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Per 21 anni Alberto è stato giornalista della nostra testata, vivendo l'ultimo periodo della F1 ancora aperta e accessibile. Riviviamo insieme a lui, nella sua ultima intervista ad Autosprint, i momenti più importanti della sua esperienza
15 dic 2023 (Aggiornato il 19 dic 2023 alle 10:04)
A Hockenheim per Seb c’è il calembour tra distrazione e distruzione, perché da lì in poi il mondiale prende una piega orrenda.
"Lo dite tutti, ma la verità è che non si perde mai un campionato mondiale in una gara sola. Per vincere il titolo 2018 ci voleva un rendimento della monoposto in ascesa costante, in crescendo, tipo Mercedes, e non c’è stato. Questo è il vero punto. Poi, certo, i punti persi a Hockenheim hanno pesato, ma la verità è che al Gp d’Italia la Ferrari era okay, poi no ed è tornata ai livelli di Monza solo in Giappone, quando i rivali erano cresciuti, a loro volta…".
Quindi tu dici che, più che prendersela con Vettel per il 2018, bisogna fare un ragionamento ben diverso.
"Sì, io penso che la squadra Ferrari non vince il mondiale 2018 perché non ha ancora i novanta minuti nelle gambe, come si dice nel calcio. Anche perché si vince o si perde tutti insieme, non è mai colpa solo di uno se si perde o merito solo di uno se si vince, è sempre una cosa che coinvolge la squadra nella sua globalità. E nel 2018 mancava quel quid che ti permette di vincere".
Va bene tutto, però Monza 2018 fa incazzare non meno di Hockenheim.
"Ma cosa vuoi, è come Singapore 2017, non si può attuare una strategia di squadra nei seicento metri della partenza, su. Se sei Kimi e in una gara così molli, già alla chicane passi quarto, quinto o sesto…".
Ciò non giustifica la cavolata di Vettel alla Roggia, che si va a girare cercando alla disperata di passare Hamilton.
"Vuoi la verità? Noi sapevamo che la Ferrari il sabato era okay, ma la domenica sarebbe stata tutta un’altra storia, perché c’erano preoccupazioni legate al rendimento delle gomme. Quindi, in una situazione del genere e con una consapevolezza simile, Seb sapeva benissimo che doveva giocarsi immediatamente il tutto per tutto. Così lui, cercando l’infilata alla Roggia, ha dimostrato di aver capito che era la sola cosa da fare o, in ogni caso, la più sensata. Pazienza per come è poi andata".
Cosa rispondi a chi ha scritto che non fu una buona idea annunciare proprio nel weekend di Monza 2018 l’ingaggio di Leclerc, perché così facendo si creò disappunto in Kimi e non certo spirito collaborativo?
"In realtà l’annuncio di Leclerc non veniva da fonti ufficiali Ferrari".
Intendi dire che scappò la cosa a qualcuno al quale non doveva scappare?
"Precisamente".
Quindi, fine della storia.
"Quindi, ancora una volta, certa dietrologia non ha senso. Ci sono fatti di battaglia, ossia tattici, e fatti di guerra, cioè strategici, e i primi non hanno a che fare con i secondi".
Spiega in termini analitici e chiari perché la Ferrari del biennio 2017-2018 non poteva vincere il mondiale.
"La prendo alla larga e ti faccio un esempio chiaro quanto calzante. Perché secondo te la pista di Barcellona è importante nell’ottica di un mondiale?".
Perché è la pista neutra e di riscontro per eccellenza, quella su cui si fanno più test e della quale i team hanno più informazioni e punti di riferimento.
"Bene. Quindi, tradotto il tutto in termini pratici, se una monoposto è velocissima, al top a Barcellona e ci vince anche, poi è ragionevolmente in grado di andare costantemente bene per tutto il mondiale o quasi, giusto?".
Non fa una piega.
"Perfetto, il problema è che la Ferrari in tempi recenti non è mai stata al top, a Barcellona, a parte nel 2017 quando Seb nei test lo facciamo mollare nel T3, sennò sarebbe emerso nettamente. Voglio dire che il Gp di Spagna a Barcellona è una cartina tornasole, non è un caso se vinci lì, perché vuol dire che hai davvero la miglior macchina del mondiale. E lì a vincere, anche quando eravamo più forti, è stata sempre e solo la Mercedes, e non di poco. Adesso penso sia tutto chiaro, no?".
Ora fai un’analisi e dai un giudizio complessivo su Sebastian Vettel, please.
"La Formula Uno e in generale tutto lo sport hanno un modo efficace e spietato di valutarti, cioè in base ai risultati. Ora il titolo Vettel sulla borsa del circus iridato chiaramente è sceso, la Ferrari non l’ha più ritenuto necessario per vincere il mondiale e gli altri due team non hanno fatto a botte per accaparrarselo, una volta che è restato libero. Quindi, un pilota come lui ha ragione di esistere soprattutto in funzione di un titolo mondiale e io vedo molto difficile che con l’Aston Martin possa arrivarci, perché la collocazione del team è quella che è, nella serie A2 della F.1. Potrà ancora fare belle cose, ma, come dicono gli inglesi, ha passato il prime time, suo momento migliore e, detto questo, spero tanto di sbagliarmi".
