Prigioniera dei "like", così la Formula 1 diventa il wrestling

Prigioniera dei "like", così la Formula 1 diventa il wrestling© Getty Images

Gli spettatori crescono, ma tutto ciò fa perdere di vista l'aspetto sportivo e porta allo stravolgimento di modelli di competizione e regole sportive

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Stefano Tamburini

05.04.2023 09:44

Bisogna saperlo capire il consenso, perchè va gestito e non subìto. Altrimenti c’è il rischio di restare prigionieri dei “tutto esaurito” da aggiungere alla lista, di sentirsi ostaggi dei like sui social, di prendere sbronze da un innegabile e comunque meritevole crescita di spettatori. La Formula Uno in pochi anni è passata dall’epoca della decadenza del despota Bernie Ecclestone a quella del massimo splendore di Liberty Media e, proprio quando tutto sembra essere perfetto, ecco che si arriva al paradosso del rischio di smarrire la strada per inseguire chi dovrebbe stare al seguito. Ora come ora, è come se la Fondazione del Teatro alla Scala di Milano non si limitasse a sondare l’umore dei loggionisti, tenendo in dovuta considerazione fischi e ovazioni. No, adesso la Formula Uno è il Teatro alla Scala che fa scrivere i libretti d’opera ai loggionisti. O, se preferite, la Federcalcio che affida le regole agli spettatori.

C’è un colossale equivoco, quello che fa confondere il consenso con un’investitura a seguire l’umore della pancia di chi è arrivato dopo, un invito a lasciar perdere la tradizione per sposare totalmente chi si è appena affacciato in tribuna o sul divano davanti al televisore e non conosce la storia, per tradire totalmente l’essenza nobile del motorsport. Quella a cui stiamo assistendo è una deriva pericolosa che contagia anche il Motomondiale, dove un Gran premio ha una durata inferiore a quella di mezza partita di pallone e per inseguire la Formula Uno non trova di meglio che inventarsi una gara sprint ancora più corta al sabato con evoluzioni pericolose e già due feriti gravi nel week-end di esordio.

Tutto perchè c’è una parte di pubblico giovane che si ciba di highlight sullo smartphone, e allora bisogna comprimere i tempi. A proposito di Formula Uno si arriva pure a dire, per poi fare un parziale dietrofront, che "le prove libere servono solo agli ingegneri, ogni volta deve esserci qualcosa in palio". Parole e musica di Stefano Domenicali, presidente e amministratore delegato di Liberty Media, bravissimo nel far crescere lo show sull’onda di quanto già messo in opera dal suo predecessore, il baffuto Chase Carey. Bravissimo nell’andare a Portimao in visita pastorale dal suo omologo della MotoGp, Carmelo Ezpeleta, per celebrare una sorta di gemellaggio fra boss in camicia bianca a caccia di nuovi like. Bravissimi, lui e Carey, in poco più di sei anni, ad aver fatto crescere gli appassionati della Formula Uno da 400 milioni a un miliardo e di aver fatto lievitare in doppia cifra il fatturato televisivo.

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Bravissimi, certo, ma poi c’è anche il rovescio della medaglia. Il brutto è che tutto questo viene fatto vivere nel quadro delle regole incerte, delle decisioni a pelle di coniglio, estendibili a piacere, incomprensibili non solo al grande pubblico ma agli stessi piloti, ai team manager e ai commentatori più avvezzi alle questioni tecniche. Ogni volta siamo di fronte a un rebus, a una sorta di quiz televisivo “Chissà chi lo sa?” su che cosa stia accadendo davvero, vien da chiedersi se la sanzione comminata poi sarà quella giusta, c’è da capire se quella regola sarà ancora valida nel Gran Premio successivo, perchè dopo ogni controversia viene sempre riscritta o ritoccata...

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