Parlare della storia dell’
Autodromo Nazionale di Monza, è un po’ come parlare della
storia della stessa Formula 1, visto che il tracciato brianzolo la ospita fin dal
1922, anno della sua costruzione. Data che lo pone
fra le più antiche piste del mondo, terzo circuito permanente in ordine di realizzazione (dopo quelli di Indianapolis e Brooklands) nella storia delle corse automobilistiche.
Velocissimo fin dall’inizio, nella configurazione iniziale prevedeva due sezioni quasi distinte: il tracciato che viene utilizzato ancor oggi (ma a quel tempo senza le varianti né l’attuale
Parabolica) e l’
anello di alta velocità, lunghi rispettivamente
5.500 e 4.500 metri. Suddividendo il rettilineo di partenza in due corsie, era però possibile congiungere i due tratti, percorrendoli alternativamente, ottenendo così una pista di
10 km, che con varie modifiche e alterne vicende venne utilizzata per l’ultima volta (nel caso della F1) nel 1961. Questo per l’
elevata pericolosità dovuta sia alle velocità raggiunte, sia alle stesse caratteristiche costruttive.
Monza del resto è stata teatro di
grandi drammi: da quelli solo sportivi di
Senna e di
Hakkinen (ritiratisi mentre erano al comando nel 1988 e nel 1999), a vere e proprie tragedie come quella di
Von Trips del 1961, quando
perse la vita assieme a 12 spettatori subito prima della Parabolica. Purtroppo la lunga storia dell’autodromo brianzolo è costellata di
incidenti infausti, l’ultimo dei quali fu al via del GP del 1978, nel quale perse la vita
Peterson. Per questi motivi il circuito è stato spesso rivisto in modo da ridurne la pericolosità, al di là dell’eliminazione dal percorso delle due curve sopraelevate dell’ovale.

Senza dimenticare tuttavia
momenti più esaltanti, come l’arrivo finale del
GP nel 1971, quando
Gethin vinse una volata a 5, precedendo Peterson di 1 decimo nonché Cevert, Hailwood e Ganley, tutti racchiusi in poco più di 6 decimi. Ma
Monza fu anche palcoscenico del ritorno al volante di Lauda a sole sei settimane dall’incidente del Nürburgring nel ’76; come pure (sempre per i ferraristi) della
doppietta di Berger e Alboreto nell’88. Per non parlare del
debutto al vertice di Vettel quando vinse con la
Toro Rosso la bagnatissima edizione del 2008.
Oggi abbiamo una configurazione di
5.793 metri che sostanzialmente riprende quella dello “stradale” originale, però con vari
rallentamenti: il più sostanziale è quello della prima variante, una volta costituita da una doppia esse e ora da una sola destra-sinistra. Troviamo poi la
variante della Roggia; mentre la seconda
curva di Lesmo, che una volta si prendeva (chi ci riusciva…) in pieno a filo dei 300 km/h, adesso è molto più stretta e si deve frenare a circa 160 orari. Risale al ’76 (come le altre varianti) la
modifica alla curva Ascari che l’ha resa una veloce (ma più sicura) sinistra-destra-sinistra piuttosto lunga. Mentre l’ultima curva, la
Parabolica, è così dal ’55 e proprio quest’anno ha visto l’intervento sullo
spazio di fuga non più in ghiaia bensì asfaltato come avvenuto in altre piste.
Nonostante tutti questi interventi che riducono sensibilmente la velocità, da quando anche Silverstone è stato modificato, quello di
Monza è il circuito che assicura la velocità media più alta: nel 2004, infatti,
Barrichello ottenne un giro in gara alla media di 257,320 km/h, mentre Montoya in prova arrivò addirittura a 262,242 orari, sempre di media. Vedremo se quest’anno, con l’atteso
innalzamento delle velocità massime, si riuscirà a scrivere un ulteriore capitolo della storia di
Monza abbattendo anche questo record.
Maurizio Voltini
(foto: sutton-images.com)