Da Latifi ad Hailwood: i piloti senza gloria della storia della Formula 1

Da Latifi ad Hailwood: i piloti senza gloria della storia della Formula 1

Le storie dei piloti che hanno che hanno chiuso in coda al Mondiale sono ricche di sorprese: ci sono ex campioni del Mondo e chi lo diventerà poche stagioni dopo. Ci sono le amarezze per le polemiche innescate da un incidente o dagli ultimi giri con una gomma sbagliata, ma c'è anche tanta dignità che il pubblico talvolta non è riuscito a riconoscere

Stefano Tamburini

20.01.2023 12:42

Un’occhiata distratta, e certe volte neanche quella, al monitor con le immagini delle danze di gioia sul podio, al tripudio di tappi di spumante, sorrisi, baci e abbracci con la colonna sonora degli inni nazionali. Nei box dell’Ultimo, la festa degli altri arriva con quel mix di rimbombo e di eco che ci può essere fra le postazioni alla fine della pit-lane e il trionfo che si celebra sul lato opposto, nel podio sospeso sopra la folla in delirio. In fondo, il confine tra la gioia e la speranza sta tutto nelle pareti sottili di quel monitor. L’Ultimo spera, prima o poi, di salire fin lassù, perché lo sport ogni tanto qualche favola la regala anche in Formula Uno dove le macchine contano più di chi le guida. Sì, ogni tanto può sempre mettercisi di mezzo qualche crash di troppo, la pioggia, la strategia giusta.

In fondo Olivier Panis, al volante di una Ligier, ha vinto il suo unico Gran Premio a Monte Carlo il 19 maggio 1996 partendo dal 14esimo posto in griglia. Grazie a un nubifragio e alle uscite di molti big si trovò in testa e pazienza se al traguardo poi arrivarono solo in quattro. Due anni dopo gli toccherà l’ultimo posto nel Mondiale piloti. Ma vuoi mettere, tutti si ricorderanno di quel trionfo e ben pochi dell’annata disastrosa. E, se proprio non si può vincere, magari almeno una pole da favola come quella di Kevin Magnussen dello scorso novembre a Interlagos può diventare il giorno dei giorni, quello che dà un senso a un’intera carriera. Bastava guardarlo, Magnussen, anche se era coperto dal casco, fermo nell’abitacolo della sua Haas mentre aspettava la fine di qualifiche che non potevano regalare più sorprese, tanta era la forza della pioggia là fuori. La visiera semiaperta offriva due occhi lucidi che valevano più di mille parole. Kevin non era l’ultimo, il campionato lo finirà al 13° posto con 25 punti, nel primo GP della stagione era arrivato quinto a cinque secondi dal podio. Però quegli occhi rendevano bene l’idea di una sorpresa che valeva oro.

Al pari degli abbracci che sembravano quelli della finale del Mondiale di calcio dei meccanici della Williams appena per un primo posto in una sessione di prove libere di Nicholas Latifi, quello che è stato l’Ultimo per antonomasia delle stagioni recenti. E i miseri nove punti racimolati in 61 Gran premi disputati, sono appena un dettaglio che si schiude nell’epilogo burrascoso della stagione 2021. Quello che lo fa spuntare nel teleschermo ad Abu Dhabi, quando va a schiantarsi contro le barriere provocando l’ingresso della safety car e soprattutto la controversa gestione da parte del direttore di gara Michael Masi che regalerà il titolo a Max Verstappen con una devastante scia di polemiche che finisce con il travolgerlo, quasi al livello dell’“arbitro” che sarà licenziato.

