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Carlo Chiti a 100 anni dalla nascita: Ferrari, Alfa Romeo, cani e "i buoi dietro al carro"

Dal liceo classico alla laurea in ingegneria aeronautica, finendo per trionfare in F1 con la Ferrari e tra i Prototipi con l'Alfa Romeo: 100 anni fa nasceva Carlo Chiti, toscano verace e ingegnere sopraffino

Per diplomarti al liceo classico e poi iscriverti al corso di Ingegneria Aerospaziale all'università, o sei matto o sei un visionario. Forse Carlo Chiti era un po' tutti e due, e di sicuro era un tipo originale per indole, estrazione ed anche modi di fare. Toscano verace, ingegnere sopraffino, uomo colto e simbolo di un modo di intendere macchine e corse.

Umanista e scienziato insieme

Sono passati 100 anni da quel 19 dicembre 1924, il giorno in cui, a Pistoia, vide la luce Carlo Chiti. Oggi la scritta "Carlo Chiti" capeggia su una targa ricordo del liceo classico "Niccolò Forteguerri", la scuola dove Chiti si era diplomato prima di frequentare il corso di Ingegneria Aeronautica all'Università di Pisa. In lui, era come se convivessero due personalità distinte: quella letteraria, formatasi al liceo, e quella scientifica, che si sarebbe presto fatta conoscere sulle piste di tutto il mondo. Chiti aveva una cultura enciclopedica, su argomenti non solo scientifici o letterari, e amava condurre la conversazione con il suo accento veracemente toscano. L'occhio scientifico per il dettaglio si univa ad una fluviale comunicazione da toscano purosangue, una convivenza di elementi che ha contribuito a rendere Carlo Chiti ciò che era: un ingegnere eccelso ma anche una persona squisitamente simpatica, con le sue forme corpulente a renderlo inconfondibile all'occhio oltre che all'orecchio.

Una sorta di doppia natura ereditata forse da papà Arturo (Arturo è il nome non solo del padre, ma pure del figlio di Carlo Chiti, oggi Direttore del Dipartimento di Medicina Nucleare dell'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano), il quale era non solo ingegnere e presidente dell'ordine degli Ingegneri, ma anche presidente della Pistoiese Calcio, come se nella famiglia Chiti avere un solo interesse fosse visto come un difetto. 

E' su questo sfondo che Carlo Chiti si forma, ovviamente con predilezione ingegneristica. Tutto ciò lo porta a soli 28 anni (siamo nel 1952) a dirigere il reparto corse dell'Alfa Romeo, un posto dei sogni per un giovane laureato, il cui sogno crescerà ancora di più quando, cinque anni più tardi, lo chiamerà Enzo Ferrari.

Ferrari 156 F1, "i buoi dietro al carro"

Come uno scrittore si identifica con le sue opere letterarie, così un ingegnere si identifica con i progetti che firma. Ed i progetti firmati da Carlo Chiti consegnati alla storia sono principalmente due: la Ferrari 156 F1 e l'Alfa Romeo 33, in tutte le sue declinazioni: le più speciali in assoluto l'Alfa Romeo 33 TT12, che conquisterà il mondiale sportprototipi nel 1975 (7 vittorie su 9), e l'Alfa Romeo SC12, che otterrà lo stesso risultato due anni più tardi, con l'en-plein di otto vittorie su otto round.

La 156 F1 è speciale perché è stata la prima monoposto della Ferrari a piazzare i "buoi dietro al carro", ovvero a montare il motore posteriore. Con essa, vennero meno le reticenze di Enzo Ferrari, che si era in un primo momento ostinato a tenere il motore anteriore: a convincerlo fu Vittorio Jano, che dissuase il Drake per progettare una monoposto con questa caratteristica principale. La vettura fu più che riuscita e frutterà al Cavallino Rampante quattro titoli mondiali, quelli del 1961 (titolo Costruttori e Piloti con Phil Hill) e quelli del 1964 (di nuovo doppietta titolo Piloti-Costruttori, stavolta con John Surtees): quella del '64 è una 156 giunta al limite dello sviluppo e denominata 156-63. A disposizione, Chiti ha come collaboratore un giovanissimo Mauro Forghieri, che prenderà il suo posto dopo la diaspora di fine 1961 (firmando le modifiche dell'appena citato progetto 156-63), quando Chiti, insieme ad altri collaboratori, stanco delle interferenze della moglie del Drake, Laura, firmerà una lettera chiedendo l'allontanamento della donna. Ferrari, dalla sua, risponderà con il licenziamento.

