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25 giu 2025
Wojciech Szczesny, ex portiere della Juventus oggi felicemente ormeggiato a Barcellona, una volta con tono scherzoso disse: "Buffon e Allison sono stati due miei vice, per cui sono io il miglior portiere del mondo". Scherzava, ma con un fondo di verità: Allison è un fenomenale brasiliano tra i pali, Gigi non ha bisogno di presentazioni. Ecco, una cosa del genere Nico Rosberg non l'ha mai detta, ma forse, almeno una volta nella vita, quella battuta, con sfumatura ironica, l'ha pensata. Perché la storia della F.1 ha avuto solamente due epta campioni del mondo: Michael Schumacher e Lewis Hamilton. E Nico Rosberg, li ha battuti tutti e due.
Questo è un dato inconfutabile. Il quale alimenta il senso di un'ingiustizia di fondo, percepita a più riprese: cioè che Nico Rosberg sia stato un pilota terribilmente sottovalutato. Sia quando era in attività che dopo un ritiro arrivato precocemente, ad anni 31, per seguire altri percorsi esistenziali ritenuti prioritari una volta raggiunto il sogno di una vita. E' stata una carriera strana, quella di Nico Rosberg: da giovanissimo era solo il figlio di Keke, campione del mondo 1982, poi in fretta divenne un prospetto di belle speranze. Sin dalle "giovanili", vita facile non l'ha mai avuta: perché al fianco si è spesso trovato un certo Lewis Hamilton con cui, nelle vacanze in Grecia, sognava ad occhi aperti di guidare in F.1, e magari di giocarsi un titolo insieme. Ma come spesso accade, un sogno che si realizza non è mai come te lo saresti immaginato: è successo davvero, ma il prezzo è stata proprio la loro amicizia. La carriera di Nico era partita con un perentorio 7° posto a Sakhir 2006, con tanto di giro veloce.
Due anni dopo, ecco il primo podio: rivedete le immagini nel retropodio e guardate che amiconi fossero Lewis e Nico all'epoca. Ecco, quello fu il sintomo del primo incidente di percorso: nelle categorie propedeutiche se l'era sempre giocata con Lewis, eppure mentre l'altro ebbe subito a disposizione una McLaren per cogliere i primi successi, Nico dovette aspettare due anni solo per stappare la prima bottiglia di champagne. "Vedrete, presto vincerà un GP", si sussurrava. Ecco, per quel primo successo dovette attendere altri quattro anni: lasciata una Williams con cui fece più del massimo, arrivò in quella che doveva essere la Mercedes di Schumacher. E invece, fu lui l'unico a vincere l'unica gara di quel triennio: doveva essere il metro di misura di Schumi, finì col mandarlo in pensione. Poi, a dirla tutta, fu Schumi a prendere le misure a lui, accorciando il divario prestazionale nel triennio: ma dopo anni di insuccessi per Mercedes era tempo di voltare pagina, ed il nuovo capitolo si chiamava proprio Lewis Hamilton.
E sono queste scelte, a far comprendere la complessità della carriera di Nico. Fu il primo pilota scelto da Mercedes per il rientro nel 2010, ma gli misero al fianco Schumi; via Michael, andarono a prendere un ingombrantissimo Hamilton. Roba che può destabilizzare, perché il cervello può iniziare a pensare che non c'è fiducia in te. E invece, Nico tenne ben salde le guarnizioni della mente. Arrivando a cambiare, rivoluzionare perfino, il suo stile di vita: sposò l'arte della filosofia e della meditazione, cominciò a studiare nei dettagli gli angoli della mente degli atleti, imparò perfino come stuzzicare Lewis, in pista e fuori. Ma seppe, soprattutto, mettersi in gioco, cambiando abitudini e usanze a carriera ben avviata. Perché resse l'urto di Lewis, ma non fu abbastanza per vincere i primi due titoli dell'era Mercedes. E allora lo yoga, la pazienza, una dedizione totale.
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