Tolto Verstappen, riemergono i due ex-campioni. Un solo punto li divide. Si evitano, si cercano: costituiscono per la F1 un bollino di qualità
Che il Dio delle corse conservi, finché è possibili, le motivazioni di Lewis Hamilton e Fernando Alonso. Al di là dei voli al trapezio di Max Verstappen, sono loro a garantire il bollino di qualità al campionato, almeno in attesa che Leclerc, Norris, Russell e Piastri abbiano in mano un ferro che consenta loro di mostrare tutto l’oro che valgono.
Bene la next-gen anzi benissimo – ne abbiamo bisogno, e non solo per la sopravvivenza –, ma ognuno dai suoi interpreti ha molto da imparare dai due vecchi satanassi. Hamilton e Alonso si evitano e si cercano. Le ferite del 2007 non sono chiuse ma hanno tormentato più Fernando – di recente tornato a parlarne con una excusatio non petita («non ho mai fermato nessuno, all’Hungaroring mi montarono gomme vecchie durante le qualifiche») – che non Lewis, affaccendato nell’ultimo decennio e infilare perle con ago e filo. Loro in prima fila oltre Verstappen, e per svariate ragioni. Innanzi tutto per una banale questione contabile: se per assurdo si ritirassero oggi, nel GP d’Olanda non correrebbero tre campioni titolari di undici mondiali piloti, ma il solo Max con i suoi due titoli (praticamente tre, via), di cui uno discutibile poiché frutto di errore arbitrale.
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