Gli Ultimi, purtroppo, hanno una storia comune, per fortuna senza mai arrivare alle vette di odio che hanno investito Latifi. Spuntano sul televisore solo per gli incidenti, quando sono doppiati o nei rari exploit. E anche nel paddock non hanno molto da fare, le telecamere e i lustrini ogni tanto li sfiorano, ma le feste sono per quelli che vincono, per le scuderie di punta. Per chi fatica nelle retrovie ci sono solo le briciole. Non solo negli ingaggi, che oggi sono almeno più che dignitosi, specie se paragonati al poco o addirittura al niente di una volta. L’ultimo della classifica del 2021, il russo Nikita Mazepin, della Haas, licenziato per colpa della guerra scatenata dal suo presidente in Ucraina, non era neanche il meno pagato. Il suo ingaggio era di 840 mila euro, superiore a quello di altri cinque piloti. L’ultimo ingaggio era quello di Antonio Giovinazzi all’Alfa Romeo, con 500 mila euro. Decisamente meglio di quanto accadeva nel 2016, quando all’ultimo della classe, Marcus Ericsson, la Sauber concedeva un “salario” di 290 mila euro. Nel 2022, Latifi ha portato a casa 870 mila euro, qualcosa in più del meno pagato in assoluto, Yuki Tsunoda dell’Alphatauri fermo a 650 mila. Certo, ben poco al confronto dei quasi 50 milioni di Lewis Hamilton e Max Verstappen. Ma è comunque un bel portare a casa.

I CAMPIONI IN CODA

E poi, non da oggi, il confine tra qualche piazzamento di prestigio e finire perennemente in coda lo traccia più la qualità dell’auto che quella del pilota. Certo, in molte occasioni è impietoso il confronto con il compagno di squadra. A questo proposito l’ultimo mezzo secolo offre un panorama sorprendente, perché nell’elenco degli ultimi classificati ci sono anche i nomi di campioni del mondo. Di chi lo è già stato, come Mike Hailwood, uno che veniva dal Motomondiale con nove titoli e 67 Gran premi vinti. E che in Formula Uno era salito due volte sul podio, la prima volta da secondo con la Surtees a Monza nel 1972. E poi con la McLaren, terzo a Kyalami nel 1974, l’anno dopo aver chiuso da ultimo con zero punti. Nell’elenco c’è anche uno che il Mondiale lo aveva già vinto in Formula Uno, come Graham Hill, trionfatore nel 1962 e nel 1968 con Brm e Lotus. Ultimo è nel 1974, con un punto nel Gran Premio di Svezia che non basta a eliminare la consegna di quella che una volta al Giro d’Italia di ciclismo era la maglia nera. Solo che ai tempi alle due ruote a pedali regalava premi veri, l’abilità era tutta nell’arrivare al limite del tempo massimo e rubare minuti “in peggio” agli altri contendenti. Qui no, nessuno vuole quel titolo che non esiste ma che in qualche modo resta nella mente. In molte delle stagioni del passato è difficile assegnarlo con certezza, perché la stessa monoposto viene condotta da piloti diversi a seconda dello scenario.

Per comodità abbiamo preso come riferimento solo i piloti che hanno partecipato a tutti gli appuntamenti e le scuderie che hanno disputato la totalità delle sfide, a parte quelle per ritiro forzato o squalifica. E a quota zero ci sono finiti in tanti, perché fino al 2002 i punti si assegnavano solo ai primi sei e fino al 2008 ai primi otto. Sono tempi in cui per qualificarsi serve non andare oltre il sette per cento rispetto al primo e c’è chi non ce la fa. I distacchi di due, tre secondi al giro fra primo e ultimo sono all’ordine del giorno. Per cui non è così impossibile trovare nell’elenco anche piloti di qualità scesi da monoposto di prima scelta per chiudere la carriera su vetture di ripiego. Ma non è certo il caso di Patrick Tambay che finisce ultimo nel 1979, con la McLaren che John Watson porta sul podio al debutto in Argentina e conduce verso onorevoli piazzamenti fino al nono posto in classifica. Watson peraltro ultimo ci era arrivato nel 1975 agli albori della carriera, guidando una Surtees, zero punti, mezzo in meno dell’ultima donna che si è affacciata sulla griglia, Lella Lombardi, sesta in Spagna nell’unica gara vinta in carriera dal tedesco Jochen Mass.

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