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A 69 anni si è spento all'Isola d'Elba Rupert Keegan, manifesto dei ruggenti anni '70: ricordare lui e le sue livree provocanti è un modo per raccontare un Circus che non c'è più, con ragazzi scanzonati e festaioli ma accomunati tutti dalla taciuta paura della morte in pista
25 set 2024
Il mare dell'arcipelago toscano come l'ambiente giusto per il riposo del guerriero, dopo una vita spesa tra corse, vizi e tanto, tantissimo divertimento. Rupert Keegan, c'è da scommetterci, ha lasciato la vita prima di quanto avrebbe voluto, ma senza rimpianti: uno come lui ha sempre tenuto il gas a tavoletta, non solo in macchina.
Al mare di Westcliff-on-Sea, Essex, sulla costa orientale dell'Inghilterra, ha preferito quella dell'Isola d'Elba, la sua amata Isola d'Elba, scelta da tempo come dimora. E' stato qui che Rupert Keegan ha speso gli ultimi giorni di vita, battuto da un tumore che a lui, classe 1955, non ha dato scampo lunedì 23 settembre.
Se andate a vedere chi è, a cercare statistiche, a Rupert Keegan non facciamo certo un torto nel dire che in F1, almeno a livello di risultati, di graffi ne ha lasciati pochi: 25 partenze, 12 mancate qualificazioni, 0 punti raccolti ed un 7° posto (Spielberg 1977) come miglior risultato. Poca roba, per entrare nel firmamento delle corse. Ma tante, tante cose da dire su uno dei piloti che meglio ha rappresentato la generazione che ha corso negli anni '70, quella dei capelli lunghi, dei basettoni, dell'aria scanzonata alla James Hunt.
E proprio ad Hunt Rupert era paragonato: capelli e modi di fare erano simili, e qualcuno azzarda che tra i due fosse lui, il vero playboy della F1. Emerson Fittipaldi di Keegan disse: "Se Rupert ti diceva di andare ad una festa, dovevi per forza andare". Corse e donne, e scusate il maschilismo, ma i ruggenti anni '70 erano questi. Ci si abituò lo stesso Rupert, che all'inizio, da sbarbato 22enne al debutto nel 1977, non era così: "Tutto quel clamore pubblicitario legato al logo Penthouse faceva bene all'immagine, ma le voci da playboy erano esagerate, non facevamo feste nei fine settimana delle gare, andavamo a letto presto", raccontò un ben più anziano Rupert. Voce confermata dal suo capo meccanico dell'epoca, Dave Sims: "Era Hunt il vero uomo da festa, Rupert non era così e si teneva in forma".
Foto: Motorsport Images
In una F1 in cui però la vita da pilota non faceva esattamente rima con quella da atleta (ma c'era già gente come Niki Lauda che invece aveva cominciato ad approcciare con monastica serietà la professione) pure Rupert seppe godersi i suoi momenti. Il meglio, forse, è arrivato qualche tempo dopo il debutto; Jackie Stewart di lui disse: "Non lo conosco bene, ma mi hanno raccontato di alcune sue performance straordinarie. Naturalmente, è anche un buon pilota". In F1 Rupert c'era arrivato perché poté permetterselo: era figlio di Mike, divenuto proprietario di una compagnia aerea grazie ad un gran fiuto per gli affari, cosa che non gli dette problemi a pagarsi le prime corse per sfondare nel motorsport. Rory, il fratello di Rupert, si dette anche lui all'imprenditoria e fondò a Londra il famoso locale notturno Chinawhite, mentre Rupert, incoraggiato dal padre, ci provò con le corse.
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Cominciò tutto con una Ford Escort Mexico prima di passare alle monoposto: Formula Ford, Formula 3 Inglese (vinta) e quindi la F1 con una Hesketh privata. I numeri di Rupert in F1 li abbiamo già detti: corse poi con Surtees, RAM e March prima di salutare la F1 alla fine del 1982, destinazione America, con gare in Formula Cart. In F1, diciamo, gli mancò l'occasione migliore: nel '79, anno speso fuori dal Circus, vinse con una Arrows la Formula Aurora, il campionato che vedeva all'opera vecchie monoposto di F1. Salutato il Circus, Keegan si tolse la soddisfazione di correre con gli stupendi prototipi del Gruppo C e disputò pure una 24 Ore di Le Mans nel 1983, chiudendo al 5° posto assoluto, oltre che la 500 Miglia.
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