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L'editoriale del Direttore: Lancia e Munari a Monte Carlo, il cuore ha sempre ragione

Nel 1972 Sandro Munari otteneva una memorabile vittoria con la Fulvia HF, ancora oggi celebrata anche da chi all'epoca non era neppure nata

L'editoriale del Direttore: Lancia e Munari a Monte Carlo, il cuore ha sempre ragione

Andrea CordovaniAndrea Cordovani

13 gen 2025 (Aggiornato il 14 gen 2025 alle 10:03)

L’immagine che vedete pubblicata in questa pagina è una pirografia su legno. Roba da virtuosi, una sopraffina tecnica d’incisione per mezzo di una fonte di calore, scrittura col fuoco per dirla con il greco antico. L’opera è stata realizzata da Giacomo Preto, artista di Monte di Malo, in provincia di Vicenza, e raffigura una delle vittorie più storiche e iconiche di tutto il motorsport in salsa tricolore.

Quella di Sandro Munari e Mario Mannucci al volante della Fulvia HF al Rally di Monte Carlo 1972. Un successo epocale che cambiò le sorti del rallismo di casa nostra trasformandolo in vero fenomeno capace di far bruciare di passione generazioni di appassionati. Ora questa targa verrà consegnata al Drago di Cavarzere per il tramite di Fabrizio De Checchi.

Munari e quella straordinaria vittoria al Monte Carlo

Dell’impresa straordinaria a quel Monte Carlo 1972 Munari ha raccontato: «All’indomani della mia vittoria al rally di Monte Carlo, a inizio 1972, le cose cambiarono, tanto che da lì in poi la Lancia riuscì a vendere 50mila esemplari della ormai gloriosa HF, reintegrando le maestranze: è questa la pagina di sport e di vita della quale forse vado più orgoglioso. La cosa che più continua a stupirmi è quanto quel trionfo sia ancora vivo nella gente e, in particolare, nei giovani. Di persone che all’epoca non erano neppure nate. Spiegazioni possono essercene anche più di una. Per me quello è stato un successo di tutti, della gente comune. Che si è sentita orgogliosa di essere italiana. Allora ci si appassionava alle imprese sportive ed era l’uomo che vinceva, non il mezzo, come è diventato in seguito».

Insomma, fu un successo straordinario. Una vittoria sorprendente col team che forse avrebbe addirittura preferito non partecipare a quella gara perché ormai è già tutto concentrato sull’erede della Fulvia: la Stratos a motore Ferrari che debutterà da lì a pochi mesi. Giudicata obsoleta, incapace di reggere il confronto con le rivali, la “Fulvietta” parte battuta. Viene data per spacciata contro vetture più potenti o più leggere, o entrambe le cose, come Porsche 911 e Alpine A110. Arduo pensare di batterle. E invece il “miracolo” avviene e Sandro Munari e Mario Mannucci arrivano sul lungomare di Monte Carlo da trionfatori.

Una vittoria di un'altra epoca

Oggi, a 53 anni esatti, quell’impresa resta scolpita nella memoria collettiva degli italiani, ma sembra l’immagine di un altro mondo, una delle icone di una grande epopea dell’automobilismo tricolore. Un’epoca che ha innescato grandi passioni. Bastava un’immagine per accendere la fantasia. Guardavi una foto e sognavi. Niente mondo iperconesso, niente social cloaca dove tutti vomitano sentenze, tranciano giudizi un tanto al chilo. Cinquantatre anni dopo siamo qui ad emozionarci davanti a questa immagine che a noi continua solo ed esclusivamente a far battere il cuore. Perché certe immagini non ci sono più, perché certe storie ora hanno un sapore diverso, perché l’automobilismo che abbiamo conosciuto è purtroppo scomparso.

Nostalgia canaglia per un mondo arrivato al capolinea, mentre ci troviamo a vivere un presente diverso che continuiamo a raccontare, spinti da una passione che affonda le radici in quei giorni. Diffidiamo sempre dai finti buoni, quelli che lasciano carezze con mani piene di melma, felpati seminatori d’odio confuso per affetto. Una razza che resiste sguazzando in quell’oceano di sterco che purtroppo sono diventati i social. Noi, invece, apparteniamo ancora al caro vecchio mondo della carta stampata, specie in via di estinzione, ma tenace. Continuiamo a fare il nostro mestiere con orgoglio e senso di appartenenza. E sempre a testa alta, perché così ci hanno insegnato i nostri maestri, quelli che raccontavano quelle corse di un tempo perduto. E che ci facevano sognare.

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