Cavicchi? È bravo e ci fa risarcire!

Cavicchi? È bravo e ci fa risarcire!

Vincendo il premio Bruno Raschi, il giornalista e scrittore, già amato Direttore di Autosprint, spiega al mondo della cultura che anche le corse possono vantare appetibilità letteraria

12.07.2021 10:52

Sarà anche ora che altre due cose ce le diciamo, perché, se non altro, la ragione di fondo stavolta è bella e buona. Dunque, ogni anno gli organizzatori del Bancarella Sport assegnano il Premio Bruno Raschi, il riconoscimento più importante e prestigioso nel campo del giornalismo sportivo. E si tratta sempre di un premio alla carriera.

Il premio

Il “Bruno Raschi” è stato infatti istituito in ricordo ed omaggio del “Divino” e viene dato ogni anno, dal 2005, a un giornalista che nella sua carriera abbia segnato, innovato, riletto, il modo di fare cronaca sportiva. Carlo Cavicchi era in ballo per il Bancarella Sport col suo romanzo “Rapiremo Niki Lauda” ma lo hanno tolto dalla selezione per assegnargli appunto il premio Raschi, penna eccellente e storico vicedirettore della Gazzetta dello Sport.

Direttore di Autosprint per 15 anni

Carlo Cavicchi medesimo in queste pagine - e non solo in queste -, tutti lo conoscono, e, per onor di cronaca, è giornalista e scrittore, da sempre appassionato di motori ed è stato Direttore del settimanale Autosprint per 15 anni - oltre a militare per un trentennio nella nostra testata, percorrendo il cursus gradino per gradino -, poi ha timonato SportAutoMoto e infine Quattroruote, fino al 2014.

Bene, altra cosa da sottolineare col fluorescente è che l’albo d’oro del Raschi è fitto di nomi importanti e di penne illustri, vedi Sergio Zavoli, Antonio Ghirelli, Giampaolo Ormezzano, Candido Cannavò, Bruno Pizzul, Gianni Mura, Lea Pericoli, Gianni Minà, Mario Sconcerti, Rino Tommasi, Giampiero Galeazzi, Federico Buffa, Claudio Gregori, Massimo De Luca, Italo Cucci e Beppe Conti, ma, attenzione, per la prima volta è stato premiato uno che arriva dall’automobilismo, sport che non gode di grandi favori. Ecco, proprio qui volevo volare, chiosando giusto due cosette e partendo proprio da Carlo Cavicchi.

Storie e ricordi personali

Vedete, quando si parla di lui, di Charlie, per lui e con lui, il sottoscritto e il Direttore di questa testata Andrea Cordovani si trovano in una situazione molto particolare, perché il Cavicchi in questione è non solo colui che, rispettivamente a fine 1993 e in pieno 1997, ci ha assunti in Conti Editore, ma risponde anche alle fattezze e al merito del giornalista che ci ha accolti, negli anni insegnato tutto e, se permettete, anche voluto bene. Molto, peraltro for ever contraccambiato, se proprio vogliamo essere belli precisi.

E questo sarebbe niente, magari solo un bieco personalismo possibilmente da evitare in queste righe, se non che Carlo Cavicchi in carriera ha fatto e ripetuto lo stesso in qualunque testata di cui è stato skipper, alla fin fine allevando e formando al professionismo un numero spropositato di giornalisti - una ventina solo ad Autosprint -, meritando l’appellativo di Maestro da una moltitudine grata, ma catalogando sempre il tutto con la sprezzatura dell’ironia e dell’autoironia di colui che in carriera fa tanto e bene, in fondo mai prendendosi troppo sul serio. Così queste righe valgono e vengono da parte mia e di Andrea, certo che sì, tuttavia idealmente promanano anche da tanti colleghi e nello stesso tempo di sicuro trovano eco e consonanza nel mare di lettori che da quattro decadi Cavicchi lo seguono, fin da quando scriveva di kart o era - dai che lo è ancora -, il guru dei rally internazionali, fino ad arrivare ad ora che fa e può fare di tutto, anche se il ruolo in cui lo preferisco è quello di showman tra monologhi, barzellette, frilli e lazzi, recentemente interpretato in un recente e memorabile viaggio autostradale Bologna-Sant’Angelo Lodigiano, mentre andavamo a trovare gli amici del locale Ferrari Club. Perché il Carlo Amico, quanto ad allure e piacevolezza, non ha niente da invidiare al Cavicchi Direttore.

Sdoganare il motorsport

Ma questo è solo il punto di partenza per dire un’altra cosa semplice e sentitissima, perfino ben al di là di Cavicchi Carlo nostro e dei sentimenti personali. Era ora. Sì, era ora, perché - sarà bene che lo dica chiaro e tondo -, spero che il “Bruno Raschi” a Carlo Cavicchi sia solo il primo passo di un progressivo sdoganamento del mondo dei giornalisti dell’automobile e di chi scrive d’automobilismo sportivo da quella specie di ghetto nel quale sono e siamo confinati da un secolo e mezzo a questa parte. Perché, sia chiaro, noi del Motorsport non veniamo mica visti granché bene, rispetto ad altri. In fondo, fateci caso, il nostro è il minore degli Sport sul piano della considerazione letteraria senza tempo. I sudamericani Osvaldo Soriano e Eduardo Galeano immortalano il cosiddetto gioco più bello del mondo scrivendo tra le più sacrali pagine di letteratura calcistica, così fanno da noi Gianni Brera e Giovanni Arpino o, in pagine episodiche e deliziose, Italo Calvino e Pierpaolo Pasolini.

