Mario Andretti spiega come e perché il figlio Michael si è tolto dai riflettori, cedendo la quota di maggioranza
L’inizio della chiacchierata vede Mario Andretti porre la prima domanda lui, anziché aspettarla: «Ehi, allora, come va in Italia? Tutto bene? Fa freddo? Già pensate al Natale?».
Mario, tanto per cominciare, ha preso bene, benissimo, la vittoria alle Presidenziali Usa di Donald Trump: «Sia chiaro, per me la politica non è certo una priorità - attacca “Piedone” - ho dedicato tutta la mia vita al Motorsport e in tale direzione resto orientato. Tuttavia ho fatto il mio dovere di cittadino e non mi disinteresso certo della gestione della cosa pubblica. Per questo dico di essere contento del ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump. Ho seguito molto da vicino le ultime evoluzioni della campagna elettorale, informato dal figlio di Donald, ovvero Dan Jr., e sono felicissimo due volte, perché trovo giusto non aver più al potere dei liberal, ossia dei democratici rappresentati da Joe Biden e Kamala Harris, che proprio non mi erano piaciuti per niente. Quindi avanti così».
IL CASO F.1
E il discorso non può non andare alla situazione dell’Andretti Global in chiave F.1. Laddove, da più di un mese, il figlio Michael, dopo aver tentato di entrare nella massima serie come undicesimo team supportato dal colosso General Motors (nello specifico dal brand Cadillac), ha fatto un passo indietro nella gestione. Come? Cedendo la quota di maggioranza dell’azienda al magnate delle assicurazioni Dan Towriss, con lo scopo di avere un ruolo meno operativo nella gestione quotidiana e più di rappresentanza. In particolare, c’è ancora qualcosa da capire, al di là dei commenti di rito e dei comunicati stampa patinati, perché non è chiaro se siamo alla fine del sogno certificata da un addio velato o di fronte a una sapiente mossa tattica di arrocco, ovvero di apparente ritiro sulla difensiva, in verità per sbloccare e poi meglio gestire una possibile evoluzione della situazione.
«Ovviamente si tratta di una situazione molto delicata, sulla quale ogni parole pronunciata può essere equivocata e portare ulteriori problemi - puntualizza Mario -, quindi penso sia corretto limitare molto i commenti. Cosa posso dire? Da una parte c’è un aspetto esistenziale, perché Michael ha comunque sessantadue anni d’età, non è mica più un bambino, e un po’ di tranquillità in più non gli farà certo male. Poi la faccenda ha anche un altro aspetto, perché, nell’ipotesi che fosse la sua presenza a rappresentare un fattore ostativo al dialogo tra Andretti Global e le autorità della Formula Uno, be’ allora questa sua mossa magari potrebbe diventare un buon motivo per ritrovarsi con una situazione meno bloccata e più favorevole alla comprensione tra le parti in causa».
IL SOGNO CONTINUA
Quindi non siamo al primo passo dell’addio, ma solo, per così dire, a un sensato riposizionamento... «Be’, anzitutto non lo definirei un passo indietro né un passo d’addio, ma un ragionevole passo di lato, poi ovviamente si vedrà. A volte nella vita bisogna anche avere la lungimiranza di fare cose del genere. Io ho apprezzato molto mio figlio, sono orgoglioso di tutto quello che ha fatto nelle corse e posso dire che lo appoggerò sempre, qualsiasi cosa faccia o decida». Quindi a oggi non state aspettando nessuna pronuncia particolare dell’autorità Usa competente in materia antitrust per verificare una presunta violazione né prevedi assi nella manica... «No, qui non mi esprimo, perché noi abbiamo fornito tutte le informazioni che ci sono state chieste da chi intendeva saperne di più della vicenda per verificarne la regolarità, ma in realtà il futuro agonistico della squadra non punta su questo tipo di scenari».
Insomma, il progetto va avanti... «Per quello che posso dire, va avanti e ormai l’ultimo target è quello di riuscire a farsi aprire le porte della F.1 per la stagione 2026. Quello, per così dire, a questo punto è l’obbiettivo finale, visto che, considerate le spese e gli investimenti già fatti, non penso avrebbe senso prevedere un ingresso ancor più ritardato».
C'È AMAREZZA...
Comprensibilmente, non mostri più l’entusiasmo dei primi tempi in cui avevate annunciato l’idea di dare l’assalto alla F.1 e di tornare a correre in Europa... «Comprensibilmente ci sono stati dei risvolti tali da darmi amarezza e anche diverse delusioni. In fondo la nostra è stata una vita interamente dedicata alle corse e sempre con generosità, onestà e grandi risultati. Se abbiamo vinto, lo abbiamo fatto sempre in modo leale e, se non abbiamo vinto, ci siamo comunque comportati sportivamente con tutti, sempre onorando i nostri impegni. Il nostro è un nome che vanta una sicura reputazione nelle corse, sia al volante di una macchina racing che nella gestione di un team. Guarda, la cosa che mi è spiaciuta nel discorso F.1 è stata quella di aver avuto delle resistenze al nostro ingresso proprio da americani. E io so che, a questo punto, tutto il mondo del motorsport sta aspettando per vedere come andrà a finire questa storia. E, giustamente, Michael, pensando di essere, se non il problema, un possibile intralcio a una soluzione reciprocamente soddisfacente, ha preferito togliersi dal centro dei riflettori. Quindi, nessuna polemica, nessuna lotta, solo una nuova situazione sotto il sole, che spero favorisca uno sbocco equo, costruttivo e privo di vincitori o vinti. Il resto lo dirà la realtà e l’evoluzione dei fatti. Posso dire che l’idea e il progetto che avevamo lanciato proseguono l’iter e la candidatura della nostra squadra al mondiale di F.1 continua il suo corso».
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