GP Ungheria: i 5 temi del fine settimana

GP Ungheria: i 5 temi del fine settimana© @RedBullRacing

Nuovo primato assoluto da parte della Red Bull, che fa 12 di fila; McLaren conferma che Silverstone non era solo un exploit mentre la Ferrari delude su una pista teoricamente meno ostica rispetto ad altre

24.07.2023 ( Aggiornata il 24.07.2023 11:27 )

Gulash indigesto

Chi ha avuto la fortuna di visitare Budapest, avrà quasi certamente provato il piatto tipico di quelle parti, il gulash. Il gulash altro non è che una specie di spezzatino, ovvero un piatto che tradizionalmente mette insieme pezzi poco pregiati di carne. Ma allora cosa può imparare, la Ferrari, dalla ricetta dello spezzatino o del gulash? Può imparare che quello che conta è l'insieme: puoi avere anche pezzetti di materia prima che presi singolarmente non sono granché, ma che messi insieme nella giusta maniera e con la giusta ricetta possono portare ad un risultato apprezzabile.

Quello dei pezzi messi insieme per un buon risultato generale, è proprio ciò che è mancato alla Ferrari. La macchina non c'era, ma non c'è stato nemmeno il resto: qualifiche non perfette, pit-stop rivedibili, qualche sbavatura da parte dei piloti. Ed eccoci ad un risultato d'insieme altamente deludente, un 7° e 8° posto che lasciano pochissime soddisfazioni e parecchie inquietudini. Soprattutto alla luce delle dichiarazioni della vigilia, con l'ambiente Ferrari che parlava apertamente di caccia alla pole position e ambizioni da podio. Sia la prima che il secondo sono risultati irraggiungibili, ed i troppi “ma” e “se” del dopo corsa (“potevamo fare meglio, ma abbiamo commesso troppi errori. Il risultato poteva essere migliore se fossimo partiti più avanti”, questo il succo del Vasseur-pensiero) non fanno altro che alimentare un senso di impotenza ormai degenerato. Perché se su una pista “favorevole” (molto relativamente parlando, nella fattispecie nella lotta alle spalle della Red Bull ) il quadro che esce è così pessimo, significa che lo sgomento generalizzato è uno sgomento più che lecito. Poi si può discutere se la Ferrari alla vigilia si sia sopravvalutata oppure se abbia sottovalutato la concorrenza per parlare deliberatamente di pole e podio, ma la sostanza non cambia: anche la trasferta ungherese è stata un pianto.

L'elenco di cosa non ha funzionato è lungo così, ma parte da un presupposto forte: la macchina non c'era, nemmeno su una pista teoriacamente meno indigesta rispetto a Silverstone. L'Hungaroring ha chiarito una volta di più che la SF-23 è una macchina che, per combinare qualcosa di buono, ha come condizione necessaria (ma non sufficiente) quella di partire più avanti possibile: se sta tra i primi, con aria libera, può provare a difendersi, ma se si trova presto nel traffico ha ben poco da dire. E' una vettura troppo sensibile al traffico ed al vento, segnata da un'instabilità cronica nei tratti veloci (instabilità aumentata se c'è tanto vento appunto o se ci sono tante turbolenza dovute alla presenza di altre vetture). Con un assetto deliberatamente pensato per proteggere il posteriore in gara (dove infatti il degrado è stato maggiore ma non drammaticamente più elevato rispetto alla concorrenza), è mancato il guizzo in qualifica, dove Sainz è rimasto battuto di un niente di Alonso per l'accesso al Q3 (2 millesimi) e dove Leclerc ha fatto quel che poteva con un 6° tempo tutt'altro che soddisfacente, frutto di un T3 reso complicato dalle temperature elevate sull'asse posteriore.

La gara poi ha raccontato altro, con un macchina che più di così non poteva semplicemente fare, oltre ad una squadra che perfetta non è stata. Il primo pit-stop della squadra è costato parecchio a Leclerc, perché oltre alla sosta lunghissima di 9”4 c'è stato il tempo perso collaterale, ovvero quello perduto nel traffico per recuperare il terreno lasciato nella piazzola di sosta. Poi quei 5” di penalità, tutti ascrivibili ad una leggerezza del pilota, portano ad almeno 12” i secondi persi per errori umani, cui ci sono da aggiungere quei secondi persi appunto nel tentativo di recuperare dopo la prima fermata. Premesso che parlare di se e di ma non serve a nulla, resta un calcolo algebrico di cosa abbia effettivamente perso la Rossa con questi errori: il risultato alla fine della fiera è sì cambiato ma senza essere stravolto, perché Charles con una gara impeccabile avrebbe concluso davanti a Russell (che però partitiva comunque 18°, non dimentichiamolo) e forse avrebbe potuto prendere Piastri, il quale nel finale aveva calato drasticamente il passo per un problema sulla sua vettura. Questo significa che, in un mondo ideale dove la Rossa ma anche gli altri possono immaginare il risultato migliore possibile, forse non sarebbe cambiato nulla: perché Russell può mettere in conto una partenza ben più avanti rispetto alla nona fila, mentre Piastri può immaginare una corsa senza il problema accusato nella seconda metà di gara. E quindi, ecco il bilncio finale, ben chiarito da Sainz: “abbiamo finito esattamente nelle posizioni che ci rappresentano adesso”. Questo a significare che, al momento, la Rossa è chiaramente quarta forza senza il minimo dubbio.

E dunque torniamo al concetto del gulash. Mettere insieme i pezzi, con quello che sì, è la condizione minima per ottenere risultati leggermente migliori per questa Ferrari che non vede la luce. In attesa che la materia prima, alias la macchina, diventi più pregiata, si deve lavorare con quello che si ha, possibilmente senza sbagliare ed approfittare di quello che la concorrenza concede, come nel caso di Russell e Piastri. Perché se sbagliano gli altri ma sbagli anche tu, allora non cambierà assolutamente nulla.

Leclerc: "Non sono demoralizzato"


  • Link copiato

Commenti

Leggi autosprint su tutti i tuoi dispositivi