Ci vediamo da Mario: Ode al fascino dell’endurance

Ci vediamo da Mario: Ode al fascino dell’endurance

Al di là di Ferrari, Le Mans e Wec, le gare di durata valgono oro da sempre

22.04.2023 17:07

La vera, grande e unica notizia di questa stagione motoristica è il ritorno in primo piano delle corse endurance. Il rientro in gara della Ferrari nella categoria maggiore dopo cinquant’anni d’assenza, i cent’anni della 24 Ore di Le Mans e il pieno d’iscritti nel Wec, con l’Hypercar assaltata dai Costruttori, destinati a riempire ancor più gli schieramenti nel 2024, fanno impennare attenzione e hype, suggerendo future battaglie epiche e sfide degne dell’era d’oro dellle corse di durata.

Già, ma qual è il fascino vero delle maratone? Esiste un nucleo splendente e acchiappante che va ben al di là del trend, del momento e della congiunzione favorevole? Davvero siamo di fronte a gare sciatte, pallose, incomprensibilmente macchinose e fondamentalmente inguardabili? Il Motorsport è come l’atletica. Si dipana in varie discipline. Se i velocisti hanno i 100 e i 200 metri piani quale massima espressione della potenza esplosiva pressoché anaerobica, i fondisti vantano la maratona quale loro simbolo bello. Chi è più mitico, chi vi piace di più, chi vi suscita maggior leggenda e più intenso rispetto, Carl Lewis o Abebe Bikila? Suppongo che qualsiasi persona sana di mente risponda no problem, sono okay entrambi. E non vedo poi perché si dovrebbe scegliere o far classifiche tra i due immensi atleti e le rispettive civiltà che hanno come retroterra.

Domanda numero due: è più bello seguire la finale dei 100 metri o la maratona?Posso provare a rispondere da adulto, ma è una domanda da bambino, che avrebbe senso solo se la televisivizzo, cioè la rendo dignitosa solo in rapporto al piccolo schermo: cioè, è più televisiva la garetta flash più veloce del mondo o la corsona più lenta, quasi infinita e massacrante? Be’, cavolo, ovvio, tutta la vita vince la prima. Quella corta e quasi istericamente spietata. Ma cosa vuol dire? E ora una domanda la faccio io: perché ormai tutte le volte giudichiamo le cose dalla loro fotogenia televisiva? Perché presupponiamo che se una cosa è bella in Tv allora è pure buona e seannoia allora non vale nulla? Possibile che settant’anni di televisione ci abbiano fatto totalmente bere il cervello? E se fosse vero esattamente il contrario? Se magari proprio la voglia di piacere a tutti i costi in Tv e alla Tv avesse quasi completamente rovinato lo Sport? Per dirla alla McLuhan, se il tipo di media influisce sul messaggio, cosa ne deriva? Ne deriva che tutti gli sport e gli eventi in genere filtrati, addomesticati, battezzati e classificati dalla televisione e dal mito dell’audience diventano apparenza, sensazione, adrenalina idiota e sempre meno sostanza, spessore, retroterra e sapore.

Quindi, io direi esattamente il contrario, rispetto al quesito e alla questione di partenza: in una civiltà come la nostra, se uno spettacolo in Tv è lento, macchinoso, privo di picchi sbalorditivi e di colpi di scena da urlo, buon segno: vuol dire che è vero e somiglia alla vita, nella quale è tutta stasi, attesa e i giorni da salvare in tutto son solo cinque o sei, per dirla alla Flaiano. Ma vorrei andare oltre. Una gara endurance non ha il mito del sorpasso, così come una partita a scacchi non ha quello del gol. Vince chi arriva altraguardo senza rompere, avendo scelto il passo meno lento. Il più veloce di solito perde, proprio come fosse il più lento. Trionfa chi mentalmente e tecnicamente sceglie la cadenza ideale, aiutato dalla tecnologia, dalla bravura dei piloti e dalla fortuna. E il fatto che una macchina da corsa duri sei o ventiquattro ore è una cosa tutt’altroche scontata. Lo stesso spettatore non deve avere la stessa attitudine che mostra difronte a un Gran Premio. Di incidenti ne vede meno, di regola, di rotture tecniche di più. Adrenalina ve n’è poca e la gara va letta fra le righe. Bisogna conoscere i nomi di tanti piloti, i contesti delle varie categoriee la trama tecnica e agonistica di ciascuna classe. La Formula Uno è facile. L’endurance è complessa.

