Il test-esame che mercoledì 2 agosto Robert Kubica sosterrà con la Renault Rs17 turboibrida all’Hungaroring somiglia tanto al passo iniziale nello sbarco del primo astronauta sulla luna: un piccolo balzo per un uomo, un grande salto per l’umanità.
Robert ha 32 anni d’età, ne farà 33 il prossimo 7 dicembre, e manca dai Gran Premi dal 14 novembre 2010, il giorno della gara di Abu Dhabi in cui, giusto per rinfrescarsi la memoria, lui giunse quinto e il ferrarista Alonso venne atrocemente beffato dal giovanissimo Vettel che andò a vincere gioco, game e match facendo suo il primo titolo mondiale.
In poche parole, una vita fa.
Paradossalmente, per certi versi Robert Kubica, molto più che un escluso dalla F.1 in cerca del diritto a un’altra possibilità, in realtà è un survivor anche in senso agonistico. Un superstite, perché di quella griglia di partenza a ventiquattro partecipanti di Abu Dhabi 2010 a oggi restano in attività in F.1 solo - si fa per dire - Hamilton, Alonso, Vettel, Hulkenberg e Massa. Riga, fine.
Non solo.
Il pilota che commentò in seguito in modo più asettico e pessimistico le possibilità di un ritorno in F.1 di Robert - a seguito del terribile crash del 6 febbraio 2011 al Rally Ronde di Andora in località San Lorenzo, nel Comune di Testico, in provincia di Savona -, ossia Alguersuari, adesso si gode la vita facendo il Dee Jay.
Andiamo oltre.
Giocando con l’ottimismo e sognando un po’, senza peraltro misconoscere le miracolose capacità del polacco e provando a ipotizzare in linea del tutto potenziale e teorica un ritorno vero e proprio, a medio se non brevissimo termine, di Kubica al via di un Gp iridato, ecco che solo per questo l’impresa si inserirebbe in un’incredibile classifica di ritornanti sorprendenti, ossia di piloti che hanno visto trascorrere il maggior lasso di tempo durante l’interruzione della loro carriera iridata.
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Ambito stranissimo e incredibile, nel quale il recordman è l’olandese Jan Lammers, con dieci anni e nove giorni tra Francia 1982 e Giappone 1992, laddove il secondo resta Luca Badoer con nove anni e 296 giorni prima del suo ritorno con la Ferrari F.1 a Valencia 2009.
In questo stordente e tenacissimo empireo Robert Kubica entrerebbe nella top ten teoricamente con qualcosa di simile a 7 anni di iato - ipotizzando per esempio di scuola un ritorno in gara non lontano -, a far concorrenza a Eppie Wietzes, Mike Hailwood, Andre Pilette e Peter Revson, ma con una caratteristica che lo renderebbe assolutamente unico in tutta la storia della F.1: mai un ex vincitore di Gran Premio ha fatto passare così tanto tempo prima di ritornare al via di una gara iridata.
Cioè, nel guinness delle interruzioni di carriere iridate, gli altri erano restati lontani dalla F.1 per motivi ben diversi dalla salute o dalla forzatamente ridotta attitudine alla guida a causa di incidente.
In poche parole, mai fino a oggi il cammino di un top driver è stato più difficile, terribile e sofferto, prima di ritrovare la via bruscamente interrotta.
Per questo Robert Kubica non è solo un post-trentenne al quale farebbe gran piacere tornare a correre un Gran Premio, ma il simbolo di qualcosa d’assai diverso e più nobile.
Robert, proprio nel periodo in cui sono stati festeggiati i quarant’anni dal debutto in F.1 di Gilles Villeneuve, resta erede in linea retta di una schiera rarissima e nobile di piloti animati da un magico mix fatto di talento, determinazione e noncuranza al rischio, capace di fungere da salvifico unguento a una vulnerabilità momentanea e tendenzialmente in grado di assurgere a una sorta di affascinante invulnerabilità complessiva putativa.
Quello stato ideale in cui il suo nome diventa sinonimo di saper vivere facendo surf sull’infinita onda montante del rischio, ben al di là di qualsiasi avversità.
Per questo il test di mercoledì al volante di una Renault turboibrida è molto più di una semplice verifica durante la quale il pilota cercherà di far capire al muretto del suo team di meritare ulteriori e ben più gloriose possibilità.
No, durante la sua meravigliosa prova, nel frattempo Robert Kubica farà ben altro, insegnando, consapevole o meno di ciò, all’uomo a non arrendersi mai.