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Vi siete mai chiesti perché sia così difficile ricordare il numero di piloti che hanno fatto la storia della F1? Scopriamolo insieme
Ilaria Toscano
18 dic 2024 (Aggiornato il 27 dic 2024 alle 11:41)
Ayrton Senna, Michael Schumacher, Nelson Piquet, Niki Lauda... Tutti celebrano questi grandi campioni e non solo, ma (quasi) nessuno ricorda con certezza il numero presente sulle loro monoposto. Perché? L'assegnazione della cifra con cui ogni macchina gareggia in F1 non ha seguito sempre la stessa regola.
Durante i primi anni della competizione, fino al 1973, i numeri venivano assegnati di gara in gara in base all'ordine di iscrizione oppure erano scelti dall'organizzatore del singolo evento.
A partire dal 1974, le cifre dei piloti erano fisse e ogni team aveva le sue a pescindere dal pilota che gareggiava. Il sistema era basato sulla classifica del campionato costruttori dell'anno precedente. Solo il vincitore del titolo piloti poteva utilizzare l'1 nella stagione successiva, e al suo compagno di squadra spettava il 2 di diritto.
Nel 1996 aumentò la flassibilità con cui venivano assegnati i numeri: ci si basava comunque sulla classifica Costruttori, ma i team avevano la possibilità di mantenere una cifra se legata alla loro identità e alla loro storia. Per il campione del mondo e per il suo compagno veniva utilizzato l'1-2, mentre per tutti gli altri team i numeri sarebbero variati da una stagione all’altra in base al piazzamento nella classifica Costruttori dell’anno precedente.
Solo nel 2014 la FIA ha deciso di introdurre i numeri personali, che seguono il pilota durante tutta la sua carriera in Fomula 1. Il numero 1 è rimasto quello rappresentativo del campione del mondo in carica ed è facoltativo. Attualmente l'1 scintilla sulla monoposto di Max Verstappen, che lo ha sostituito al suo iconico 33 (che rimane comunque a disposizione dell'olandese). I numeri che vengono assegnati ad un pilota rimangono "bloccati" fino a 2 stagioni dopo il ritiro, poi possono essere utilizzati di nuovo.
Per anni, il 13 non è stato "indossato" da nessun partecipante poiché considerato sfortunato.
L'unica cifra ritirata per tutti è il 17, che apparteneva a Jules Bianchi al momento del terribile incidente di cui è rimasto vittima nel 2014 a Suzuka.
Il numero 0 è stato usato in sole 2 occasioni: nel 1993 e nel 1994 da Damon Hill. Questa particolarità si verificò perché Niegel Mansell vinse il titolo nella stagione 1992 con la Williams, ma si ritirò dalla F1 l'anno successivo per correre in Indycar. Il team non poteva usare quindi il numero 1, quindi Hill ricevette lo 0 e Alain Prost, suo compagno di squadra, prese il 2. L'anno successivo fu Prost a vincere il campionato per poi ritirarsi immediatamente, così l'inglese fu costretto a indossare di nuovo lo 0.
La Federazione ha deciso di mantenere fissi i numeri identificativi dei protagonisti delle corse per rendere i piloti più riconoscibili e creare un'identità legata ad un simbolo. Ne è il perfetto esempio il 46 di Valentino Rossi, diventato iconico o il 44 di Lewis Hamilton, che non ha mai sostituito con l'1 in nessuno dei suoi 7 campionati del mondo.
Oggi i piloti scelgono il loro numero d'accordo con i team. Di recente anche le giovani new entry del grid hanno avuto l'opportunità di selezionare una cifra per la loro carriera in F1, una scelta non facile visto che sarà la stessa fino alla fine della loro carriera in F1.
C'è chi dedica il proprio numero ad un campione del passato, come Kimi Antonelli, che correrà con il 12 in onore di Ayrton Senna, e chi ha preferito portare con sé un ricordo personale, come Bearman, che ha scelto l'87 come unione delle date di nascita sua e di suo fratello.
Qualunque sia la scelta del pilota, il numero sulla monoposto diventa molto più di una semplice cifra: è il suo marchio distintivo, un simbolo capace di raccontare una storia personale e di trasformarsi in un elemento di marketing che lega "l'eroe dell'asfalto" al pubblico, rendendolo immediatamente riconoscibile dentro e fuori dal circuito.
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