Il pensiero di Max espresso dopo l'incidente di Grosjean richiede un chiarimento del concetto su rischi, dubbi sul continuare a fare ciò che si fa e l'amore per le corse nonostante il pericolo sempre presente
La necessità di chiarire ogni virgola, puntualizzare, limare, smussare il libero pensiero per renderlo digeribile a tutti - fino a essere annacquato, spesso -. Tagliente, quasi sempre quando parla Max Verstappen. Al limite dell’offensivo perché senza prove, ricordando il post-Austin e la querelle intorno alla power unit Ferrari.
Schietto e di certo non pettinato quando domenica scorsa il cronista dell’Associated Press chiedeva se ai piloti dovesse essere data la possibilità di scegliere se continuare o meno la gara, interrotta per l’incidente di Grosjean.
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Chiaro che no, argomentato da Lewis. Poi, Max: “Fossi il team principal lo caccerei a calci dal sedile. Se un pilota non volesse correre e io fossi il capo del team gli direi che non si siederà mai più nell’abitacolo”.
C’è una generazione per fortuna non abituata alla tragedia in pista, toccata già dai modi di riproporre i fatti, documentare un incidente per fortuna risoltosi per il meglio. Altra scorza rispetto a tempi andati (meno male), degli Stewart per dirne uno – tristemente attuale ricordare la monoposto di François Cevert, compagno di squadra del campione scozzese, caduto in pista con scene da disastro aereo, nel 1973, della macchina accartocciata contro un guard-rail.
Verstappen torna sulle parole di domenica sera e chiarisce: “Penso che la gente abbia frainteso quel che volevo dire. Ho provato a dire che come piloti noi conosciamo i rischi quando saliamo in macchina e se chiunque ha dei dubbi allora dovrebbe considerare l’ipotesi di fermarsi.
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Non c’è nulla di sbagliato se non ti senti a tuo agio nel gareggiare ma facciamo parte di una squadra e loro fanno affidamento su di noi, perché facciamo il nostro lavoro che è guidare la macchina. Ovviamente, se Romain non fosse uscito sulle sue gambe le cose domenica sarebbero state molto diverse.
Credo che negli anni Sessanta e Settanta fosse molto più pericoloso e i piloti di quell’epoca tornavano in pista perché sapevano che era il loro lavoro e ciò che amavano fare, pur sapendo che il rischio di perdere i loro amici era altissimo.
La sicurezza che abbiamo oggi è incredibile e rispetto le decisioni di ognuno ma è ciò che sento. Nessuno vuole assistere mai a un incidente come quello ma quel che conta è che Romain è ok”.
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