Parentesi A-T-S

Quel gruppo in uscita da Maranello, anche se non mancherà qualche pentito, confluirà nel progetto ATS, anzi A-T-S, ovvero Automobili Turismo e Sport (da non confondere con l'altra ATS, quella tedesca, ovvero la Auto Technisches Spezialzubehör). La A-T-S italiana, che Chiti fonda insieme ad un altro ingegnere toscano ex Ferrari, Giotto Bizzarrini (Chiti come detto era di Pistoia, Bizzarrini di Livorno), è un po' il desiderio di opporre alla Ferrari un'altra casa italiana competitiva: il sogno naufraga in fretta, sia sul piano industriale (della sua GT vedranno la luce appena 12 esemplari) che sia sul piano agonistico, con la A-T-S che svanisce dopo 6 GP (cinque nel 1963 e uno l'anno dopo). Anche i suoi motori faranno poca strada, con un'unica apparizione a spingere una Cooper.

Alfa Romeo: assalto ai prototipi ed alla F1. Poi la Motoro Moderni

L'A-T-S è l'intermezzo tra la Ferrari e l'Alfa Romeo, con cui il genio di Chiti torna ad esprimersi in maniera prepotente: Chiti, insieme proprio a Forghieri, è uno dei pochissimi a potersi vantare di aver vinto con una sua macchina sia il mondiale di F1 che quello Sportprototipi, antenato dell'attuale WEC. L'ultimo grande sogno però parla ancora di F1, e Chiti lo realizza a metà: tornato in Alfa Romeo nel 1966, a progetto A-T-S definitivamente tramontato, il pistoiese sarà Direttore Generale dell'Autodelta, ovvero il ramo sportivo della casa milanese. Con essa raggiungerà la vetta del mondiale Sportprototipi con i già citati modelli della "33", ma soprattutto darà l'assalto al mondiale di Formula 1. Il ritorno nel Circus avviene fine anni '70 prima in qualità di motorista, con la Brabham BT46 (macchina che meriterebbe un capitolo a parte e nota soprattutto per la sua versione "B", quella con la ventola al posteriore): il V12 Alfa coglie due vittorie nel 1978

Tuttavia, il piano di Chiti prevede un debutto in forma ufficiale: ecco l'Alfa Romeo, detta anche "Alfa-Alfa", a sottolineare la progettazione in proprio di macchina e motore. Saranno sette stagioni di tentativi falliti e di sogni infranti, con cinque podi in tutto: oggi fa male ricordare soprattutto Watkins Glen 1980, con Bruno Giacomelli in pole position ed in fuga (doppiata addirittura la "rivale" Ferrari) fino al ko della bobina. La seconda ed ultima pole position di quell'Alfa Romeo, quella di Andrea De Cesaris a Long Beach 1982, si concluderà anch'essa con un ritiro. Chiti lascerà la squadra nel 1985, ed il suo ultimo grido in F1 combacerà con la sinfonia del 6 cilindri turbocompresso targato Motori Moderni: tre stagioni senza soddisfazioni con la Minardi più due sporadiche apparizioni con la AGS.

Amico degli animali

Oggi di Carlo Chiti ricordiamo le sue vetture, il eclettismo, il suo modo di fare. Era sanguigno nelle reazioni ma amorevole con i cani, un'altra sua grande passione. E se proprio per concludere dobbiamo tirare fuori una fotografia, la migliore forse è quella consegnata nel tempo da Niki Lauda, che anni dopo racconterà un aneddoto, questo: il cane di Chiti, con il benestare del padrone, gironzolava nel box fino a quando non si fermò a fare pipì proprio accanto alla Brabham-Alfa Romeo dell'austriaco. Niki riportò tutto a Chiti, il quale però, con il suo imperturbabile toscano, rispose: "Ovvìa Niki, 'un fa nulla!".

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