Liberty Media copia Le Mans!

Liberty Media copia Le Mans!

Altro che innovatori, in F.1 sbirciano alla 24 Ore...

24.04.2023 11:04

Ma secondo voi si parla tanto della 24 Ore di Le Mans e del suo centenario perché siamo tutti ipnotizzati come babbei dalla cifra tonda, oppure perché dietro la storia, la struttura, le cristallizzazioni e la filosofia della maratona della Sarthe si annida un vero e preziosissimo patrimonio filosofico e agonistico, tale da rappresentare uno dei pilastri del Motorsport moderno? Scusate ’sta insopportabile domanda retorica, ma qualcuno se l’è cercata, con tanto di pippone retoricheggiante annesso. Perché giorno dopo giorno e volta dopo volta leggo sempre più basito le cose e le cosine che Liberty Media vuol portare ai Gran Premi e mi viene in mente una realtà che non leggo da nessuna parte e quindi sarà ora che la scriva qui, perché questa è: ossia che gli americani chiedendo agli organizzatori questo e quello non solo non s’inventano niente, ma copiano pari pari - come capita a scuola con gli annaspanti che scopiazzano i bravi - programma e programmi della 24 Ore da decine e decine di anni.

Ci vediamo da Mario: Ode al fascino dell’endurance

Dal laico e vangelo secondo Liberty: l’evento non deve durare un giorno solo, ma spalmarsi il più possibile nel weekend, creando poli d’interesse multipli e un hype che cresce ora dopo ora. Bene. Tutti gli appassionati veri di Motorsport sanno che quella della Sarthe non è una 24 Ore ma una settimana, perché tutto inizia con le verifiche pubbliche a Piazza dei Giacobini, quindi si trasferisce al circuito con l’inizio delle prove, diurne e notturne, così torna nella città vecchia con la parata degli equipaggi, poi riapproda al circuito per le ultime messe a punto, la cerimonia di pre-schieramento e il via della gara. Morale, stai a Le Mans sette giorni e non t’annoi mai, anzi, hai sempre qualcosa da fare, se ti basta il tempo.

Dal laico evangelo secondo Liberty: la pista non è tutto. Deve avere attorno a sé attrattive e sfoghi ludici alternativi, come la ruota panoramica, la fan zone, strutture, servizi, musica e quant’altro. Ottimo. Da milioni di anni Le Mans ha la sua bella ruota panoramica e nella collinetta soprastante il paddock vanta il caratteristrico villaggio con tanti negozi, bancarelle, ristorantini all’aperto, birrerie e chioschi, dove puoi trovare modellini, vecchi libri, musica tunz-tunz, baguette, salsicciotti e tutto quello che vuoi: il paradiso della fan zone, altroché.

Dal laico evangelo secondo Liberty: i Gp devono diventare immensi collettori di pubblico a flusso continuo. A meno che non si sia in presenza di un Paese ricchissimo mediorientale, pagante fee stellari ma fuori contesto storico-agonistico, gli altri, quelli europei, devono assicurare affluenze sociostrutturate bibliche e semi-plebiscitarie. Fantastico. A parte la Indy 500, che sarebbe un altro bell’esempio di super-evento il quale fino a pochi anni fa durava addirittura un mese, con infrastutture da paura, a ri-testimonianza del fatto che Liberty non inventa niente ma copia - e anche poco bene, come spesso capita a chi studia a pappagallo -, a Le Mans il pubblico straripa da decenni. Addirittura del tutto a prescindere dalla quantità e dalla qualità di vetture e piloti in campo. Perché Le Mans è Le Mans. Difficile da prenotare sempre e impossibile ora, col centenario. Sold-out o quasi, da una vita. E se, tanto per fare un esempio, nel 1993, appena abolito il Mondiale Prototipi da Bernie & Mosley, alla 24 Ore si schierarono in pochi e mica tutti buoni, specie con delle GT loffie, la gente rispose lo stesso alla grande e lo show, dentro e fuori pista, non mancò.

