L'altro volto di Lewis Hamilton, il ribelle senza sconfitta

Unico fra i tanti, impegnato anche fuori dalla pista, Lewis Hamilton si prepara alla nuova avventura con la Ferrari: "Lavoro a un capolavoro, decido io quando sarà finito"

Stefano Tamburini

02.02.2024 ( Aggiornata il 02.02.2024 17:08 )

HAMILTON: UNICO FRA TANTI CHE SI SOMIGLIANO

E, comunque vada, il paradosso dei riflettori spenti in pista ha acceso maggiori attenzioni sull’“altro” Hamilton. Molto al di là del folklore di quell’abbigliamento esuberante esibito nel paddock e nei dintorni. Lo hanno definito in tutti i modi, soprattutto rapper mancato e tamarro, e qui da noi anche “Cristiano Malgioglio del terzo millennio”. In realtà, quelle mise sono studiate, curate da grandi stilisti e volutamente appariscenti. Per lanciare mode e messaggi ma, soprattutto, per affermare una sorta di ribellione ai luoghi comuni del pilota perfettino e sempre in ordine. È anche un netto “no” a un modo di pensare omologato.

E dunque, dal camicione quadrettato al total purple (viola), dagli stivaletti abbinati ai pantaloni corti fino alla salopette mimetica, tutto è un po’ provocazione ma fino a un certo punto. Sì, perché Lewis Hamilton da sempre è qualcosa di unico in un panorama dove tutti più o meno si somigliano e fanno le stesse cose. Nella sua Gran Bretagna ha ricevuto il titolo di baronetto dalle mani del principe (non ancora re) Carlo d’Inghilterra: è il quarto pilota britannico a poter far precedere il nome e il cognome dal titolo di “sir” dopo John Arthur Brabham (detto Jack), Stirling Moss e John Young Stewart (detto Jackie). Ma, dopo, non solo non si è pavoneggiato, ha limitato a poco oltre lo zero le dichiarazioni su questo e anche sul resto.

LA SFIDA DI HAMILTON PER IL PIERCING E NON SOLO

Lewis parla poco e raramente a caso. Ad esempio, fra i lustrini e il mare finto dietro una curva del circuito di Miami, quando si è presentato in conferenza stampa pre-Gran Premio 2022 bardato di anelli e gioielli di ogni tipo. Nel mirino aveva la disposizione della Federazione di rendere ancora più serrati i controlli sui piloti, ai quali è da tempo vietato gareggiare con oggetti metallici a contatto con il corpo per ridurre il rischio di ustioni in caso di incendio. Banditi orecchini, collanine, bracciali e piercing, ma dovranno essere ignifughe anche le mutande e su quest’ultimo aspetto si è scatenato maggiormente l’altro ex Campione del Mondo come Sebastian Vettel ai tempi della Red Bull, nel 2022 al volante della Aston Martin. Si è presentato nel paddock indossando le mutande sopra la tuta.

Un gesto di rottura simile a quello di Lewis per i gioielli: "Li vietano? Credo sia un passo indietro rispetto a quelli in avanti fatti come sport. Sono 16 anni che li indosso, ci sono cose più importanti. Una disputa superflua, cercherò di parlare con la Federazione e i dirigenti della Formula Uno per essere un alleato di questo sport. Ma credo che le questioni importanti siano altre". Del resto, dall’alto di una cifra stimata fra i 55 e 70 milioni di euro guadagnati solo in una stagione fra stipendio e sponsorizzazioni e un patrimonio netto che sfiora il miliardo o forse lo oltrepassa, potrà essere una multa a metterlo in difficoltà?

Lui, che nel 2021 è stato definito da un gruppo di giudici indipendenti come “uomo di colore più influente del Regno Unito”, non farebbe altro che rinforzare l’immagine di personaggio poco incline ai compromessi. Il riconoscimento deriva non solo dai successi in pista, ma anche dalle lotte contro il razzismo al fianco del movimento internazionale Black Lives Matter. "Sono molto orgoglioso per questo riconoscimento. Mi piace pensare che sono solo una parte di una catena di molte persone che stanno spingendo per il cambiamento". Dietro a Hamilton si sono classificati il professor Kevin Fenton, alto dirigente di salute pubblica, in prima linea nella lotta contro il Covid-19 negli ospedali londinesi, e il rapper Stormzy. Nel 2020 era stata la rivista “Time” a inserire Hamilton tra le 100 persone più influenti.

LEWIS NEL MIRINO DEI RAZZISTI FIN DA PICCOLO

In fondo, di battaglie lui ne ha combattute di molto impegnative, e non solo in pista, fin da bambino. Nell’ottobre del 2020 ha avuto modo di raccontare alcuni episodi di razzismo di cui è stato il bersaglio, alcuni dei quali anche in Italia. "Mi ricordo di una volta a Parma, avevo 13 anni ed ero lì per correre con i kart. Alcuni ragazzini che provenivano da altri Paesi mi gridavano di tutto. Mio padre mi disse di combattere in pista, non con i pugni. Fortunatamente ho seguito il consiglio, altrimenti sarei andato in galera. Ma succede in tutto il mondo, non solo in Italia. Ho parlato così poco delle mie esperienze, perché mi è stato insegnato a tenerle dentro, a non mostrare debolezza, a sconfiggere tutto con amore e correndo in pista. Ma quando ero lontano dalle gare sono stato maltrattato, picchiato e così ho imparato a difendermi grazie al karate".

Negli ultimi anni, insieme con la svolta vegana e l’impegno per la difesa dell’ambiente, Hamilton si è distinto anche nel ruolo di ambasciatore Unicef a sostegno dei bambini colpiti dalla malnutrizione. E, soprattutto, per la difesa dei diritti civili. In più di un’occasione ha sfoggiato caschi con i colori della bandiera arcobaleno a sostegno della lotta delle comunità Lgbt contro le discriminazioni di genere. A inizio stagione 2022, è stato uno dei leader del possibile ammutinamento di Jeddah, quando un missile dei ribelli yemeniti si è abbattuto, a una ventina di chilometri dal circuito, su un deposito di carburante di proprietà dello sponsor principe Aramco, azienda petrolifera saudita che al Circus “regala” mezzo miliardo in dieci anni. Nel mirino della protesta di Hamilton, fin dall’edizione del 2021, anche il fatto di aver portato il Circus in una terra di diritti negati e di oppositori del regime incarcerati o uccisi: "Mi sento a mio agio qui? Non risponderei “sì”, ma non è una mia scelta esserci. Lo sport ha scelto di essere qui e penso che sia importante sensibilizzare su quello che accade".

Dopo l’attentato al deposito di carburante vicino al circuito, è stato fra i più attivi a condurre la “rivolta”, arrivando a un passo dal boicottaggio. Con lui erano saldamente schierati il compagno di scuderia George Russel, Fernando Alonso, Pierre Gasly e Lance Stroll. Alla vigilia del Gran Premio, Hamilton era stato infastidito il giusto dal tweet choc di un commissario dell’anti incendio contro di lui: “Ti auguro di avere un incidente come quello di Romain Grosjean in Bahrain”, insomma di andare a fuoco. Un tweet maturato in un ambiente ostile e forse anche ispirato, non solo il gesto di qualche giannizzero un po’ troppo esuberante.

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