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Il plenipotenziario della Reb Bull quanto a campioni scoperti e titoli vinti è al di sopra di qualsiasi critica, anzi, meriterebbe il Nobel dei talent-scout
31 mar 2025 (Aggiornato alle 16:38)
Si parla tanto della Red Bull Academy, dei metodi e della severità del responsabile Helmut Marko, oltre che del significativo turn over in seno alle due squadre dell’energy drink in F.1 e quasi sempre con giudizi sommari e negativi. Se non lapidari. Della serie, questi fanno e disfano alle spalle di poveri ragazzi, trattano soggetti ancor fragili come fossero oggetti, non hanno riguardo di teenager o post teenager psicologicamente non corazzati. Muovendoli come burattini ai quali, una volta saggiati e bocciati, tagliano i fili facendoli scomparire, umiliandoli o, peggio ancora, troncandogli per sempre la carriera.
Il tutto in una specie di trionfo in carne e ossa del consumismo applicato ai ragazzi-piloti manipolati e, alfine, sacrificati agonisticamente quasi fossero una sorta di bambini soldato, col casco al posto dell’elmetto e una monoposto in luogo dell’arma. A corredo di questo si portano cifre, fatti e nomi, anche recentissimi.
Tsunoda punta in alto a Suzuka
La lista è lunga, quasi infinita, anche limitandosi alla F.1. Vedi Red Bull che spesso cambia il secondo a stagione in corso, perfino dopo due gare, come ora, con Liam Lawson sostituito da Yuki Tsunoda.
Stessa cosa accaduta nel 2016 a Daniil KvYat, retrocesso in Toro Rosso al quinto GP, al Montmeló, per fare spazio all’immediato vincitore Max Verstappen. Tale e quale a Pierre Gasly, riparcheggiato alla Toro Rosso durante la pausa estiva 2019, in favore di Alexander Albon, surrogato da Sergio Perez nel 2021, salutato di suo a fine 2024 dopo lunga, oscura e penosa malattia prestazionale.
Questo è niente, perché il mattinale RBR va squadernato fin dal primo anno F.1, il 2005, quando si giocano, in una specie di ansiogeno shootout, il posto fisso Christian Klien e Tonio Liuzzi, che disputa solo 4 gare. La spunta il non irresistibile Klien che non completerà il 2006, in quanto insoddisfacente e sostituito a fine anno da Robert Doornbos.
L’analisi comprende pure l’altra compagnia di bandiera, con base a Faenza, laddove fin dall’inizio Scott Speed, cacciato quasi a spinte da Franz Tost dopo una lite molto, forse troppo diretta, cede l’abitacolo a Seb Vettel negli ultimi 7 Gp 2007. Non va molto lontano anche il pluricampione Champ Car Usa, ovvero il francese di Le Mans Seb Bourdais, costretto a lasciare il posto a Jaime Alguersuari nel 2009, che poi, talmente spaventato dai cazziatoni di Marko, si dà alla console da Dee Jay.
Nel 2017 pure Kvjat, già out dalla Red Bull, viene licenziato sul finir di stagione per dar spazio a Pierre Gasly, a far coppia con Brendon Hartley il quale aveva sostituito Sainz, che al mercato mio padre comprò.
Continuano e chiudono il tema Nyck De Vries, colui che Marko definisce il suo peggior errore, licenziato a metà 2023 in luogo di Daniel Ricciardo, giubilato lo scorso anno a favore di Liam Lawson, per gli ultimi 6 Gp, poi messo e tolto dalla Red Bull. Alé. A questi vanno aggiunti i piloti che a decine e decine la Academy RBR nel nuovo millennio ha appoggiato e appoggia nelle formula propedeutiche ai GP, ingaggiati, aiutati, saggiati e poi, nella maggior parte dei casi - visto che il Motorsport, come tutte le discipline sportive a economia di scala, è a imbuto - salutati e rimandati a casa ancor baby, a seguire altri destini, da impiegati comunali, professori, bidelli o allievi di scacchi subacquei.
Alguersuari: "Marko? Non sono sicuro che il suo metodo possa ancora funzionare"
Bene. È anche vero, però, che fino a tre anni fa La Red Bull, secondo una molto interessante statistica, aveva scoperto e formato ben otto dei venti piloti presenti in F.1 e ora ne vanta sette. Di più. La RBR è la sola squadra ad aver vinto otto titoli mondiali Piloti con due supercampioni baby da lei stessa allevati, ovvero Vettel - strappato al momento giusto, in extremis, alla BMW - e Verstappen, preso di peso dalla F.3 e portato in F.1 ancora minorenne. Vado oltre. A questo punto è molto interessante operare un breve ma chiaro screening delle cosiddette Racing Academy, ovvero il sogno di ciascun teenager che vuole farsi strada nel Motorsport.
Ebbene, ce ne sono sostanzialmente di tre tipi:
1) Academy di gran nome, in alcune delle qelle quali si entra di fatto per cooptazione e con criteri non sempre del tutto chiari. Solo farne parte è motivo di vanto, orgoglio e grande esposizione mediatica, ma di fatto non ci sono grandi aiuti di budget; anzi, di solito è il contrario: c’è chi paga per farne parte e ciao, finché dura.
2) Academy di alta o media entità, con base anche in F.1, che accolgono ragazzi, li contrattualizzano, gli danno una giacca a vento e delle cuffie per seguire i team radio ai GP, magari facendoli partecipare ai briefing, che fa tanto figo; ma di fatto per correre in costosissime categorie propedeutiche devono arrangiarsi di base da soli, attingendo a sponsor personali o agli investimenti del proprio manager.
3) La Red Bull Academy fa caso a sé, avendo modalità uniche e originali (a dire il vero oltre tre lustri fa la Toyota, ai tempi della F.1, faceva lo stesso); sceglie in base a segnalazioni e in ogni caso a criteri ispirati alla meritocrazia. Ciò comporta l’entrata in una vera e propria scuola e la possibilità di avere un budget completo, una categoria prescelta e una chance vera di mostrare le proprie capacità. Se tutto funziona, si va avanti e si sale. Se non si raggiungono i target, si esce dal programma. Facile. E anche giusto. Al giorno d’oggi capita in qualsiasi azienda, sapete, anche se si producono stuzzicadenti, lingerie o ciambelloni pralinati.
E non parlo di Antonelli con Wolff o di Giovinazzi con Gelael Sr, perché quelli sono casi particolari, individuali, che non fanno sistema.
Per questo sarebbe bene contare fino a diecimila prima di criticare i metodi della Red Bull e di Marko, che di ragazzi nel motorsport ne fanno correre a centinaia in un quarto di secolo, mandando avanti chi se lo merita e senza tante smancerie, basandosi solo sul cronometro e sui risultati. Alla fine vincendo tanto, tra l’altro, e scoprendo campioni veri e più di chiunque. Poi, ovvio, anche Marko e Horner possono sbagliare, toppare e ricredersi. E tra l’altro quando lo fanno lo ammettono senza problemi, come nel caso Lawson-Tsunoda.
Come sarebbe bello se anche nella vita di tutti i giorni gli aiuti, le selezioni, le chance, i criteri di valutazione e i giudizi fossero affidati alla a volte pur fallibile discrezionalità di un asettico dottor Marko di turno, che non agli aumma aumma, alle metacaste, agli amici degli amici e agli inciucioni che infestano l’universo tutto e mica solo la F.1.
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