Non ha senso correre con piloti “under investigation” a ogni pie’ sospinto
Prendo atto con immenso piacere che la posizione presa da Autosprint subito dopo il Gp del Canada, non a favore o contro questo o quell’altro, ma schieratissima in difesa del sacro valore di una lotta in pista più libera, sciolta e svincolata dal tormentoso occhio delle autorità giudicanti, incontra consenso, adesione e rispetto da parte della stragrande maggioranza degli addetti ai lavori e degli stessi appassionati. Bene. L’idea di evitare polemiche personali, attacchi o crocifissioni idiote, concentrando l’attenzione sul vero problema - che è e resta quello normativo della troppa intromissione concessa a chi indaga e giudica - e auspicando un cambiamento del principio ispiratore dell’azione degli steward -, sta scatenando un dibattito tuttora in corso tra gli addetti ai lavori. C’è solo da sperare che alla fine prevalgano gradualmente buon senso e amore per le corse gestite con attenzione alla sicurezza ma anche nel pieno rispetto della F.1 vista e vissuta come sport estremo.
La stessa Ferrari, rinunciando a percorrere fino in fondo la strada dell’appello, preferisce concentrarsi intelligentemente nel duplice scopo d’ottenere idealmente in altro modo una diversa valutazione di un evento come quello che ha visto protagonista Seb & Lewis nella esse di Montreal, e, soprattutto, in proiezione, facendo sì che che il concetto di comportamento pericoloso sia vissuto in futuro in senso ben diverso e senz’altro meno restrittivo da quello inteso in sede di giudizio, in diretta, nel Gp del Canada.
Se necessario, mutando quel tanto che basta le regole del gioco, ovvero rendendo applicabile il principio con più equa e ragionevole elasticità.
Per certi versi Mattia Binotto, di fatto e magari senza volerlo, ha finito con l’avvicinarsi molto, moltissimo, alle posizioni espresse su Montreal a caldo da Autosprint e meglio così. Per tutti e per l’avvenire della F.1.
Niente appelli secchi e più azioni verso il cambiamento in meglio. Zero avvocati e maggior dialogo diretto a sanare storture, esagerazioni e eccesso di zelo delle autorità giudicanti in tempo reale, lasciando il più possibile i piloti liberi in pista.
Intervenendo con provvedimenti repressivi e/sanzionatori solo in caso di comportamento palesemente, scientemente e flagrantemente pericoloso. Sennò proprio non se ne esce. Altrimenti, ogni sette-otto curve, comparirà sullo schermo un lugubre alert di “under investigation” contro qualcuno. E non ha senso che chi sta in poltrona dietro mille monitor obblighi i venti piloti più bravi e forti del mondo a guidare secondo le regolette della scuola guida più veloce e irreale del Pianeta Terra.
Allora, schiariti i fumi della battaglia e i clangori della pugna - non quelli dei contatti maschi, perché Hamilton e Vettel non s’erano neanche abrasi, nel non-contatto più duramente condannato in tutta la storia dell’automobilismo - tanto vale rasserenarsi, dire grazie ai tanti, tantissimi che ci hanno scritto anche sui social, manifestando comunanza, simpatia e empatia per la posizione di Autosprint e fare un bel brindisi ideale e multiplo, tutti insieme. Pronti? Si comincia.
Visto che pochissimi tra i pochi cui non siamo piaciuti ci tacciano di passatismo, di culto dei bei tempi andati che non tornano più, per tirarli ancor più scemi il brindisi ripetuto medesimo lo facciamo, tra noi e voi, con due meravigliose bevande sospettate d’essere andate fuori moda, ovvero cedrata e chinotto. Perché, hai voglia, in certe sere d’estate restano fantastiche. Anzi, che ne sai, se solo le conoscessero, magari pure Sfera Ebbasta e Greta Thunberg si sfonderebbero di cedrata e chinotto.
Il brindisi, dicevo, è multiplo quanto variegato. Alla faccia di qualcuno e in onore a qualcun altro. Per varie ragioni e a più levate di bicchieri, tanto con ’sto caldo la sete è tanta.
Anzitutto qui si brinda alla faccia di quegli idioti che hanno riempito di insulti violenti e stupidi, nei social e in ognidove, chi aveva contribuito a prendere la decisione di Montreal. Decisione appunto corale e assunta in buona fede da un organo giudicante collettivo, con voti di pari dignità, pertanto non individuale.
