Quello di Fernando in Bahrain non è solo un podio, ma un grido di libertà antisistema!
Questo di Fernando Alonso è il terzo posto più destrutturante e rivoluzionario nella storia della F.1, perché non ha niente a che vedere col concetto di podio, ma va ben oltre. È l’ultimo grido di libertà di un simbolo vivente di un automobilismo che non c’è più e anche un bengala nel cielo che illumina certe pochezze e certe tristezze del sistema. Trovate un altro che riesca ad andare a podio in un Gran Premio quasi dieci anni dopo aver chiuso con la Ferrari in modo non esattamente amichevole.
Trovate un altro che riesca ad andare a podio dopo aver rotto a più riprese con i poteri forti della F.1 distribuiti nelle squadre con più magnetismo, oltre alla Ferrari aggiungendo anche McLaren e Honda, finendo preventivamente inviso anche a Mercedes e Red Bull, le quali mai e poi mai gli darebbero una macchina, neanche per tutto l’oro del mondo. Trovate un altro che a 41 anni e mezzo riesca a mettere in campo la rabbia, la forza e soprattutto la classe per issarsi nella zona nobile della classifica contando su una sequela di sorpassi reali e non tattici al pit, quando la F.1 con i quarantenni ha filosoficamente chiuso da un pezzo.
Trovate un altro, sissignori, capace di resistere ventidue anni in F.1, tanti ne sono passati dal primo GP con la Minardi a quello iniziale con Aston Martin. E trovate un altro capace di salutare con beffarda dignità l’Alpine nel bel mezzo dell’estate, che l’aveva trattato con un pizzico di sufficienza, sol perché Ocon aveva avuto una botta di culo sfruttando l’occasione unica di vincere in Ungheria 2021, uno dei Gp più rocamboleschi. Da lì in poi i galletti strizzavano l’occhio a Piastri, lasciavano quasi intendere che Nando era diventato non un impiccio ma quasi, ed ecco che l’asturiano in quattro e quattr’otto saluta tutti e conia un’altra di quelle sue separazioni fulminee di cui è diventato il portabandiera.
Ma c’è ben altro. Dai, Alonso, nella F.1 delle frasi sussurrate e delle interviste mosce e decerebrate, resta la scheggia impazzita, l’uomo nudo che corre beffardo nei corridoi delle corporation, irridendo tutto e tutti. Lo zio che mezzo brillo prende il microfono in mano al tuo matrimonio mettendosi a cantare pezzi impossibili e facendo dichiarazioni che rischiano di far piangere financo la sposa e sua madre. Davvero pensate che il terzo posto di Alonso cambierà volto a questo mondiale? Io dico di no. Nell’ambito delle classifiche sposta poco, in realtà. Piuttosto funge da grimaldello destrutturante per il sistema F.1, perché rivaluta stupendamente un top driver a turno odioso e simpaticissimo e soprattutto un Uomo Vero, un Hombre Vertical, capace di portare la sfida a Indianapolis, a Le Mans, alla Dakar e in ogni dove, dimostrando a tutti e a se stesso di poter campare anche senza Circus e perfino di poter ritornare, perché di uno come lui, in fondo, è sempre meglio non fare a meno.
Poi, certo, regalare la terza piazza alla Aston Martin è una gran cosa, anche se la macchina nella quale ha messo le mani - e va sottolineato con orgoglio - il tecnico Luca Furbatto, è forte, competitiva assai e ben riuscita di suo, come dimostra la resilienza ben premiata di Stroll. Però, una volta di più, in tale sede vale la pena di brindare all’ennesimo esaltante capitolo della carriera strana dell’asturiano, tutto sommato fatta di poche vittorie e iridi in quantità omeopatiche rispetto al talento posseduto e ai massimi trionfi immaginabili, in proporzione.
In verità, correndo, vivendo e pensando alla Alonso, Fernando quasi inconsciamente è diventato una figura assolutamente mai vista prima nel mondo del Motorsport, recitando il ruolo dell’antisistema, del campione trasversale e di traverso, dell’uomo che, preso dagli ingranaggi di un gioco più grande di lui, come Chaplin in “Tempi Moderni”, si disincastra e sopravvive per raccontare una storia e una favola tutta sua, nella quale non contano più le vittorie ossessive alla Hamilton o alla Verstappen, ma gli ingaggi che continuano ad offrirgli e la fiducia incondizionata che gli danno squadre in cerca di un’occasione di gloria al di fuori di quelle mainstream. E in tutto questo c’è pure un dolce nonché affascinante paradosso. L’uomo più combattuto, osteggiato e tenuto fuori dalle major, rischia di diventare il primo nella storia delle corse a disputare oltre 400 Gran Premi, toccando un traguardo aritmetico ma anche morale ritenuto fino a poco tempo fa ineguagliabile e irraggiungibile. Come dire che la creatura più alla macchia, partigiana, ribelle ed eiettata del Circus, comunque vada passerà alla storia come uno tra i pluricampioni più longevi, inaffondabili e quasi eterni, restando sempre efficacissimo.
Con un inizio della storia ancora più esplosivo, antagonista e rivoluzionario del seguito, visto che Nando nasce povero, figlio di un operaio in un’azienda di fuochi artificiali e invece di far parte di una di ’ste laccate e leccate driver academy in cui a volte si allevano principini spocchiosi e dal naso all’insù, lui s’è fatto strada macinando consigli e pastasciutta dalle cucine da personaggi veraci, tosti e veri, quali Ermanno Cuoghi e Gian Carlo Minardi. Per cui, mi scuserete, ma le prodezze di Alonso Fernando di anni quasi 42 non appartengono solo alla storia incipente di questo strano campionato del mondo 2023, ma sembrano tanto l’ultima prodezza del personaggio che più gli somiglia, tra quelli epici e irreali, ovvero Capitan Harlock.
Quindi, stavolta, pur sobrio, scusate ma la finisco cantando... Un pirata tutto nero che per casa ha solo il ciel Ha cambiato in astronave il suo velier (hurrà!) Il suo teschio è una bandiera che vuol dire libertà Vola all’arrembaggio però un cuore grande ha. (...) Fammi rubare, Capitano, un’avventura Dove io son l’eroe che combatte accanto a te...
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