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18 giu 2025
A Indianapolis, il 19 giugno 2005, la Formula 1 visse uno dei suoi giorni più bui, un Gran Premio che passerà alla storia per la totale assenza di spettacolo in pista e per le sole 6 monoposto al via.
Una corsa surreale, disputata da soli 3 team a causa di un clamoroso problema di Michelin, al tempo tra i fornitori di pneumatici, che sollevò proteste, polemiche e lasciò migliaia di tifosi furiosi sugli spalti.
Il weekend iniziò a complicarsi già dal venerdì, quando il collaudatore della Toyota, Riccardo Zonta, subì lo scoppio della gomma posteriore sinistra. Stessa sorte, nella sessione pomeridiana, per Ralf Schumacher, che fu protagonista di un violento impatto contro le barriere. Al tedesco, per precauzione, venne impedito di partecipare alla gara della domenica.
L’assurda coincidenza della foratura dello stesso pneumatico, unita ai dubbi sollevati da alcuni team sulla drastica diminuzione della pressione degli pneumatici, generò forte preoccupazione nel paddock. Durante la sessione del sabato mattina, solo due vetture gommate Michelin, quelle di Montoya e Coulthard, fecero segnare un tempo valido.
Nonostante le incertezze, le qualifiche si disputarono regolarmente (con la pole di Jarno Trulli, prima nella storia per la Toyota in F1), fino alla comunicazione ufficiale della casa produttrice francese, che annunciava di non poter garantire l’integrità delle gomme per la gara.
In realtà, non c’erano ancora certezze sulla natura esatta del malfunzionamento: si sospettava che la causa fosse la curva 13, sopraelevata, da poco riasfaltata e soggetta a forti sollecitazioni, oppure un problema con il lotto di gomme spedite a Indianapolis.
Dopo una lunga negoziazione, in cui vennero proposte diverse soluzioni (tra cui una modifica dell’ultimo minuto alla curva 13), i team gommati Michelin decisero di ritirarsi dal GP, rientrando ai box al termine del giro di formazione.
Con 14 monoposto fuori gara, a prendere parte al GP degli USA furono solo in 6: Michael Schumacher e Rubens Barrichello con la Ferrari, Tiago Monteiro e Narain Karthikeyan con la Jordan-Toyota, Christijan Albers e Patrick Friesacher con la Minardi-Cosworth.
Questa azione dei team scatenò l’ira del pubblico, che tra fischi e proteste, arrivò a lanciare oggetti in pista per esprimere il proprio dissenso.
A parlare subito dopo la partenza fu Flavio Briatore, al tempo team manager della Renault, che spiegò di aver ricevuto una lettera ufficiale da Michelin, con la quale non autorizzava il team a scendere in pista con quella tipologia di pneumatici. Dopo aver chiesto – invano – alla FIA la modifica della chicane, Briatore decise di non schierare le vetture per tutelare la sicurezza dei suoi piloti.
La situazione fu complicata e spiacevole per tutti, incluso Bernie Ecclestone, che in un periodo in cui la F1 cercava di costruirsi un’immagine forte negli Stati Uniti, subì un durissimo colpo mediatico.
La gara si concluse con la vittoria di Schumacher davanti a Barrichello, in una corsa senza emozioni, dove l’unico sussulto fu una lotta tra le due Ferrari all’uscita dai box. Al terzo posto si classificò Monteiro, seguito dalla Jordan-Toyota di Karthikeyan e dalle due Minardi-Cosworth di Albers e Friesacher. Saranno gli ultimi punti nella storia per entrambi i team.
Il podio fu un altro momento surreale del weekend: i ferraristi non festeggiarono in segno di rispetto verso il pubblico, mentre Monteiro celebrò con entusiasmo il suo unico podio in Formula 1.
Un anno dopo, la casa francese si ritirò dalla Formula 1, e la FIA decise di adottare un fornitore unico di pneumatici per tutti i team.
La massima competizione automobilistica rimase in calendario negli Stati Uniti fino al 2007, per poi tornare solo cinque anni più tardi, nel 2012, ad Austin.
Da quel weekend la F1 non fu più la stessa: la sicurezza delle gomme divenne priorità assoluta e il concetto di fornitore unico prese definitivamente forma.
Quel giorno a Indianapolis non si disputò solo una gara incompleta, ma si scrisse una delle pagine più incredibili e assurde della massima competizione.
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