Faggioli, la leggenda della porta accanto

Faggioli, la leggenda della porta accanto

Ritratto del campione delle salite giunto a 18 titoli tricolori

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12.08.2024 ( Aggiornata il 12.08.2024 11:56 )

Lo spirito delle salite

Il più bel guadagno lo ha fatto e lo fa noleggiando barchette da gara, punto, ma non è per soldi che funziona il suo cinema, semmai per cuore e passione in mix d’adrenalina, all’interno di quella malìa dolce che fa immamorare dello spirito delle cronoscalate e poi mai più t’abbandona.

Perché le salite sono per sempre. Perché niente dà l’emozione buca-gola di quei pochi minuti a tutta e soprattutto niente al mondo è più romantico del clima che vivi e respiri insieme a tutti gli altri, la sera prima della corsa, appena fatto buio.

Simone Faggioli è questo, ne è orgoglioso e noi di lui. È tutto cio che resta delle corse belle, concrete e specchiate. Da stradisti puri.

Oneste, perché pericolose per davvero, e inclusive, visto che puoi andarle a vedere spendendo niente o quasi.

Gli sceicchi non s’accapigliano per organizzare le gare che vince Simone. A bordo pista i miliardari non vengono a succhiare olive & Martini a tremila euro al giorno per sbalordire annoiate amanti, in modulazione paddock club. Macché. È tutto un piccolo mondo antico, sull’asfalto e ai bordi.

Arrivi con la fidanzata che resta solo se ha pazienza e ti vuol bene davvero, tra birra calda, mosche, formiche e pagnottine mosce, mentre le storiche, i Gruppi N e i primi proto cominciano a salire.

Eppoi, verso la fine, eccoti Simone, col piede giù, a sfondare il pavimento del suo bolide.

A sfrecciare verso l’alto, sapendo che il mondo iperconnesso e ultramediatico non gli darà mai spazio o visibilità proporzionata a classe sfoggiata e traguardi raggiunti, perché la gloria va sempre ad altri. Di altre corse. Quelli alla moda, tutti glamour & instagram, eventi e security.

Boh. Si potrebbe andare avanti nelle descrizioni, ma, proprio come fosse una cronoscalata, Bondone a parte, meglio farla corta e andare al succo.

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Faggioli, che manico!

Meno male che c’è ancora Simone, a correre e a vincere. A costituire un’alternativa reale e gustabile a tutto quello che c’è in giro di automobilismo da corsa veramente finto, alle offerte a pacchetti, alle dirette fiume da ogni dove, alle opzioni mosaico che ti mostrano quasi pornograficamente tutto, senza farti innamorare di niente.

Sinceramente, una cosa vorrei aggiungerla di mio: sfruttando la possibilità biposto, negli anni ho sfrecciato in test-verità insieme a campioni a velocità improbabili con F.1, prototipi, moto, Wrc e quant’altro, ma mai nessuno come e più di Simone mi ha regalato, ospitandomi a bordo della sua Norma proto, a Gubbio, due anni fa, l’elettrizzante scarica emotiva, infuocata e gelida, della sfida tra tornanti e terrapieni, anche a più di 200 all’ora.

E ora è bellissimo pensare a Simone Faggioli, classe 1978, come a un quasi 50enne che ancora coltiva il gran sogno. Quello di tornare negli Usa, vincendo l’assoluto alla Pikes Peak, nel suo piano garibaldino ma mai alla garibaldina, di diventare, alfine, l’eroe dei due mondi all’insù.

Teniamocelo stretto

Teniamocelo stretto, Simone, per ciò che ha ottenuto e anche per quello che rappresenta, dunque. Con le sue verità ruspanti, la sua classe alpestre, le sue guanciotte rubizze che sanno di sincerità talentuosa, più di mille rotoli patinati di telemetria analizzata da un remote garage.

Gustiamoci le imprese e le residue verità del campionissimo alla mano Faggioli, come antidoto all’automobilismo che continua a trasmutare come un virus, attrezzandosi, al contario del verace Simone, a raccontare chissà quali bugie.


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