Lo stile di Lewis spiega il mancato attacco a George

Lo stile di Lewis spiega il mancato attacco a George

Hamilton esce dalla battaglia delle Ardenne inatteso vincitore a tavolino e pure campione di classe

29.07.2024 09:09

Al di là della bilancia, certe co(r)se sono vere a prescindere. Negli ultimi tre Gran Premi, dalla vittoriosa domenica di Silverstone in poi, Lewis Hamilton è il re parziale della F.1, colui che ha sommato più punti di tutti nel mondiale e anche l’unico pilota sempre a podio. Dati alla mano, è il più in palla e il più costante, in un mondiale all’interno del quale a ogni gara te la devi giocare senza alcuna certezza che la scala nei valori di efficienza umana e tecnolgica resti stabile, anzi, con la ragionevole sicurezza che non lo sarà affatto.

A dirla tutta, in Belgio, laddove è il più vincente tra i piloti in attività con cinque centri, Hammer disputa l’ennesima gara capolavoro. E quando, a tre giri dalla fine, balla a mezzo secondo dal fuggitivo Russell ormai ripreso, tutti pensano che la strategia più giusta sia quella da lui scelta, perché le sue gomme hanno 15 giri di gara, in quel momento, contro i 32 di quelle del compagno rivale Russell, belle fruste.

Ecco. C’è solo da capire e vedere dove Lewis giustizierà George, sverniciandolo, a 14 chilometri dalla bandiera a scacchi. E invece no. Da lì in avanti, anche se siamo tutti col cuore in gola, non succede niente. Il distacco resta incredibilmente costante. Il sette volte campione del mondo neanche dà l’impressione di provarci. E qui sta la chiave di tutto il Gp di Spa, e, presumibilmente, la cifra distintiva, il marchio e la firma di tutta la carriera di Lewis Hamilton.

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Hamilton, attacco mancato?

Perché Hamilton giunge secondo in pista senza provarci davvero, a Spa? Non ne aveva? Temeva Russell? Mancava di motivazioni? Non se la sentiva di rischiare? Niente di tutto questo.

Non è nello stile di Hammer ottenere una vittoria trafelata, scomposta, con un sorpasso alla o la va o alla spacca, alla do cojo cojo. In fondo lui è e resta l’unico campionissimo della F.1 moderna ad aver perso e vinto sempre con stile. Come quando stringe la mano a Max a fine Abu Dhabi 2021, pur sapendo d’aver ragione e d’essere stato fregato.

E in Belgio applica ancora una volta il codice deontolgico personale e neanche prova a sovvertire la situazione. Arriva secondo e basta. La sola reazione emotiva è percepibile solo nell’immediato dopogara, quando esce dalla monoposto lentissimo, ultradeluso, in contrasto col frenetico entusiasmo accelerato del vittorioso Russell, ma tutto qui.

Dal 2007 c’è una sottile linea rossa che congiunge diciotto stagioni nelle zone nobili della F.1 ed è data dallo stile, dalla classe che il Sir sfoggia in tutti i 345 disputati. Lui non mena, non ruba, non sgarra, punto. Neanche ci prova e mai ci proverebbe.

In un mondo in cui tutti i più grandi dell’era moderna, da Schumi a Max passando per Senna e Prost, qualcosa di cui vergognarsi in pista lo hanno commesso tutti, con piena volontà e scientia fraudis, ossia l’intenzione palese di colpire e rubare.

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