Jim Clark, il pilota che non  aveva rivali, ci lasciava 55 anni fa

Jim Clark, il pilota che non  aveva rivali, ci lasciava 55 anni fa

Un ricordo di Jim Clark Scomparso il 7 aprile in una gara di F.2 a Hockenheim

08.04.2023 14:59

Ieri non ho avuto tempo per scrivere di Jim Clark, nell’anniversario della sua scomparsa, perché avevo da lavorare ad Autosprint cartaceo; oggi sì, quindi procedo.
Perché lo merita.
Perché solo parlarne è un grande onore, per me.
Jim Clark è l’unico pilota nella storia della F.1 che non ha mai avuto rivali diretti.
Semplicemente, nessuno era veloce come lui.
Un giorno Chris Amon mi disse: “L’ho anche battuto, ma era molto, infinitamente più forte di me”.
Misteriosamente più bravo di tutti, pulito nello stile, per niente appariscente.
Nella leggerezza delle Lotus, Clark aveva la migliore alleata, nella loro fragilità una nemica mortale.
Seppe convivere con entrambe, sfiorandole con elegante nonchalance.
Non lottava quasi mai con nessuno, in pista: di solito dopo le prime tre, quattro curve, se ne andava, salutando la compagnia.
Timido ma mai scostante, introverso, fondamentalmente umile e mai aggressivo, nella sua tomba, ancor prima che campione, volle scritto “farmer”. Contadino. Anche se in grande stile.
Da possidente scozzese immerso in un mare verde, ricco di pecore grasse.
Arrivó in F.1 e nessuno sapeva come, perché e da dove, tanto che gli organizzatori sbagliarono nome e scrissero “Clarck”.
Vinse in Europa e poi andò in America dando una lezione a tutti i mostri sacri sul catino di Indy, costringendo l’arcigno AJ Foyt a dire di lui: “Questo sì che è un uomo”.
Se ne andó a inizio aprile di 55 anni fa e la sua fine resta avvolta nel mistero.
Restiamo solo con ipotesi ma privi di una prova decisiva a spiegare perché era volato via, senza una ragione a svelare neppure come potesse andare così forte, in tutti i suoi anni migliori.
Enigmi belli e brutti, nient’altro.
Non conobbe declino.
Salutó questa dimensione a 32 anni d’età.
Parló poco e disse quasi nulla, in carriera, anche se tutti avevano sete di lui.
Sorrisi, solo sorrisi, per difendersi, ritroso e scudato, dietro una chiostra di denti perlacei.
Aveva paura solo della ribalta, forse.
Solo quel giorno che ebbe Monica Vitti a fianco a sé, dopo aver vinto il Gp d’Olanda 1965, Jim Clark rise di gusto.
Perché la vita, per una volta, gli sembró dolcemente rilassante, più bionda e più bella del solito.
 


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