Roland è un simbolo che va ben oltre il 30 aprile

Roland è un simbolo che va ben oltre il 30 aprile

Ratzenberger rappresenta sempre più il monumento al pilota gentleman e uomo di sport che paga il prezzo definitivo facendo ciò che ama. Incarnando tutti coloro che hanno conosciuto medesimo destino

04.05.2020 14:26

Visto che per amor di rubrica qui posso dire e fare cose teoricamente controcorrente, stavolta ne conduco in porto una spontanea e dolcissima. Approfitto di spazio e tempo per rendere omaggio a Roland Ratzenberger anche dopo giovedì scorso, perché a onorarlo ogni 30 aprile son buoni tutti e, tra l’altro, sia chiaro, fanno e facciamo benissimo ogni volta a ricordarlo nell’anniversario, anche se qui e ora intendo, oltre che render merito alla sua figura, anche porre in essere un altro tipo di ragionamento. Come? Be’ facciamo un passo indietro e torniamo a giovedì scorso 30 aprile, appunto.

Stavolta, mentre mentalmente anch’io ricordavo con un pizzico di raccoglimento Roland, pensavo altro e oltre. Il rispetto, il ricordo, l’empatia per la fine dell’austriaco nel corso delle qualificazioni del Gp di San Marino 1994 negli anni, anzi, nei decenni, stanno diventando qualcosa di più e di diverso dalla semplice commemorazione di un pilota che in quell’orrendo weekend ha pagato il prezzo definitivo. Ecco, col tempo quello di Roland Ratzenberger sta diventando un caso a parte. Una storia a sé, simbolo anomalo e importante. Verissimo, il suo tragico evento, svoltosi mediaticamente nella scia emozionale ed epocale del caso Senna, essendo avvenuto prima ma di fatto finendo catalogato come episodio satellite al pianeta Ayrton, ha finito con l’attrarre un’attenzione e una protezione potenziate, a tutela particolare e garantita.

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Se Roland avesse subìto l’incidente fatale una settimana prima o una settimana dopo del caso Senna e in un luogo e in un contesto di diversa natura, presumibilmente il suo posto nel cuore dei tifosi non sarebbe stato lo stesso, okay. Perché l’innesco esistenziale, la terribile consequenzialità narrativa e l’impatto psico-emotivo globale della scomparsa del novellino accanto a quella del campione hanno finito col raccontare una storia particolarissima e tragicamente inedita, capace di muovere, smuovere e commuovere come non mai.

Ricordo lo scorso anno il lungo e intenso dialogo che ho avuto col padre di Roland, il quale a un certo punto mi ha detto, tra le tante, una cosa ancor più bella delle altre e cioè questa: "Il senso e il significato profondo della sorte che ha accomunato Senna e Ratzenberger, il più noto pilota del mondo assieme al meno famoso, al di là dei curricula e dei contesti così diversi, stanno a significare che di fronte alla vita e ai suoi nuclei esistenziali tragici, in fondo, tutti gli uomini sono uguali. Vorrei che fosse proprio questo a emergere, dopo un quarto di secolo, dai momenti trascorsi insieme nell’omaggio, nel ricordo e nella comunanza d’affetti. Siamo tutti esseri umani, vulnerabili, forti solo se uniti e, soprattutto, siamo tutti degni della medesima dignità".

Ricordando Roland Ratzenberger

Herr Ratzenberger aveva aggiunto poi un retroscena a rendere ancor più commovente il suo viaggio infinito sulle tracce della passione di suo figlio: "A differenza di tante altre famiglie, la nostra non coltivava in assoluto la cultura delle corse automobilistiche. Non era né a favore né contro, diciamo pure che quella era la realtà e la vita di Roland, non certo la nostra. Dopo il 30 aprile 1994 non nego che, oltre al dolore che potete immaginare, ho sentito l’esigenza di capire, vivere e conoscere il suo mondo. Tanto che l’anno dopo, il 1995, sono stato a Imola per l’edizione successiva del Gran Premio e ho inizato a vivere in questa realtà, per me del tutto sconosciuta, se mi permette, con esiti molto belli. Perché ho potuto capire negli anni la bellezza, la profondità e il calore che fanno parte del Motorsport. Così, finalmente, posso dire d’aver compreso perfettamente che mio figlio se ne è andato facendo ciò che amava e ciò che amava è comunque un’entità, un ideale, un universo bello e complesso. In grado di suscitare grandi passioni e motivazioni e anche di comportare dei rischi. Ora tutto mi è più chiaro e questo mi è servito per elaborare ed accettare anche ciò che è successo a Roland".