Gente così becera nel nostro sport non la vogliamo. Va bene incazzarsi, ma lo stile dà dignita alla sostanza. E stavolta, da parte di certi tipi, la forma è stata irricevibile, deprecabile, condannabile e raccapricciante. Gli assedi agli arbitri fanno schifo, figuriamoci contumelie e minacce elettroniche o meno, sprangando alla mille contro uno. Basta, mai più. Se avete palle davvero, chiedete scusa a chi di dovere, perché in luogo dell’atto di forza è sempre da preferire un atto di intelligenza.
Il secondo brindisi alla faccia di qualcuno, lo facciamo alle suorine barbute: a quello sparuto drappello di perbenisti pelosoni, baciapile e incarogniti leccalumi rombanti che continuano a squittire all’infinito rantolando all’inverosimile il loro noiosissimo “Safety first” brandito come una clava, nella speranza che la F.1 diventi vibrante come la bocciofila e strappacuore quanto un picnic col parroco.
Il terzo brindisi è in onore a tutti coloro - e sono milioni - i quali si sono educatamente rotti i coglioni di una Formula Uno in cui di fatto non si corre quando piove, ovvero di una Formula Uno che ha solo paura di farsi la bua e esce solo con l’accompagnamento, usando la safety car come una badante moldava. Una Formula Uno letteralmente terrorizzata del concetto stesso di aderenza precaria, di sorpasso vero o di circuito tosto o di curva cazzuta o di rettilineo o di segmento estremo.
Il quarto brindisi va in onore a chi s’è stufato di di quelli che io chiamo i paravegani della staccata. Sì, quelli che considerano i sorpassi con staccatona come vietabili e rinunciabili bistecche e che invece ci hanno imposto per fin troppo tempo tonnellate di tofu morale rappresentato da Drs e fermate obbligatorie con gomme a mescole variabili.
Il quinto brindisi è dedicato a quelli che non vogliono mai più vedere una Formula Uno che utilizza i suoi organi di vigilanza e controllo in pista in maniera occhiuta, guardona, intrusiva, invadente e istericamente atterrita - da un pezzo, mica solo in Canada, neh - al piegarsi d’una bavetta e mezzo nolder, al minimo contatto di gara. E, da Montreal in poi, financo irretita dal temuto contatto, precedente che ormai autorizza a indagare non più danni e pericoli paventati o in atto, ma perfino le sole intenzioni a 300 all’ora, in un evento durato otto decimi di secondo.
Il sesto e ultimo brindisi, premia quegli amici vostri e nostri che sposano ancora l’ideale di una F.1 romantica, coraggiosa e meritocratica, in cui l’osare e soprattutto il sapere osare restino valori fondamentali del massive start e della corsa l’uno al fianco all’altro, sennò tanto vale sfidarsi a cronometro, come si faceva nella pur meravigliosa Targa Florio stradale.
La Formula Uno bacata in cui qualsiasi ammaccatura di gara apre una procedura, un processino e una sentenziola, va senz’altro considerata uno degli aspetti più trash dell’automobilismo moderno. Sì ai romantici e ai passionali e no agli intrusivi, a quelli che mettono, dopo qualsiasi azione audace, le monoposto sul divaricatore e poi con la lampadina in testa guardano, guardonano, palpano e violano il sacro e intimo valore della lotta pura e dura in pista.
Sì alle autorità sportive che puniscano chi crea volontariamente pericoli palesemente inutili e no deciso alla Formula Uno dei ginecologi a oltranza. Basta, basta, basta, con questa mentalità orrenda e deturpante degli ecografi agonistici sempre al lavoro per spiare, zoomare e punire stilando poi il cid e poi trasformando i dottori in periti dell’assicurazione.
Così, col rinnovato e perenne ottimismo di chi, malgrado tutto, questo sport lo ama, prepariamoci spiritualmente a goderci il Gp di Francia.
Eh, sì, è stato bellissimo, tuttavia coi brindisi bisogna proprio fermarsi, perché di argomenti ce ne sarebbero tanti altri, avoja, ma ormai qui quasi si trabocca di cedrata e chinotto.
E sarà bene darci un taglio, per evitare le conseguenze di Fantozzi alle prese con la terribile acqua Bertier.
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