Altroché. Alberto, chi è per te Maurizio Arrivabene?
"È una delle poche persone che hanno creduto in me fino in fondo. Quindi ho un debito di riconoscenza enorme verso di lui. E ho anche tanta stima, perché a modo suo ha cercato di fare qualcosa di nuovo e di molto difficile, in Ferrari, cioè cambiare l’ordine delle cose".
Mica te la cavi così facilmente.
"Bene, allora te lo dico diversamente. Quella di adesso in Ferrari la vedo come la Restaurazione, con la R maiuscola. Invece la Ferrari di Arrivabene e Marchionne mi dà l’idea dell’era di Napoleone, il quale sconvolge certi schemi, muta il modo di pensare e trova la strategia vincente, anche se perde la battaglia decisiva e così, alla fine, ecco il Congresso di Vienna e tutto torna come prima".
Binotto in questo scenario come lo inserisci?
"Binotto è un uomo cresciuto in azienda, conosce tutti, la Ges ha contribuito a farla lui, per certi versi l’ha anche fatta lui, viene da dentro, si occupa di tutto e di tutti e incarna la Ferrari del pre-Maurizio. E la mia definizione di Restaurazione non è certo una critica. L’intento, credo, sia quello di tentare di ricreare la Ferrari di Todt, Brawn e Schumi, ma senza di loro. Certo, grazie a Charles Leclerc si può dire che il pilota c’è, però attorno a lui va ricreata la struttura, che è ancora in corso d’opera. E a oggi in Ferrrai c’è meno gente di quella che ci dovrebbe essere e dei ruoli chiave restano scoperti".
Rifacciamo lo stesso gioco di prima con te giornalista, ma ora da addetto stampa Ferrari. I tuoi momenti migliori e peggiori alla Rossa?
"Migliori, Malesia 2014, più Monaco e Ungheria 2017. I più brutti in Spagna 2016 e Singapore 2017".
Non nomini Hockenheim 2018.
"Lì è diverso, ero incazzato nero".
Tornando proprio a quel 2018, quando avete saputo nel team della malattia di Marchionne?
"La verità? Noi in Ferrari ne sapevamo poco più della stampa. Sinceramente il venerdì di Hockenheim ci è arrivata purtroppo l’indiscrezione che Sergio Marchionne era in fin di vita. Prima eravamo ben lontani dall’immaginare un esito così tragico e immediato".
Hai rimpianti o nostalgia del tuo ruolo di inviato per Autosprint?
"No, non ne ho mai. La vita va avanti. Non è mai congruo tornare indietro. Così come ora, pur avendo gustato un periodo non breve e bellissimo, non rimpiango la Ferrari, perché sono uno che vive senza specchietti retrovisori".
Ti capita mai di rileggere qualche vecchio tuo pezzo?
"Sì, mi capita".
E che cosa pensi?
"Cavolo, come scrivevo bene! (Ride, ndr) Non so… Mi sembra di scriver peggio, mano mano che vado avanti… Poi, ti ricordi, avevo la passione per i titoli, per i giochi di parole, ne facevo di belli, eh?".
Autocitati in uno che vale la pena rigustare.
"Fine 1995, arriva Irvine alla Ferrari, il quale dichiara subito che sarà il secondo di Schumi e non avrà problemi a copiare i suoi assetti".
E tu che titolo fai?
"Secondo copione". (Ridiamo entrambi, ndr)
E adesso spiega il tuo ruolo attuale nel mondo delle corse.
"Lavoro per un gruppo di management monegasco che ha per piloti Palau in IndyCar, Wehrlein in Formula E e Vidales in Alpine Renault Regional. E poi seguo il progetto Vexatec, ossia l’unico sistema di monitoraggio di funzioni vitali in uso nell’ospedale Sacco e approvato dall’Agenzia Spaziale Europea. In sintesi, il sistema consente di monitorare accuratamente i parametri dei pazienti, tenendoli a casa e evitando di intasare gli ospedali. È nato per lo Sport, ma è diventato ideale in tempi di Covid-19".
E sulla prossima stagione di F.1 cosa dici? In Ferrari il nuovo arrivato Sainz sarà un secondo pilota come Irvine o no? E là davanti ci sarà stabilità nella gerarchia dei valori?
"Sainz non è andato alla Ferrari per fare il secondo pilota, non è un gregario, ma dopo sei anni in F.1 ha dimostrato ottime cose anche se non è al top del top e dovrà comunque prendere atto che la squadra punta su Leclerc. Credo che, quanto al 2021, ci troveremo a rimandare tutto al 2022, perché questo è uno sport in cui non s’improvvisa niente: comanda sempre la macchina e, viste le premesse tecniche, sarà difficile assistere a un grande sovvertimento di valori".
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