Dal laico evangelo secondo Liberty: il tifoso va reso sempre più soggetto e non oggetto di trattamento esclusivo e gratificante, facendolo sentire sempre più vicino all’evento tramite luoghi, momenti, feeling (e prezzi) esclusivi. Bene. Qui Liberty e Le Mans divergono, perché seguire la 24 Ore costa, ma infinitamente meno che andare a un Gran Premio di quelli chic & glamour (salvo Imola e Monza che ancora si sforzano d’essere a misura di tasca). A Le Mans il tuo campione lo puoi incontrare tranquillamente in città per le verifiche, ovvero durante la sfilata degli equipaggi a bordo di macchine d’epoca decapottabili o financo in una delle non infrequenti session di autografi. Certo, c’è il Paddock Club pure a Le Mans, cioè se vuoi finire spellato vivo, stai sicuro che ci finisci. Ma se hai una capacità di spesa non paperonica e a muoverti è solo la passione, puoi comunque avere chance di divertirti e provare momenti unici, piacevoli e fuori dall’ordinario. Con nell’aria il fascino di un rito, di una magia e di un’atmosfera che si ripetono da un secolo, ipnotizzando centinaia di migliaia di appassionati, quasi tutti più tali che semplici curiosi di superficie.

Dal laico evangelo secondo Liberty: noi possediamo diritti di promozione per un campionato, abbiamo la fila di questuanti per nuove gare e ci interessano i ricchi, mica i poveretti. Quindi partoriamo appendici nobili di benessere e ce le godiamo, perché, da monopolisti, i prezzi li facciamo noi: se vuoi correre (difatti vogliono alzare la quota d’ingresso per i team), se vuoi organizzare e se vuoi venire a vedere la gara, da riccone, al Paddock Club, o da tosabile fan. Fantastico. Invece Le Mans funziona all’opposto siderale e antipodale. Perché non è un campionato che crea gare, ma, grazie all’Aco, è una gara che crea campionati. Dapprima l’ELMS e poi, dal 2012, il rinato mondiale. Perché senza l’Automobil Club de l’Ouest e Le Mans, sia chiaro, il mondiale endurance non sarebbe mai resuscitato - grazie anche all’aiuto del neoletto Jean Todt, va detto -, killerato com’era stato, appunto da Bernie & Mosley nel 1992, all’interno del loro orrendo piano da cattivi di James Bond di togliere di mezzo tutto ciò che impicciava alla F.1. E il mondiale endurance a oggi non è gestito come una fabbrica di quattrini, ma come un’entità sportiva che come tale deve fare Sport, unendo, coinvolgendo, ibridando e avvicinando concorrenti, enti e Case.

È il motivo per cui la Ferrari è tornata dopo 50 anni d’assenza nella categoria maggiore e con essa una miriade di Costruttori autorevoli. Sapete quali. Fatto che sta alla base anche del taciuto ma non meno storico riavvicinamento tra endurance all’europea e quella all’americana, grazie alla sudivisione tra LMH e LMDH che, per quanto possibile, accontenta tutti. E anche il BoP, il famigerato BoP, in chiave Le Mans diventa, di principio, accettabile e intelligente, perché se nel penultimo DTM e nel mondiale Turismo il BoP stesso serviva a far trionfare chiunque a turno, come quando da bambino mia nonna mi faceva vincere a rubamazzo, in chiave Hypercar ha il ruolo di dare pari opportunità di partenza a prototipi aventi filosofie e caratteristiche diverse. Perché il BoP è come il colesterolo: c’è quello buono e quello cattivo.

Per questo, quando si parla di Le Mans e di endurance, ai francesi e agli organizzatori della Sarthe bisogna solo dare tanto di cappello. E, a ben guardare, il centenario è solo un pretesto. Se la 24 Ore avesse, che so, 87 anni e tre quarti invece di 100, bisognerebbe fargli il monumento lo stesso. Perché hanno inventato uno stile, hanno saputo creare e mantenere grandiosamente un’istituzione e poi rifondare da zero, dal post atomico 1993 a oggi, un fulcro e un coagulo di passione forgiando una civiltà - quella delle gare endurance - praticamente da capo, facendola rinascere altrove, in tutto il mondo del Motorsport, a loro immagine e somiglianza. Malgrado l’ostilità della potentissima fazione ecclestoniana e formulaunocentrica, non muovendosi primieramente ed esclusivamente a scopo di lucro, ma nel segno dello Sport, dell’opportunità e della politica sportiva orientata a unire e non a dividere. Per questo, viva Le Manse viva l’Aco, tutta la vita. Non solo come gara in sè, ma anche in quanto istituzione, quale centro irriducibile di cultura del Motorsport, ricco di Motor & di Sport. Invidiato tanto, capito poco e copiato male, come spesso capita a chi ha radici, cuore e talento da vendere.


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