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Kubica, Russell e la Williams 2019: destini incrociati in quell'annata insieme

Si sono incrociati forse nella peggiore Wiliams di sempre, sono ripartiti più forti da quel 2019 da compagni di squadra: 6 anni dopo, Russell e Kubica esultano a distanza tra F1 e Le Mans

Matteo NovembriniMatteo Novembrini

17 giu 2025 (Aggiornato alle 11:59)

"Timing", lo chiamano gli inglesi. Tempismo. Ed è qualcosa che ti può far svoltare la carriera, anche più del cronometro che registra il "timing" della pista. Essere al posto giusto nel momento giusto è la dote che ha fatto la fortuna di tanti piloti, essere al posto giusto ma nel momento sbagliato ha distrutto altrettante. Poi, sta sempre a come uno reagisce, di fronte alle cose.

Robert Kubica e George Russell, ad esempio, hanno reagito alla grande. Si sono sfiorati in una disastrata Williams nel 2019, sei anni dopo si sono riscoperti vincitori in contemporanea di una tappa iridata della F1 e del WEC: George guardava tutti dall'alto dal podio di Montréal, Robert qualche ora prima aveva fatto la storia portando a casa la 24 Ore di Le Mans.

Williams 2019, annus horribilis

Quella Williams, per la storia, è stata l'ultima vera "Williams" a nascere e crescere a conduzione familiare. Era la FW42, un disastro di monoposto. Poco meglio andò alla FW43 dell'anno successivo, nata ancora sotto la gestione di Claire Williams, figlia di Sir Frank, ma che a finì stagione si riscoprì sotto il controllo di Dorilton Capital, dopo un accordo di vendita ufficializzato a Monza. E allora, appunto, quella FW42 è stata l'ultima macchina nata a Grove a cominciare e finire l'anno sotto la dinastia Williams.

Una dinastia che era giunta alla fine ormai da tempo, e quel disastro di monoposto non fece altro che accelerarne le pratiche per la vendita che sarebbe stata finalizzata, appunto, l'anno dopo. Si tende a dimenticare quella storia ampiamente dimenticabile di una macchina vittima di sé stessa, lenta che più lenta non si poteva. E capace di fagocitare l'interesse per due storie che, in quell'annata, avrebbero meritato molto di più: le storie di George Russell e Robert Kubica.

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L'antefatto, è che entrambi i piloti capirono subito di essere finiti in un marasma. Le loro carriere, che si sono incrociate solo in quella stagione, erano su traiettorie molto diverse: Russell era il giovane in rampa di lancio, campione in carica della F2 e ragazzino di belle speranze; Kubica invece aveva appena reincontrato il suo grande amore, la F1, dopo averla inseguita per otto lunghi anni, quelli che gli ci erano voluto per riprendersi il Circus dal terribile incidente al rally di Andora 2011. Per George sarebbe stata la prima stagione in carriera in F1, per Robert l'ultima completa.

Ma dicevamo che compresero subito le difficoltà del momento: perso lo sponsor Martini a fine 2018 in un momento economico già precario, saltate le prima due giornate di test causa ritardi nella preparazione della monoposto, la FW42 nelle prove invernali fu indietro sia per prestazioni che per chilometraggio e ad una settimana dal via, mentre i tecnici dovevano rimettere mano in fretta e furia alla macchina causa rischio squalifica per alcune soluzioni illegali, se ne andò pure il direttore tecnico Paddy Lowe. Normale, in un contesto del genere, rimediare 1"3 dal penultimo (!) nella prima qualifica di Melbourne con Russell, mentre Kubica chiuse addirittura a 3" (!) dal 18° tempo. 

Hockenheim 2019 come testamento

Quella di vedere George e Robert partire in ultima fila divenne una costante. Tante fatica, gioie zero. E se per Russell, ad anni 21, c'era la consapevolezza di poter aspettare, presto Kubica prese coscienza che il tanto agognato ritorno in F1, voluto e cercato per anni, si stava consumando dentro la situazione tecnica più difficile che avesse mai sperimentato. Ancora oggi, la FW42 è ritenuta la peggior macchina nella storia della Williams: di sicuro è stata la peggior macchina mai guidata da Robert. George, inoltre, spesso lo batteva, e questo non fece altro che aumentare il già grande scetticismo che c'era intorno al nativo di Cracovia: "con quel braccio non può guidare una F1", si sentiva dire.

Di sicuro, non poteva farlo come aveva fatto fino al 2010, ultima stagione prima dell'incidente. Da allora aveva dovuto ricostruirsi, diventare mancino, cominciare una scalata alla cui cima c'era sempre stato l'obiettivo di rientrare nel Circus. Quando poi fu chiaro che non ci sarebbe stato spazio per lui nel 2020, Robert la prese con serenità. Non senza però aver lasciato un altro, indelebile segno nella sua carriera: perché può sembrare poco, ma il punto di Hockenheim 2019, per chi sa leggerlo, resta una delle più grandi imprese di Robert Kubica in carriera. In un'annata disastrata, in una domenica pazza, dopo una corsa conclusa al 12° posto prima di essere promosso, causa penalizzazione delle due Alfa Romeo, al 10°; Robert sembra non averci mai dato troppo peso a quel piazzamento, eppure fu un graffio mica da ridere. Sbagliarono in tanti, non lui. Finì davanti a Russell in una delle poche occasioni in cui contava davvero, lasciò il segno a modo suo segnando un record: dopo 8 anni, 8 mesi e 14 giorni era di nuovo a punti. Ovvero, la distanza temporale più ampia mai registrata tra un piazzamento a punti e l'altro in tutta la storia della F1.

 

 

Kubica lo ha sempre detto: Russell non era uno qualunque

Il rimpianto vero e proprio, fu relativo al tempismo. Russell, come detto, aveva tempo: riuscì a godersi la prima parte della (ancora flebile) rinascita Williams prima di passare in Mercedes, mentre l'altro era già verso altri lidi. L'Endurance, per esempio, quello che gli ha regalato la tremenda delusione a Le Mans 2021 (ko all'ultimo giro mentre sin avviava alla vittoria di classe in LMP2) prima della redenzione di Le Mans 2025 nella classifica assoluta, con quella Ferrari che avrebbe dovuto sposare a partire dal 2012. In F1 Robert Kubica ha fatto in tempo a tornarci, come sostituito di Kimi Raikkonen, per un paio di gare nel 2021. Poca roba, dopo quell'ultima stagione vissuta da comprimario alla Williams. Di allora, ha sempre detto: "E' vero che tante volte ero dietro, ma si è visto che non ero dietro ad uno qualsiasi". A sua discolpa, insomma, Robert ha sempre detto che quel giovane inglese che lo aveva messo in ombra, non era poi uno dei tanti, ma era un giovanotto in gamba e velocissimo. Oggi quel giovanotto ha vinto, per ora, 4 GP in carriera; l'altro, superati i 40 anni, ancora dà lezioni di guida in quella classicissima che è Le Mans. Da remoto, si sono fatti i reciproci complimenti per i due successi. Non il "timing", il tempismo, ma il tempo ha dato loro la giusta dimensione: erano la coppia giusta ma nel momento sbagliato. E fa impressione pensare che tutto sia partito da quella Williams.

 

 

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