccia del titolo mondiale endurance, che manca appunto, come alloro assoluto e non di classe, proprio dal 1972.

Bene. Allora è tempo di dirla tutta. Antonello Coletta s’imbelvisce se sente parlare della Ferrari di Coletta, perché secondo lui questa è la Ferrari di Elkann, di Cannizzo, di Amato Ferrari e di tutti coloro che ci mettono anema & core, però stavolta se si arrabbia  se ne farà una ragione.

Perché quella trionfatrice in Qatar è anche e soprattutto la Ferrari del Dottor Antonello Tripletta. Di una figura molto particolare all’interno delle corse italiane, che fa pure rima con gavetta, per un apprendimento umile e sudato nell’automobilismo italiano Anni ’80 e ’90, sfociato in un approdo in Ferrari dove, dal Challenge in avanti, lui è divenuto faro, motore tutt’altro che immobile e instancabile agitatore di uomini. Tanto da creare un giro nuovo e virtuoso anche coi Clienti Corse e da rifondare l’attività GT delle Rosse, culminata col connubio straglorioso con Amato Ferrari e sublimata infine dal lancio del ciclo Hypercar.

In questo Antonello si ritaglia una figura mai vista prima di Global Head GT e Endurance, contemporaneamente attento, attentissimo, al business, all’estratto conto del Cavallino e ai risultati in pista in una miriade di campionati - vedi il palmarés michelangiolesco della 488 - e alla caccia di gloria. Facendo quadrare i conti e contemporaneamente murando le bachehe di trofei. Come se nel calcio l’allenatore vincente s’occupasse anche di far quadrare i bilanci e della campagna abbonamenti, oltre che dei meandri meno entusiasmanti della politica sportiva, compreso, ehm, il famigerato BoP.

COLETTA UOMO DI SPORT

E in più - al netto dei doveri che magnificamente assolve - Antonello Coletta è puro uomo di Sport, appassionato racing come pochi. Uno di noi, insomma.

Scatenato race fan che ha goduto a poporre in pieno Covid-19 a John Elkann l’idea pazza ma mica tanto della Ferrari back to Le Mans e in the Wec.

Ecco, uno così altrove non ce n’è. Mai visto, questo, direbbe Marc Gené.

Perciò penso sia ora di dire un bravo e un grazie ad Antonello. Colui, che tra l’altro, è, anni dopo Gian Carlo Minardi, l’italiano che nelle corse fa concretamente di più per gli italiani.

Già, il fatto che Fuoco abbia portato per prima la 499P #51 sotto la bandiera a scacchi, fa sì che ora ci sia un italiano al comando del mondiale piloti al volante di una Ferrari, in coabitazione con Molina e Nielsen. E a ciò vorrei aggiungere tre cose ben sentite da chi ha cuore, a dare una patina di romantico a questo momento luminoso e speciale.

Punto uno, la Casa di Maranello non ha mai vinto un mondiale Piloti endurance nella categoria maggiore, perché dal 1981, ossia da quando fu istituito, non era mai stata in lizza, quindi questa sarebbe l’occasione per colmare la lacuna.

Punto due, è dal 1953 che un italiano non vince un mondiale con la Ferrari. L’ultimo a riuscirci fu Alberto Ascari, nel 1953, in F.1. Sarebbe bello assai rinverdirne la scia, tingendola d’iride.

DAI TEMPI DI ALBORETO

Punto tre, era da quarant’anni che un pilota italiano non si poneva al comando di un campionato del mondo Piloti al volante di una Ferrari.

L’onore toccò all’immenso Michele Alboreto in quel 1985 nato favoloso e finito sfortunato. Il fatto che il cosentino Fuoco sia riuscito a muovere le acque in questa modulazione, auspicando uno sviluppo e un epilogo di ben diversa sorte, rende la sera del Qatar un meraviglioso omaggio alla storia dei piloti italiani in Rosso. Cosa che rende tutti noi felici, orgogliosi, un po’ commossi e di nuovo ricchi di speranza.


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