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Ferrari, perché non parli?

Il senso di tutto il weekend del Gp d’Austria è nell’imbarazzante crisi di potenza della Power Unit Ferrari - sia in versione ufficiale che in quella fornita ai clienti -, diventata improvvisamente la meno performante del mazzo, contando anche le prestazioni deludenti di Alfa Romeo e Haas. E deludente non tanto e non solo nei confronti delle unità avversarie, ma addirittura in calo, meno performante e decisamente ammosciata, rispetto alle risultanze dell’anno prima.

Come se la Ferrari 2020 a livello di motorizzazione complessiva fosse diventata improvvisamente la versione flangiata, sfiancata e punita se confrontata con quella vista proprio in Austria la scorsa estate, quando era decollata l’escalation di prestazioni culminata poi coi trionfi antologici di Leclerc sui veloci circuiti di Spa e Monza nonché sul riscatto di Vettel a Singapore.

Secondo alcuni - Verstappen su tutti -, decisamente sospetti e meritevoli di più penetranti attenzioni da parte di chi di competenza. Da lì in poi, buio assoluto e solo felpate dichiarazioni ufficiali e non, che parlano prima d’un’indagine approfondita della Federazione e quindi della chiusura della stessa e della stesura finale d’un accordo in chiave ultrasegreta tra autorità sportiva medesima e indagati rossi, per chiudere la faccenda con una sorta di transazione blindata dalla clausola di reciproca riservatezza.

Motori spompati

Okay. Poi il mondo va avanti, tra una pandemia e mille lockdown, e alla fine, dai e dai, dopo le avvisaglie dei test in Spagna più la falsa partenza in Australia, si arriva in Austria e improvvisamente chiunque monti motori Ferrari sembra quasi avere a che fare col cuore non più meravigliosamente e miticamente pulsante come alla fine della stagione precedente, ma, con rispetto parlando, con qualcosa di strano, ammosciato e mutato al punto da sembrare il polmone di una tartaruga ninja.

Ecco, è questo il centro logico di tutto. Il punto focale di tutta la questione nel weekend del Gp d’Austria e anche la chiave di volta su cui poggia la corretta interpretazione dello stato attuale dal punto di vista tecnico della salute Ferrari nel mondiale, ovvero, in definitiva della sua non eccelsa competitività oggettiva e assoluta.

In altre parole, sussistono fondate ragioni per pensare che la storia delle lacune velocistiche della Mille nulla abbia a che vedere con incapacità o negligenze del reparto motoristico Ferrari in questa stagione, ma che altresì affondi puntualmente le radici nell’accordo finale raggiunto con la Federazione, a chiusura dell’affaire relativo alla regolarità (o meno) della Rossa 2019.

FIA - Ferrari: perché accordo segreto?

Da qui due possibilità. O provare a strologare, indagare, parlare o sparlare su quello che si ipotizza possa essere davvero successo in sede inquirente, requirente e giudicante, dando cioè spazio a fantagiornalismo, scandalismo d’accatto, chiacchiericcio da dopolavoro ferroviaro, oppure, molto più semplicemente e anche seriamente, interpretare questo mestiere in modo ben diverso, intellettualmente sereno e anche dovutamente dialogico, ponendo una domanda semplicissima ma anche urgente: cara Ferrari perché non parli? Perché non sveli fino in fondo la natura e la ragione prima dei tuoi attuali e strani problemi di potenza alla power unit, peraltro dovutamente e grandemente dimostrati dai dati? E per quale motivo, a oggi, non hai inteso entrare minimamente nella questione, trincerandoti nella reciproca conquistata riservatezza? Agganciate a queste, sorgono altre domande molto serene, dialogiche, frutto di una volontà di confronto ma anche di una tendenza a cercare di incanalare la dialettica e il senso della consapevolezza verso una strada virtuosa.

Tutto questo poiché, cara Ferrari, in realtà nel mondo del Motorsport non esistono solo le Autorità Sportive e la Casa del Cavallino, oltre ai rivali d’esso, ma va presa in considerazione, rispettata e comunque contata anche l’opinione pubblica. E, tra questa, una larghissima fetta d’essa composta dalla sterminata massa di coloro che per la Ferrari e nella Ferrari credono, sognano, tifano, soffrono. Intravedendo nella sua storia ma anche nel suo presente e financo nel suo futuro, un motivo d’orgoglio italico, d’ispirazione ingegneristica ma anche qualcosa di più: un soggetto e un oggetto d’amore vero e proprio. Di urla e di lacrime buone. Di affetto allo stato puro.

Un afflato raro per la storia ultrasettantennale di bolidi semoventi che fanno innamorare ancor più che se fossero esseri viventi, femminei e leggiardi. Cioè, cara Ferrari, non puoi saltare a pie’ pari gli interrogativi, il disorientamento e, diciamolo pure, il diritto di sapere della tua gente. Di quelli che da sempre comprano e agitano le bandiere e a fine gara invadono pacificamente la pista tingendo di rosso l’asfalto quasi fosse il miracolo laico d’un sangue sportivamente liquefatto, dopo che s’è spento l’ultimo motore.

La necessità di fare chiarezza

Ecco, dear Ferrari, sia chiaro, non meriti mica alcun processo: il senso di tutto, perfino dopo il finale del Gp d’Austria, è che non v’è alcun bisogno di tagli, abbruciamenti, regolamenti di conti, epurazioni o dibattimenti di furore calcistico. Ma s’avverte, questa sì, l’esigenza di un supplemento di chiarezza, d’un’assunzione di responsabilità, d’un sussulto d’appartenenza che riporti il marchio del Cavallino più vicino al suo popolo. Nello sforzo di creare una memoria finalmente condivisa, una sorta di meraviglioso e franco confronto che permetta una volta per tutte di chiarire cosa è successo nel 2019 e sulle di esso indagini, visto che appare proprio tutto ciò la premessa e la spiegazione di questo non entusiasmante bilancio tecnico d’inizio campionato 2020. Forse la vera rivoluzione tanto auspicata, il salto di qualità, il gesto che ristabilirebbe una memoria condivisa, una serenità collettiva e il clima stesso per un nuovo punto di partenza ricco di sfide, sarebbe proprio in questi termini.

La forza, la capacità, il senso autocritico da parte di questa Ferrari, diverrebbero tali, tutti insieme, da permettere una spiegazione attesissima e inattesa, coraggiosa e priva di remore su aspetti che meritano ancora lumi talmente chiarificatori da farci capire senza dubbio non solo il passato prossimo ma anche il presente della Ferrari e della stessa scala dei valori morali imperanti in F.1.

A meno che non si pensi che tre safety-car, la crisi d’affidabilità altrui e le prodezze di Leclerc siano aspetti in grado di consolare e non far pensare alle vere realtà che a tutt’oggi meritano ancora delucidazioni, trattazioni e confidenze eticamente dovute, tipiche del dialogo tra membri della stessa, calda e sentita fratellanza sportiva. Per questo, dopo averti chiesto nel titolo perché non parli, cara Ferrari, chiudo dicendo che sarebbe bellissimo che tu, alfine, parlassi davvero. Certe volte le energie nelle power unit, nella squadra e la competitività nei tempi arrivano mica facendo chissacosa, ma limitandosi a togliersi questo inutile peso di dosso. Dopo il meraviglioso secondo posto di Leclerc, hai tale stupenda possibilità: sfruttala. Raccontaci. Spiegati. Spalanca porte e finestre, facendo diventare la tua una casa di vetro. Bella trasparente.

Poi staremo meglio tutti, te per prima.