Tanti anni fa a Le Mans (era il 1997), parlavo con un dirigente nipponico della Nissan proprio su quest’argomento e a un certo punto costui mi disse: "Da noi, in Giappone, la F.1 la seguono soprattutto i ragazzini, mentre gli adulti e le persone più mature vanno pazze per l’endurance. È il motivo per cui Nissan, Toyota e Mazda investono su Le Mans e ai GP cipensano il meno possibile. Perché un appassionato che ha una cultura strutturata trova mille motivazioni in più in una 24 Ore rispetto a un GP che alla prima frenata è già deciso, perché il più delle volte se esci primo alla curva iniziale poi nessuno potrà mai più superarti".

L’endurance vista da piloti, poi, è un mondo a parte, perché introduce il concetto di squadra ed equipaggio nel più individualistico degli sport. L’endurance vissuta dal punto di prospettiva degli spettatori, poi, è ancor più interessante e c’è pure una cosa che fa sorridere. Dai, fateci caso. In fondo in questa F.1 Liberty Media vuole Gp da 400mila spettatoria weekend, la fan zone, la ruota panoramica, la zona disco e gli spazi ricreativi, dicendo che questo è futuro, tale appare la creatività. Ah sì? Be’, la 24 Ore di Le Mans attrae dal secolo scorso circa 400mila spettatori a weekend, ha la ruota panoramica da una vita, ha le fan zone ,il villaggio con cento negozi, la musica disco, le birrerie e quant’altro. Così quando Liberty Media guarda al weekend agonistico dell’avvenire tirandosela tanto, altro non fa che sognare per la F.1 ciò che accade nella gara regina dell’Endurance da una vita. Da quando quelli di Liberty organizzavano le gare delle pulci al circo di Bagonghi. Con una differenza: se quelli di Liberty sognano uno spettatore ideale tontarello, modaiolo, chic, trendy, da naruto, presumibilmente ignorante dicorse e ben disposto a mettere gli occhi ovunque meno che in pista, aparte la partenza e un possibile incidente, l’Aco, il Wec e qualsiasi organizzatore di una gara endurance, comprese le maratone americane diDaytona, Sebring e Petit Le Mans, sanno di poter contare su gente che vive le giornate in pista come un rito lento, meditato, a metabolizzazione e attenzione alternate, ma comunque in modo colto e profondamente consapevole. E non v’è contrasto alcuno tra categorie, perché uno spettatore aperto e intelligente, in realtà, sa gustare e godere sia della F.1 e dell’endurance, percependole come spettacoli irrinunciabili e diversi, esattamente come chi ama profondamente l’atletica gusta 100 metri piani e maratona. Sognando l’abbraccio con Carl Lewis o Abebe Bikila a prescindere dalle epoche, dal momento e dal contesto. Perché, a differenza di quello che pensavano e volevano Ecclestone e Mosley, a inizio Anni ’90 - quando killerarono vergognosamente il mondiale endurance per quasi un ventennio non perché era noioso ma poiché gli dava immensamente fastidio in termini di interesse e concorrente giro di sponsor -, l’automobilismo quello vero non ha bisogno alcuno di referendum o classifiche di merito tra F.1 e gare di durata. Ma solo di convivenza tollerante, consapevole e il più possibile aperta e serena nel gustare le delizie che entrambe da sempre sanno proporre.


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