Ecco, parallelamente al delicato e sofferto processo di elaborazione del lutto del padre di Roland, in tutti questi anni ve ne è stato un altro collettivo, corale e condiviso, che agli occhi di tutti noi ha sempre più trasformato Roland Ratzenberger nell’esempio, nell’emblema e nella rappresentazione ideale del gentleman driver che paga il prezzo definitivo, pur di vivere la passione e la vocazione di pilota. La verità è che quasi nessuno ricorda un giorno agonistico iperglorioso o una vittoria importante, nella carriera di Roland - quand’anche ce ne siano state e di belle, perché specie in Giappone s’era fatto onore assai e nelle ruote coperte aveva stappato champagne ancor più che in monoposto -, eppure questo anziché depotenziarne la figura, la ingigantisce. In quanto lui grazie alla reputazione che s’era costruito da professionista aveva gettato le basi per una presumibilmente breve esperienza in F.1 con la Simtek sostanzialmente autofinanziata, da puro uomo di sport, giusto per toccare il cielo con un dito.

Ed è proprio questo a renderlo ancora più bello e unico, come personaggio. Una sorta di milite ignoto con nome e cognome ricordati da tutti, figura d’un’umanità catturante al punto da assurgere, oltre un quarto di secolo dopo, a monumento in ricordo di tutti coloro, e sono tanti, che hanno perso la vita nelle corse inseguendo semplicemente un sogno, laddove la partecipazione era già vittoria. Così se Ayrton Senna è l’eroe della determinazione di vincere fino al sacrificio estremo e se Gilles Villeneuve appare la sublimazione del superamento del limite svincolato dal concetto di trionfo, Roland Ratzenberger è diventato sempre più nella memoria collettiva degli appassionati di Motorsport portabandiera dello spirito competitivo e partecipativo che fa nella presenza e nella testimonianza alla sfida il suo traguardo lodevole e premiante.

Così Roland, nei decenni, non è più il pilota morto il giorno primo di Senna, ma un personaggio portabandiera di un ideale altro e caldo, rispetto a quelli già conosciuti e praticati a livello di culto della memoria, per il Motorsport. Perché grazie a Roland e dietro di lui, in un immenso, nostalgico e commovente corteo, ricordiamo non solo il suo esempio e il suo sacrificio, ma anche quelli di tanti, tantissimi altri che sull’asfalto dettero tutto pretendendo niente, persero la vita per cercare la parte migliore di se stessi.

Roland è Helmut Koinigg, è Geki Russo caduto a Caserta, aleggia in Carel Godin de Beaufort e nel ricordo bello di Riccardo Paletti che accelera, al via di Montreal. È il plenipotenziario e ambasciatore sentimentale di tutti coloro capaci di vivere la F.1 come poetico e insidioso traguardo sublime e non solo quale burocratico insieme di Gran Premi. Per questo il Ratzenberger di oggi non è più quello ricordato la domenica dopo, ossia un giorno, ovvero un mese o un anno o due dopo la scomparsa. Roland, qui e ora, senza volerlo, è diventato per sempre qualcosa d’altro e di grande, impersonando tutti quelli come lui, onorato da tutti quelli come noi.

Ed è proprio per questo che ricordarlo e omaggiarlo ogni trenta aprile, ma anche in qualsiasi altro giorno, è come tornare col pensiero a carezzare l’idea di tanti piloti di qualsiasi categoria ai quali non mancarono classe né coraggio, ma solo la fortuna. E solo sfiorarli tramite lui, con un’empatica sensazione di rispetto, costituisce la vittoria più bella, per loro, tale da essere un po’ anche la nostra.


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