E da lì al resto è tutta una celebrazione di penne italiche e non solo. Il pugilato si compiace di domicilio nel paradiso dei colti a partire dalle cronache di Jack London dagli accorati commenti e anche dal bellissimo “The Fight” di Norman Mailer, il ciclismo gode d’Orio Vergani e compagnia scrivente e pedalante, la vela non scherza col meraviglioso narratore Bernard Moitessier o la montagna a ogni chiodo piantato è poesia. Le corse no. Sembra quasi che l’unica opera di spessore letterario sia la prima, ovvero “Da Parigi a Pechino in automobile in 60 giorni” di Luigi Barzini e da lì in poi quasi il nulla. Perfino l’ex pilota Anni ’30 Hans Ruesch è scrittore di fama mondiale, ma quando verga il suo bellissimo “Numero Uno” sulle corse ruggenti fa poco o niente clamore e con lui Erich Maria Remarque con “Il cielo non ha preferenze”.

Scrivere di auto non paga

Perché diciamocelo: scrivere di corse, ovvero di gare, campioni e macchine, fa poco chic. Può essere cronaca, storia, commento, elzeviro un po’ sforzato, ma, chissà perché, mai o quasi mai letteratura. Prendi uno bravo, ma bravo davvero, un altro di quelli che godo ad avercelo davanti, letterariamente e umanamente di gusto, una sera, tra un birrozzo e quattro chiacchiere: Giorgio Terruzzi. Bene. Se Giorgio parla o scrive di rugby o di teatro diventa - per i giudici togati - un fuoriclasse amabile e applaudibile da tutti.

Se Giorgio sforna un bellissimo libro sulle corse, dieci e lode pure qui. Il motivo è che lui, in realtà, è percepito come Autore puro e generalista in libera uscita nelle corse, benché il suo dna di gare sia gioiosamente pieno dalla nascita. Ma Giorgio è Giorgio. Complesso ed eclettico. Altri, noialtri, anche no. Perché le corse, il racing, in Italia, per chi conta sa di crasso, di grasso, d’unto, di roba per meccanici mancati o autoriparatori in libera uscita, con tanto rispetto parlando. Dai, su: Pino Allievi non è soltanto un bravo giornalista sportivo, no: è un grande Giornalista. Punto. Uno che fa scuola fin solo mostrando com’è, ma, rispetto a quanto vale, per me resta sottostimato.

E del prodigiosamente sottotraccia Gianni Cancellieri, mi sto muovendo in ordine alfabetico, claro, ne vogliam parlare? Un mondo più giusto a questi qui nominati dedicherebbe vari monumenti equestri. Invece non noto troppi scultori in preallarme. Vado Oltre. Prendiamo Cesare De Agostini. Il più storico - datato mai, neh - collaboratore che trovate tuttora nel colophon di Autosprint. La sua è davvero una penna divina. Come scrittore, affabulatore, narratore sciamanico, biografo e evocatore testuale è il più grande, il più poetico il più alto bardo di tutti. Cantore sublime, eppure di fama e lustro non ne ha mica a dismisura.

Pochi riconoscimenti

È vero, ha vinto un Bancarella Sport con “È questione di cuore”, insieme e per conto del grande Clay Regazzoni, ma, state sicuri che se Cesare non avesse scritto col Baffo da corsa e nel momento particolarissimo del post incidente di Long Beach 1980, quel premio non l’avrebbe mica vinto. Perché per resto, da lì in poi - e son passati quasi quarant’anni - a Cesare De Agostini mai nessuno l’ha invitato a un salotto televisivo pomeridiano, mai a un talk show, mai a un qualsiasi programma d’approfondimento sul fascino e la poesia delle corse.

Primo risarcimento alla categoria

Secondo alcuni, anzi, secondo tanti, secondo troppi e a sproposito, fascino di suggestiva dignità letteraria le corse, a differenza di quasi tutti gli altri sport, compresi la ruzzola, il curling e il burraco subacqueo, proprio non ne hanno o se ne hanno ne vantano pochissimo, a meno che non ne parli Baricco in un romanzo o Fellini che cita la Mille Miglia in Amarcord. Per questo di Cavicchi che vince il premio Raschi ne esulterei e ne godrei anche se avesse trionfato un mio acerrimo nemico (mai avuti) o uno che mi è perfettamente indifferente (ne ho). Perché comunque questa cosa ha il valore inestimabile dell’affermazione di uno del nostro mondo, in un amplissimo universo culturale nazionale che troppo spesso guarda il Motorsport con schizzinosa pazienza o, nel peggiore dei casi, sopportante disgusto. Bravo, Carlo Cavicchi, dunque: sei stato il nostro Direttorone e ora rappresenti stupendamente pure il nostro, primo e atteso risarcimento.


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