Tremate, tremate, le maratone son tornate

Tremate, tremate, le maratone son tornate

Il trionfo della Ferrari a Le Mans demolisce lo schema formulaunocentrico

19.06.2023 11:07

Questo non è un pezzo razionale, ma semplicemente sentimentale, che sgorga a pochi giorni dal trionfo della Ferrari di Coletta & Amato alla 24 Ore di Le Mans. Righe dedicate ai sogni mai rinnegati, alle storie belle, alla giustizia. Al destino che a volte sa essere empatico ed equo. Al tempo galantuomo. Comincio con un sentito omaggio. Questa storica vittoria della Ferrari rossa e gialla a Le Mans mi fa pensare a un’altra gloriosa rossa e gialla, la 333 SP Momo Moretti, romantico gentleman driver che aveva corso a Daytona 1970 con la meravigliosa 512S della Picchio Rosso e che oltre venti anni dopo aveva convinto la Ferrari (più Piero che altri) a realizzare la barchetta 333 Sp per venderla ai privati. Proprio un quarto di secolo fa, anni fa, a 58 anni d’età e ben aiutato da Baldi e Theys (più Luyendyk a Daytona) Momo vinse la 24 Ore della Florida, la 12 Ore di Sebring e la 6 Ore del Glen, sbancando l’America.

Se adesso la Rossa rinverdisce gli allori a Le Mans, è anche grazie alla striscia di continuità e leggenda assicurata dalla sua immensa passione, da puro amatore delle corse e da sentimentale delle gare di durata, tanto da perpetuarne idealmente il fascino. Ovunque sia, ora sono certo che Momo riposi più in pace. Tra i riposi onorati metto anche quello di Didier Pironi, top driver Ferrari F.1, scomparso il 23 agosto del 1987 a soli 35 anni, durante una gara di motonautica. Cinque mesi dopo la sciagura della morte dell’ex pilota di F.1, avvenuta il 23 agosto 1987 presso l’Isola di Whight, nel Regno Unito, la sua compagna Catherine diede alla luce due figli gemelli, ai quali impose dei nomi che nel suo auspicio di mamma avrebbero potuto riunire per sempre una storia d’amicizia spezzata: Didier e Gilles. Un beau geste anagrafico, istantaneo e simbolico, che tuttavia negli anni continua a produrre qualcosa, ovvero talento e traguardi uniti a a tantissima poesia.

Dall’anno scorso, uno dei due gemelli, ovvero Gilles Pironi, è diventato ingegnere della Scuderia Ferrari. E domenica 11 giugno 2023, subito dopo la vittoria della Ferrari 499P alla 24 Ore di Le Mans, ha avuto l’onore di una foto ricordo accanto al trofeo conquistato dalla sua squadra, in partnership con AF Corse. A testimoniare che nella mitografia Ferrari sanno trovare spazio anche gioie tenere e meritate, accanto a quelle terribili, unendo all’esaltazione del trionfo anche un pizzico di pura umanità. E c’è altro ancora.

Grazie a Le Mans 2023, ma verrebbe tanto da dire, grazie alla scommessa di John Elkann e Antonello Coletta, con la partecipazione straordinaria (in termini di qualità) di Amato Ferrari, mezza Italia, l’Italia delle corse, è tornata a trepidare in diretta per una 24 Ore, omaggiando allure e sontuoso magnetismo delle gare di durata. E se da noi un pizzico d’orgoglio tricolore non poteva che trascinare ancor più, in tutto il mondo gli amanti del Motorsport non hanno saputo resistere al richiamo live di una gara strepitosa, memorabile e dai mille volti, non perché ascrivibile a un centenario puro e semplice, ma in quanto aperta, emozionante, inclusiva di tanti marchi, sportivamente drammatica, palpitante e per niente scontata sino alla fine. Fino al punto da creare uno stranissimo stato d’animo. Una specie di risarcito divertimento, di stupita felicità che si trasformava in quietamente costernata rassegnazione solo all’idea di doversi risorbire, da lì a poco, le solite trame della F.1, col Gran Premio del Canada alle porte. In altre parole, oltre che il trionfo della Ferrari, Le Mans 2023 diventa la rivincita più bella per le corse endurance e il mondiale di durata, che torna a occupare, per una volta, ma spero stabilmente, il posto che gli compete.

Accanto e lato dei Gran Premi e non ingiustamente confinato a oscura disciplina esoterica adorata da vecchi nostalgici uniti a sparuti e brufolosi nerds. Anche perché tutti i contatori di anniversari e i celebratori di ricorrenze stavolta ne hanno evitata una. In questo 2023 sono trent’anni esatti che Bernie Ecclestone, al tempo vice-presidente della Fia, con la simpatica collaborazione di Max Mosley - suo ex avvocato di fiducia, oltre che ex socio March e Presidente della Fia in carica -, aveva letteralmente killerato il mondiale prototipi, perché rischiava di far ombra alla F.1, distraendo attenzione, Case e capitali altrimenti fagocitabili dal mondo dei Gran Premi. Il quale, come noto, è sempre stato un pozzo senza fondo.

Il tutto avvenne prima promuovendo un regolamento crudele e ricco d’intrigo, degradando il mondiale di durata a corse sprint, con costi alti e motori in tutto e per tutto simili a quelli della F.1. Così i Costruttori che lo animavano, in primis Peugeot e TWR Walkinshaw, oltre alla Toyota, che si sarebbe accodata pochi anni dopo, non poterono che salutare la compagnia per riconoscere come unico dio la F.1. D’altronde in tutti i disegni accentratori e monocratici c’è sempre un simbolico delitto politico e in questo caso il mondiale prototipi fu la testa sul piatto d’argento che Bernie & Max si servirono per far diventare la F.1 ancor più esclusiva e sfavillante di quel che era. Seguirono due decenni d’oblio, fino a che nel 2012 Jean Todt, subentrato a Mosley che nel frattempo era stato abbandonato da Bernie, per far felice Max che ormai godeva a far un dispetto al suo ex socio di tante imprese, ridette vita al Wec. Dando il giusto premio all’eroica resistenza dell’Aco, ovvero agli organizzatori di Le Mans, sempre stati l’anema e core delle gare di durata. E adesso, due lustri pieni dopo la rinascita, il Wec sta (ri)vivendo lo zenit, ovvero il momento di massimo splendore, per qualità e quantità dei partecipanti. Come testimoniato anche dai tanti biglietti già venduti in vista della gara prevista a Monza dal 7 al 9 luglio.

Pulendo aria e asfalto dagli atti antisportivi che ne avevano sancito l’interessato killeraggio ideale. Non solo. Esattamente quaranta anni fa si sanciva la rottura netta e dolorosa tra l’endurance all’europea, con il Gruppo C, la formula di limitazione del consumo propugnata dal Presidente della Federazione Jean-Marie Balestre, e l’IMSA di John Bishop, ossia le corse americane di durata, per niente favorevoli alle limitazioni di carburante. Diaspora durata una vita e solo mitigata, negli anni, dalla buona volontà di Don Panoz. La Le Mans di quest’anno, con le LMDH all’americana (Porsche compresa by Penske) più le Cadillac (by Dallara) gestite da Chip Ganassi, ben bilanciate dal Bop accanto alle LMH, Ferrari e Toyota in primis, sancisce anche una meravigliosa ricucitura politico-sportiva, che torna a far vivere l’endurance come un mondo meraviglioso, inclusivo e rappacificato, oltre che non più diviso. La memorabile edizione della 24 Ore di Le Le Mans col trionfo 499P vuol dire tante cose, quindi. E ciascuna bellissima. Adesso godiamocele tutte.


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